14 Luglio 2024
Antropogeografia

Moti di civiltà – Rita Remagnino

In genere i nostri libri di storia sono piuttosto sbrigativi nel trattare i primi passi del genere umano, forse perché non riguardano direttamente il cosiddetto «mondo occidentale», se si escludono casi isolati come ad esempio l’Homo Heidelbergensis che cacciava nella Bassa Sassonia orientale attorno ai 320.000 anni fa.
Ma altrove, chi/cosa c’era? Negli ultimi secoli la storia in usum serenissimi Delphini, come si usava dire ai tempi di Luigi XIV, ha preferito trattare vicende più spendibili nell’immediato, sorvolando sull’umanità appartenuta all’ultima delle quattro glaciazioni del Quaternario, quella di Würm, conosciuta come «ultimo periodo glaciale» (dal 110.000 al 10.000 a.C.). A volte, è meglio non sapere.
Al contrario i popoli del passato presso i quali la trasmissione della memoria era sacra tenevano in palmo di mano l’Origine, e, probabilmente, raccontando le gesta divine dei propri civilizzatori erano anche consapevoli di non riferirsi più ai Rossi boreali che inaugurarono il Ciclo presente bensì ai loro discendenti.
Poco male; in fondo l’«essere polo» non era molto lontano dall’«essere centro», perno, perfetto mondo in miniatura. In mancanza dell’originaria luce uranica, insomma, ci si poteva accontentare della sua emanazione terrestre che era pur sempre un prezioso tesoro sacrale e spirituale da custodire e tramandare. Forse gli dèi-civilizzatori non erano stati gli artefici delle proprie conoscenze, però si erano dimostrati capaci di perpetuarle proiettandone i riflessi in varie direzioni, e tanto bastava.

 

A proposito di tali irradiazioni, o spazi geografici generati dalla Patria polare primordiale, Herman Wirth individuò ben quindici possibili sedi (o direttrici) risparmiate dalla calotta di ghiaccio durante la fase più calda dell’Interpleniglaciale di Kharga, la quale raggiunse il picco tra i 36.000 e i 22.000 anni fa, separando le fasi più acute delle due glaciazioni wurmiane dette «Zyrianka» e «Sartan».
Quindici è un numero consistente e impegnativo per la memoria collettiva, che relativamente alla fascia sub-artica ha trattenuto il ricordo di due soli Centri Sacrali Secondari: il primo si trovava nella Siberia orientale mentre il secondo era situato nel quadrante posto tra Groenlandia, Islanda, Fær Øer e Scandinavia, oltre il 62° parallelo nord.
Da queste radici sarebbe rispuntata nell’emisfero settentrionale la civiltà, etimologicamente intesa come manifestazione della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo, o di più popoli uniti in stretta relazione.

 

Chiaramente le connessioni e le corrispondenze essenziali e/o accidentali dell’uno più uno, cioè del due, presuppongono una fitta rete di viaggi, incontri, contatti, vagabondaggi e scoperte. Per l’appunto la fase antropogeografica che ci accingiamo a raccontare, il Treta Yuga, o Età dell’Argento (dal 36.850 al 17.410, a.C. circa), fu un’epoca di grandi esplorazioni marittime e di significativi riposizionamenti terrestri.
Secondo il fisiologo tedesco Hermann Munk che ha seguito l’evoluzione e la diffusione del gruppo genetico Cro-magnon da nord a sud, le migrazioni del periodo in questione furono talmente intense, estese nello spazio e prolungate nel tempo, da far fare al proto gruppo sanguigno 0 il giro del mondo.
Dalla Siberia i nomadi di terra si spostarono in Cina, Giappone, Isole Curili e Aleutine, per poi attraversare il ponte-Beringia e continuare il cammino verso l’Alaska e il Nordamerica. Da un’area che oggi potrebbe essere definita «scandinava» i nomadi di mare partirono invece da Islanda e Groenlandia verso il Canada e raggiunsero il Mesoamerica, ma senza dimenticare l’Europa e la penisola arabica (H. Munk, Kilmes, llave de la primera cultura mundial, Dunken, 2001).

 

Com’era prevedibile ambienti diversi generarono accomodamenti diversi e perciò i due rami, quello centro-orientale e l’altro centro-occidentale, per ragioni prevalentemente spaziali e geografiche si separarono, capitalizzando l’eredità polare in modo originale, ossia disuguale.
Ad ogni modo il processo di crescita e sviluppo si svolse per entrambi gli attori nel rispetto della naturale alternanza tra il «Principio Contrattivo» (lunare, intimo, interiore) e il «Principio Espansivo» (solare, estroverso, volitivo). Ecco perché la Storia dell’Uomo viene spesso paragonata a un tessuto vivente e autorigenerante, cioè a un organismo che respira cercando di non perdere il ritmo.
Battere e levare. Ora il diaframma si contrae e «condensa» ed ora si espande e «dilata», procedendo con passo gattopardesco dietro al miraggio del cambiamento che non cambia mai nulla. Ogni tanto si verifica un’aritmia di sistema, come nel XXI secolo, e allora il caos fa piazza pulita di ogni cosa al fine di permettere la rigenerazione, cioè l’avanzata di un nuovo Inizio. Dopo di che, si ricomincia.

 

Dettato dalla necessità di trovare nuove patrie, cioè ambienti più vivibili in cui stabilirsi e svilupparsi, il nomadismo preistorico non fu perseguitato dal desiderio di conquista. A furia di macinare chilometri, però, la vita si fece più materiale e alla fine l’antropogeografia spirituale dovette cedere il passo a «geografie» più potenti e promettenti.
Da qui la storica rivalità tra due protagonisti distinti ma sinergici: il liquido e il solido, ossia il Mare e la Terra. Bisogna risalire a prima della Creazione per trovare la presenza di un unico elemento: l’Acqua; e comunque anche nel liquido amniotico della civiltà, stando ai racconti dei Sumeri, la convivenza tra i due draghi primordiali Apsû e Tiāmat (gli oceani?) finì in una lotta cosmica. Finché il progressivo raffreddamento del pianeta portò a galla la crosta solida da cui presero forma i continenti, e allora le contese si spostarono nella sfera Mare vs Terra.
Rivisitando alcune fonti accadiche la Bibbia intrecciò la trama di Beemot e Leviatano, il mostro terreno e il mostro marino, ognuno dei quali era incapace di battere l’altro, salvo sconfiggere prima se stesso, sacrificandosi. Ne consegue che affondano nel Paleolitico Superiore le radici del secondo postulato della geopolitica topica di sir Halford Mackinder (1861-1947), il quale divise il mondo in tre macro-aree:

  • l’area perno, pienamente continentale
  • la mezzaluna esterna, pienamente oceanica
  • la mezzaluna interna, in parte oceanica e in parte continentale

Indubbiamente a Mackinder va riconosciuto il merito di avere conferito una dignità scientifica alle azioni/reazioni mai casuali dei gruppi umani, la cui varietà di posizione ha confermato nel corso del tempo l’unità della specie. Ma disegnare segni su una carta geografica non basta ad ottenere il controllo dell’insieme, né a mantenerlo.

 

Dopo centovent’anni dalla presentazione alla Royal Geographical Society del discorso che fece del mondo a fette un esempio da manuale (1904), continua l’«attaccamento» della politica anglo-statunitense ai suoi dettami. Perché tanta ostinazione? Non è abbastanza evidente che il mondo nel frattempo è radicalmente cambiato?
La nave della marittima Inghilterra è naufragata, il carro della tellurica Germania ha perso le ruote, la Grande Russia è uscita dalla depressione post-comunista diventando la quarta potenza economica mondiale, preceduta dalla Cina e seguita dai Brics. Quanto all’agognata egemonia planetaria del blocco anglo-americano, come da copione la questione si è risolta come da copione con una toccata e fuga.
C’è poco da fare, parlano i fatti: qualsiasi sogno imperiale nasce già sveglio, come impararono a proprie spese imperi di ben altra levatura, l’ultimo dei quali fu il potentissimo khanato dell’Orda d’Oro di Genghis Khan. Ad essere ingovernabile è lo stesso caleidoscopio di «imprevisti» che costituisce la realtà e non sopporta il giogo, se non per brevi periodi.

 

Come tutte le scienze anche la geopolitica è dunque la mappatura di un certo sapere in un determinato momento. Ai tempi di Mackinder, per esempio, nessuno poteva immaginare per la marittima Inghilterra un nemico diverso da un ente tellurico (l’Eurasia), invece i problemi sono nati dalla City di Londra, cioè da una plutocrazia finanziaria imbevuta di esoterismi maldestri e distruttivi.
E qui si torna all’enunciato di Carl Schmitt secondo cui “tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati” (C. Schmitt, Le categorie del «politico». Saggi di teoria politica, Il Mulino, 2013). Come mai, allora, quasi tutte le Costituzioni europee dichiarano i propri Stati «laici e aconfessionali»?
Si tratta di frasi fatte, persino la geopolitica interpretando i «movimenti di civiltà» in relazione alla minore o maggiore agibilità geografica e geologica scandita dall’alternanza Terra-Mare, si avvicina alla «geografia sacra» di René Guénon. Una mappatura a sua volta facente parte della geografia visionaria, inadatta alla materialità della politica ma percepibile/intuibile in presenza di avanzate conoscenze metafisiche.

 

Aspetti religiosi a parte, va detto comunque che la geopolitica è “figlia della geografia” e perciò non può prescindere dall’aspetto morfologico della crosta terrestre e dalle sue continue modificazioni, né dal corso della Storia con i mutamenti socio-economici che ne scandiscono il cammino (Pascal Lorot, Storia della geopolitica, 1995).
A prescindere dunque dai rapporti di forza tra il Mare e la Terra, è evidente chi ha deciso cosa e perché: in pieno periodo glaciale le acque basse hanno favorito gli spostamenti navali, ovvero l’ascesa delle «civiltà del mare», mentre il rialzo delle temperature è stato determinante per l’affermazione delle «civiltà della terra».
Liquido e solido. Immensi oceani e vaste pianure. Per millenni la commedia dell’uomo è stata rappresentata in questi teatri naturali, esprimendo le visioni talvolta inconciliabili dei «nomadi della civiltà della Terra» (società tellurocratiche) e dei «nomadi della civiltà del Mare» (società talassocratiche).
Può darsi che all’inizio i contrasti siano stati irrilevanti, o forse nulli, ma a partire dalle prime contese territoriali tra i Bianchi (protoindoeuropei provenienti dall’area siberiana) e i Rossi (scandinavi ormai orfani del loro riferimento groelandese-nordoccidentale) le guerre si sono susseguite ad oltranza.

 

I testi sacri dell’India hanno associato questi eventi ad altrettante manifestazioni della divinità: all’inizio del Dvapara Yuga, o Età dell’Ascia, circa 20.000 anni fa, apparve il sesto avatara di Vishnu, Parashurama, l’uomo con l’ascia, una figura dai connotati eroici e virili (G. Acerbi, Introduzione al Ciclo Avatarico, parte I, in Heliodromos, n. 16, 2000); il susseguirsi degli incontri/scontri tra Rossi e Bianchi diede vita a Ramachandra, il settimo Avatara di Vishnu (e progenitore dei popoli Ari), l’uomo con l’arco e le frecce che scorrazzava con il sole in fronte nelle pianure eurasiatiche verso la metà del Dvapara Yuga, attorno ai 13.000 anni fa (R. Guénon, L’archeometra, Atanòr, 1995).
Sotto l’aspetto antropogeografico l’ascia e l’arco corrispondono rispettivamente ad una prima fase della civilizzazione più settentrionale e per così dire «tellurica», cioè imperniata su un tipo di società patriarcale fondata sulla caccia e la costruzione di nuovi villaggi, e ad una seconda fase «talassica», più meridionale ed incline alle guerre di conquista.
Riguardo a quest’ultima non sfugge il triplice significato dell’arco: arma di offesa, bacchette cosmologiche per accendere il fuoco (dello spirito), zangola per mescolare liquidi e strumento musicale; non è un caso che in molte tradizioni il torneo degli arcieri fosse sostanzialmente una danza guerresca. Arte e corpo. In una parola: movimento.

 

Fino ad oggi si può dire che il «continente orizzontale» (l’Eurasia) sia stato l’espressione del modello tellurocratico imperniato su un potere terrestre perpetuante un universo valoriale «antico» e sostanzialmente conservatore (principio contrattivo), mentre il «continente verticale» (le Americhe) abbia ospitato il modello talassocratico, più incline all’innovazione e alla tecnica (principio espansivo).
Non si creda che certi argomenti siano estranei ai piani alti, interessati da sempre agli «antichi segreti» del passato, al potere delle parole, al significato nascosto dei simboli, alle geografie dimenticate e alla Storia che deve essere taciuta. Ai piani bassi è vietato l’accesso alle fonti originarie, in compenso da almeno un decennio si sta assistendo al «risveglio della geopolitica classica», che in un certo qual modo esprime la voglia di conoscenza in alternativa ai cibi precotti.
Secondo alcuni il motivo del rientro dalla finestra di ciò che era uscito dalla porta dipenderebbe dal fatto che viviamo in un mondo di guerre e le «mappature», come si sa, servono “alla preparazione e alla conduzione della guerra” (Y. Lacoste, Crisi della geografia, geografia della crisi, 1980). Altri invece ammiccano ai neo-eurasiatisti, i quali avrebbero volontariamente riesumato gli studi strategici del Novecento con l’intento di «aprire gli occhi all’Europa», emancipandola dal giogo statunitense.
È ora che la Terra esca dalle grinfie del Mare? Se lo augurano autori come Carlo Terracciano, il quale attraverso la «dottrina della liberazione» individua nella talassocrazia il nemico oggettivo della tellurocrazia e confida nella scoperta di un antidoto contro i «veleni anglo-americani della finanza mondialista» (C. Terracciano, Pensiero armato, Aga, 2020).

 

Va nella stessa direzione il piano di Vladimir Putin per una nuova architettura di sicurezza (New Security Architecture), che significa nuove strutture politiche, finanziarie, sociali, morali e inter-relazionali. In parole povere la proposta può essere così riassunta: cari Capi di Stato e colleghi, questo non è il momento di perdersi nei punti di vista né di litigare fra di noi bensì di unire le forze contro il nemico comune (l’oligarchia apolide della finanza), il cui tracollo sta producendo enormi sofferenze ai popoli.
Significa che la contesa millenaria Mare vs Terra ha i giorni contati? In ogni caso la legge immutabile dell’Eterno Ritorno farà la propria parte poiché da sempre quando la potenza del Mare diventa insopportabile interviene la Terra, poi i ruoli s’invertono e tutto ricomincia daccapo. Per quanto lo riguarda l’uomo può agire all’interno dell’uroboro della Storia creando architetture inedite al fine di garantire la sopravvivenza del mondo umano, ben più importante dell’immagine illusoria che lo riproduce.

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (ed. Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (ed. Audax Editrice). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

2 Comments

  • Nebel 14 Luglio 2024

    In piena sintonia con lei, signora Remagnino. Il Male è organizzato, paziente, metodico. Lavora sul lungo termine e tesse trame complicate dagli intrecci serrati. Il futuro è il fine a cui tende. Ma il Bene è l’imprevisto. L’elemento inaspettato. L’evento impensato, che giunge a dissipare piani, a spezzare fili, a destabilizzare costrutti. A liberare. E tutto ricomincia. L’imprevedibile è in arrivo. Lascerà stupiti, avremo nuovamente la visuale libera dai nodi di intrecci innaturali. E torneramo a guardare il mondo per quello che è. Grazie ancora una volta per le sue parole consolanti.

  • Rita Remagnino 14 Luglio 2024

    Si, Nebel, il Male è organizzato ma vive solo nel presente. Fa i coperchi dimenticando puntualmente le pentole, e infatti la geopolitica negli ultimi mesi sta evidenziando tutti i suoi pasticci. Inoltre per mettere a segno i suoi (ultimi) colpi è costretto ad esporsi, così sempre più persone lo vedono in faccia, che è già un passo avanti. Grazie per il commento.

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