Gianfranco V. Strazzanti
Nec dubium: quantum augebatur potentia
tantum minuebatur et sanctitas.
Giovanni Boccaccio
Approfondire le vicende storiche legate ai Templari significa muoversi costantemente tra due fuochi, nella speranza – spesso vana – che questi possano infine illuminare un solo volto. Quanto a fonti e documenti, non si può dire che manchino materiali su cui fare affidamento; anzi, alcuni studiosi del passato hanno persino aperto alla possibilità di un parziale recupero dell’ormai leggendario archivio dell’Ordine. Non è infatti da escludere che, dal Trecento in poi, gli archivi templari possano essere confluiti nei registri o nelle biblioteche di altri Ordini cavallereschi. Secondo tale teoria, la più antica documentazione sui Poveri Cavalieri di Cristo andrebbe considerata sì smembrata e sparsa, ma non distrutta e irreparabilmente perduta come si è creduto per secoli. Qui non s’intende dare adito a suggestivi miraggi in tal senso né insinuare che l’intera storia dell’organizzazione fondata da Hugues de Payens verrà un giorno o l’altro ricostruita nei minimi dettagli. In ogni caso, come per quelli che l’hanno preceduto, anche per gli argomenti principali del presente intervento le questioni meramente storiche avranno una funzione ancillare.
La vicenda templare si dipana – come detto – tra due fuochi ben distinti, perché due sono gli epicentri da cui sembrano irradiare le risoluzioni più decisive dell’Ordo Templi: da un lato, la vocazione eroico-religiosa e lo slancio penitenziale teso a trasfigurare la Terrasanta in Gerusalemme celeste; e, dall’altro lato, un’innegabile inclinazione verso i poteri e i privilegi concessi dalle autorità che, a loro tempo, promossero le Crociate verso il Levante. Nella storia dei Poveri cavalieri di Cristo non mancano infatti né i compromessi né i maneggi tipici della realpolitik. Non per caso sul loro ruolo nel settore bancario sono stati scritti oceani di libri. Meno evidente e scontata può risultare invece la connessione tra la gestione dei loro territori e proprietà e l’inesorabile dissoluzione delle loro gerarchie diplomatiche e militari. Ovviamente, tutto ciò non vale a negare che la salvaguardia dei luoghi santi fu per lungo tempo una delle priorità assolute dell’Ordine; ma è proprio tra il pellegrinaggio armato e il consolidamento dei possedimenti in Terrasanta che passa tutta la distanza tra i due fuochi di cui si diceva in precedenza. Una distanza lacerante, perché non concede a coloro che intendono attraversarla una visione univoca di ciò che effettivamente furono i Pauperes Commilitones Templi. In ogni caso, nella prospettiva della sua definitiva soppressione, va sempre tenuto a mente che l’Ordine templare si estinse nel momento stesso in cui la custodia di Gerusalemme non fu più una priorità per i gruppi di potere europei. Il che dimostra come, pur nell’acuta decadenza che l’aveva colpita, l’organizzazione del Tempio non volle mai adattarsi al mutato panorama geopolitico del post-Crociate. Un adattamento che venne invece pienamente accettato dalla compagine monastico-militare che, come si vedrà a breve, fu rivale e comunque concorrente dei Templari: gli Ospitalieri di San Giovanni.
Prima di procedere ad una scandita riflessione sugli aspetti fin qui preannunciati, sarà necessario offrire qualche elemento concreto sulla realtà dei presidi gestiti dalla cavalleria iniziatica nel Levante crociato. In questo senso, nulla appare più propizio di una rievocazione di quel curioso incontro-scontro di cui furono protagonisti proprio i mantelli bianchi dei Templari e le tuniche nere dei Giovanniti. Joseph Delaville Le Roulx (1855-1911), con un libricino pubblicato nella seconda metà dell’Ottocento, offrì a suo tempo alcuni documenti importanti per la comprensione delle dinamiche e dei rapporti di forza vigenti tra le due milizie. Le Roulx, francese di nascita e maltese di adozione, dedicò gran parte della sua vita alla ricerca storica sugli Ordini cavallereschi e fu egli stesso cavaliere del Sovrano Militare Ordine di Malta. Proprio a lui si deve l’ardita ipotesi, prima accennata, secondo cui gli archivi del Tempio non sarebbero andati del tutto perduti, ma catalogati presso i registri dei vari enti che acquisirono le proprietà immobiliari, all’indomani della soppressione dell’Ordo Templi. Stabilire se una tale ipotesi sia fondata o meno compete agli storici di professione nonché a quei ricercatori che possiedono le credenziali per esplorare i più disparati archivi d’Europa. Per il momento, qui ci limiteremo a prendere in considerazione parte dei preziosi Documents concernant les Templiers portati alla luce da Le Roulx un secolo e mezzo fa.
Ciò che richiama l’attenzione di questi materiali d’archivio è, innanzitutto, la presenza di controversie e dispute legate alla fruizione di terre, proprietà immobiliari e risorse naturali proprio tra i due Ordini del Tempio e dell’Ospedale al tempo dei Regni crociati. Da uno dei documenti più corposi della raccolta si apprende che, nel 1235, le due organizzazioni vennero a contendersi la gestione e gli accessi ad un corso d’acqua indicato come: «Flumen Acconensis quod descendit ex Fonte Recordane». Il fiume, tenendo conto dei cambiamenti geomorfologici degli ultimi otto secoli, dovrebbe coincidere con un sistema di argini e canalizzazioni di cui rimangono tracce archeologiche nel parco naturale di Ein Afek,
a sud della città di Acri (Akkā, in arabo; Akkô¸ in ebraico), vicino alla frontiera tra Israele e Libano. Questa sembra l’identificazione più probabile, perché Recordane è il nome dato dai Crociati alle sorgenti di Tel Afek (sempre all’interno dello stesso parco), dove in effetti ancora oggi si può apprezzare una torretta comprensiva di mulino, risalente al XII secolo. Questa doveva effettivamente rappresentare un’area di vitale importanza per le guarnigioni della cavalleria crociata, sia per il rifornimento d’acqua che per i mulini presenti nella zona.
Stando allo stesso documento, la disputa fra Templari e Giovanniti non riguardava però solo l’accesso alle acque del Flumen Acconensis, ma anche la gestione e la ripartizione territoriale degli argini del fiume stesso, anche per l’installazione di mulini («molendina») e dei lavori di innalzamento degli argini («ripas fluminis»). Al punto che i due Ordini furono tenuti ad apporre una specifica segnaletica («signalucum») all’altezza dei loro mulini al fine di delimitare i rispettivi territori di competenza lungo l’area fluviale. Altro aspetto molto importante dello stesso documento riguarda poi gli intermediari che agirono da pacieri, ovvero «H[ugonem] Nazareno Archiepiscopum, R[adulphum] Acconensem Episcopum et nobilem virum O[done], comestabulum Regni Ierosolimitani», i quali vi impressero i rispettivi sigilli, proprio per sancire la riconciliazione – non si sa quanto forzata – tra i due Ordini. Dal tono della dichiarazione, si può intuire che controversie di questo genere non dovevano essere insolite e che le autorità religiose dell’area avevano una loro specifica funzione di arbitrato. Quanto ai Maestri dei due Ordini al centro della disputa, essi vengono chiaramente menzionati nella prima pagina del documento: «venerabilem fratrem A[rmandum], magistrus domus milicie Templi […] et veneralibem fratrem G[erinum], magistrum domus Hospitali sancti Johannis Jerosolimitani». Questi possono essere facilmente riconosciuti nelle persone di Armand de Périgord, maestro templare dal 1232 al 1234, e Guérin de Montaigu, maestro ospitaliere tra il 1231 e il 1236.
Ora, al di là di questa specifica controversia di per sé significativa del clima tra le due organizzazioni, dalla manciata di documenti rinvenuti da Le Roulx, emerge la forte propensione, tanto dell’Ordine templare quanto di quello giovannita, ad espandersi e affermarsi sul territorio per garantirsi sovranità e risorse sulle circoscrizioni di loro interesse. Si tratta di una dinamica competitiva nella quale si può già riconoscere la precisa volontà di affermare l’egemonia non delle autorità regnanti o religiose cattoliche, quanto degli stessi Ordini cavallereschi, intesi come corporazioni autonome. Tale propensione potrebbe essere peraltro ricollegata alle mutevoli alleanze strette nel Levante: non si dimentichi infatti che i due Ordini non disdegnavano affatto accordi e alleanze con le flotte mercantili; in particolare, con quelle provenienti da Venezia e Genova, le quali ebbero un peso enorme sugli equilibri di potere del tempo. Se, come affermato da Franco Cardini, i crociati del XII secolo «erano chiusi dietro le mura delle città cadute in mano loro, prigionieri nel paese nel quale avevano trionfato con apparente facilità», un secolo più tardi si può parlare di un tentativo dichiarato, da parte delle milizie occidentali, di espandere la loro egemonia sulle varie realtà locali del Levante. Una dinamica, questa, nella quale gli Ordini cavallereschi occidentali dovettero rivestire un ruolo di primo piano, per quanto alla lunga il loro atteggiamento si sarebbe rivelato fallimentare. In ogni caso, dopo il rigore etico e religioso che aveva contraddistinto gli inizi della loro missione, il tentativo di radicarsi stabilmente sul territorio li avrebbe inesorabilmente condotti verso una sempre maggiore politicizzazione.
In una prospettiva più ampia, va poi ricordato come nel corso del XIII secolo i due principali Ordini cavallereschi cristiani fossero riusciti a consolidare e proteggere le loro fortezze nel Levante, nonostante e a dispetto delle numerose rivalità e spaccature interne al campo crociato. Per l’Ordine di San Giovanni, la fortezza più rappresentativa era certamente l’imponente Krak des Chevaliers (Qalʿat al-Ḥiṣn),
nell’Odierna Siria. L’Ospedale ne avrebbe definitivamente perso il controllo nel 1271, per mano del sultano mamelucco-egiziano, al-Zahir Baybars (1220 ca. –1277). La roccaforte templare per eccellenza era invece Château Pèlerin (Atlit oppure, in ebraico, Khirbet Karta),
le cui rovine sorgono ancora oggi poco lontane dalla stessa Fons Recordane menzionata in precedenza. Château Pèlerin sarebbe stato edificato a inizio Duecento come rifugio per i Templari di stanza presso il Convento di Acri. I crociati ne persero il controllo nel 1291, a seguito della sconfitta nel celebre assedio di San Giovanni d’Acri condotto da un altro sultano mamelucco, ovvero al-Ashraf Khalil (1262–1293), anch’egli appartenente come al-Zahir Baybars alla dinastia Bahri. Questo assedio, che vide cavalieri del Tempio e dell’Ospedale combattere fianco a fianco per un’ultima volta, è mirabilmente narrato nella Cronaca del Templare di Tiro. In essa trovò la morte in circostanze tragiche uno degli ultimi maestri templari: Guillaume de Beaujeu. Dopo questa sconfitta, i pochi cavalieri sopravvissuti furono costretti a emigrare verso Cipro, dove ancora resisteva un trono crociato, ovvero quello di Enrico II di Lusignano (1271–1324). Da lì, nell’arco di appena due decenni, i destini dei due Ordini si sarebbero definitivamente divisi: messa in stato d’accusa e soppressione, per i Templari; pieno coinvolgimento nella guerra contro gli Ottomani quindi nelle varie battaglie del Mediterraneo, per gli Ospitalieri.
Sotto quest’ultimo riguardo, una breve nota retrospettiva va dedicata anche all’anomalia rappresentata dall’Ordo Hospitali: un unicum nell’ambito della cavalleria monastica medievale. A differenza dell’Ordine templare, la missione dei Giovanniti non conteneva infatti, all’atto della loro fondazione, alcun compito di tipo bellico. La loro conversione da Ordine assistenziale, ospedaliero appunto, a milizia armata non trova facili spiegazioni storiche. Sul primo maestro dei cavalieri di San Giovanni, Gerardo Sasso (1040 ca–1120), si hanno in effetti poche e accertate notizie. Originario della Campania (Scala o Amalfi), oppure secondo altre versioni di origine provenzale, Fra’ Gerardo fondò il primo nucleo della sua confraternita per l’assistenza di malati, soldati e pellegrini, presso il complesso monasteriale benedettino del quartiere latino di Gerusalemme, al tempo della Prima crociata; mentre già nel 1113 otteneva il riconoscimento papale dalla persona di Pasquale II. La Domus Hospitali Sancti Johannis sarebbe dunque di poco più antica rispetto a quella templare. La militarizzazione degli Ospitalieri, date per scontate le spiegazioni di carattere pratico e contingente, potrebbe trovare qualche spiegazione anche nella secolare rivalità con la ben disciplinata milizia templare. Non a caso, le due organizzazioni e i rispettivi maestri generali furono per quasi due secoli interconnessi e spesso menzionati unitamente nelle varie esortazioni e risoluzioni delle autorità religiose.
È in ogni caso importante ricordare che le due organizzazioni non rispondevano ad esigenze di carattere esclusivamente bellico. Almeno inizialmente, esse si distinguevano anzi per una loro precisa tensione contemplativa e incline alla sublimazione dei luoghi dei miracoli e della passione di Cristo. Il loro pellegrinaggio in armi, che dal punto di vista tradizionale cristiano rappresentava un’anomalia, non si riduceva comunque alla sete di conquista. Eppure, con l’affievolirsi del rigore etico e religioso, le preoccupazioni strategico-militari dovettero imporsi sempre più, a discapito delle più intime orazioni. Discordie come quella legata al Flumen Acconensis ci parlano di una crescente “volontà di potenza”, imperante all’interno delle due milizie. Proprio nell’oblio delle loro aspirazioni devozionali e contemplative, può forse nascondersi una delle cause della rotta e del ritiro delle due organizzazioni monastico-militari dal Levante, nonché un orizzonte di riflessione sulla loro decadenza.
La pratica religiosa e le concezioni simbologiche diffuse all’interno dei due Ordines erano forse già minate, fin dagli inizi, da un’interpretazione eccessivamente letterale dell’identificazione della Gerusalemme terrestre quale l’Umbilicus mundi e sorgente della rivelazione evangelica e apocalittica. Un’identificazione, come noto, che San Bernardo di Clairvaux e le altre autorità religiose avevano ancorato soprattutto ai «veri israelite» del Vecchio Testamento, dato che i Vangeli offrivano ben pochi appigli in tale direzione. Si ricordi infatti come «neque in monte hoc neque in Ierosólimis…» [Gv. 4, 21]. Questo ovviamente non esclude che i più meditativi tra i cavalieri templari, come anche degli Ospitalieri, fossero perfettamente in grado di avvertire la differenza tra oriente geografico e Oriente spirituale. Anzi, preziose testimonianze come quella di Usama ibn Mundiqh, contenuta nel Libro della riflessione (Kitāb al-iʿtibār), offrono puntuali conferme a tal riguardo; oltre a provare senza timore di smentita che, nel Levante delle Crociate, i “fanatici” Templari si trovarono non solo a stringere amicizia con personalità musulmane, ma anche a comprendere in pieno il loro linguaggio e la loro gestualità devozionale e contemplativa.
Per non lasciare nel vago la questione dell’orientamento spirituale, così centrale per l’immaginario sia dei crociati che della cavalleria iniziatica, si può ricorrere all’efficace definizione di Henry Corbin, secondo cui quello spirituale è «un ‘Oriente’ che sarebbe inutile cercare sulle mappe, come si illudono di fare i letteralisti». Il che è vero, avendo l’Est interiore una natura propriamente trascendente e non vincolata alle vicissitudini umane. Sarebbe dunque interessante ricollegare la degenerazione delle organizzazioni cavalleresche occidentali proprio al graduale oblio dell’autentico Oriente. La stessa dinamica “proto-colonizzatrice” a cui esse diedero vita nel Levante crociato potrebbe essere spiegata sullo sfondo della graduale obnubilazione e smarrimento che colpì la cavalleria del tempo nonché la sua capacità di orientarsi, appunto, verso un’autentica trascendenza. È in fin dei conti lo stesso smarrimento che affligge da secoli l’Occidente e che l’ha inesorabilmente avviato verso quell’algido pragmatismo e utilitarismo che costituisce il tratto più diffuso, distintivo e “contagioso” della mentalità in esso ormai imperante.
Le implicazioni di una constatazione di questo tipo sono ovviamente incalcolabili e vanno oltre ogni considerazione di tipo prettamente storico. Il lettore potrà trarne le conclusioni che riterrà più consone. In ogni caso, l’intento non è quello di imporre un’interpretazione univoca del fenomeno delle Crociate né di istituire l’ennesimo “Processo ai Templari”: questi d’altronde non ne hanno certamente bisogno, essendo già a pieno diritto l’Ordine cavalleresco più indagato e processato della storia! Ciò che s’intende suggerire è solo una lettura complessiva della parabola templare che possa, almeno in parte, essere riconnessa al naufragio irreversibile a cui l’Occidente è andato incontro negli ultimi sette secoli. Una lettura, inoltre, intesa a tracciare una marcata linea di congiunzione tra lo stesso oblio dell’Oriente spirituale e il destino colonialista dell’Occidente. Quel colonialismo eterno che, come si è già detto, è ormai letteralmente connaturato agli impulsi più funesti della mentalità occidentale.
In ogni caso, ed è bene precisarlo in conclusione, non è necessario processo alcuno per appurare che l’Ordine templare storico fu colpito da una profonda e letale degenerazione. Secondo Louis Charbonneau Lassay, uno dei massimi studiosi della simbologia dei Templari: «un lassismo incontestabile e pressoché generale nella pratica monastica, nonché numerosi e attestati disordini, servirono a piacimento i nemici del Tempio». È impressionante l’affinità di vedute tra Charbonneau Lassay e Giovanni Boccaccio, personalità così diverse e vissute a secoli di distanza. L’autore del Decameron infatti, riportando una testimonianza diretta del padre, così si esprime sul declino dell’Ordine:
«Così mentre appresso loro visse la povertà, matrigna delle libidini, la milizia il voto l’ordine e la regola del vivere ottimamente osservata li fece per santità molto famosi. Ma, mentre che a così pia opra da ogni parte le ricchezze de’ cristiani affluiscono recando aiuto, pian piano le delizie e le libidini incominciarono ad aver luogo, onde, sì come al principio gli uomini, lasciate le mortali ricchezze, entravano sotto quel sacro peso, medesimamente in seguito non soffrendo la povertà incominciarono a volgersi agli apparecchiati tesori. Indi a castelli e città e genti a comandare; a loro il riposo e ai servi dare il carico di combattere; e il magistrato della milizia, già ufficio di fatica, innalzato a grandissimo onore. Né vi è dubbio che, quanto cresceva la potenza, tanto anche mancava la santità. A tal partito declinando costoro dalla virtù, avvenne che un certo Iacopo (…) di nazione borgognone e della casa dei signori di Molai, giovane molto animoso, secondo le leggi della Francia il figliuolo maggiore restando erede di tutti i beni e le signorie paterne, e perciò restato povero, per fuggire il giogo del fratello, già divenuto signore, e per potere col tempo innalzarsi a maggiori cose, entrò come suo rifugio nella milizia dei Templari».
Gianfranco V. Strazzanti
Barrafranca (Enna), 7 luglio 2024
Copertina: Acri, Tunnel attribuito ai Templari, XIII secolo
RIFERIMENTI
Le Roulx Delaville, Joseph, Documents concernant les Templiers, Extraits des Archives de Malte, Typographie Plon, Paris, 1882; in part. pp. 1-9, per la tesi sulle possibilità di recupero dell’archivio templare; pp. 23-26, per il documento risalente al 1235 e relativo alla controversia sul Flumen Acconensis; numero d’archivio come indicato ivi: Arch. De Malte, Div. I, vol. 5, pièce 16.
Angiolini, Enrico, Percorsi archivistici per la storia dell’ordine Templare, in «Indagini e ricerche alla Magione templare di Bologna», Atti del convegno, Bologna, 5-6 febbraio 2016. A cura di E. Angiolini, Deputazione di storia patria per le province di Romagna, Documenti e studi, Vol. XLI, Bologna 2017, pp. 5-20.
Cardini, Franco, I poveri cavalieri del Cristo, Il Cerchio, Rimini, p. 82: «L’insicurezza delle strade di comunicazione nella Terrasanta “conquistata” dai crociati era terribile. Praticamente, essi erano chiusi dietro le mura delle città cadute in mano loro, prigionieri nel paese nel quale avevano trionfato con apparente facilità».
Riley-Smith, Jonathan, Templars and Hospitallers as Professed Religious in the Holy Land, University of Notre Dame Press, Indiana, 2010, p. 32: «The form of Chastel Pèlerin, south of Haifa, built with the help of the crusaders from 2017/18 onwards, was shaped by the promontory on which it stood, but it is clear from the references by Oliver of Padernborn to an oratorium and palatium, which was, he wrote, designed to be a refuge for the Templar convent from Acre, that enclosure was built into the planning from the start. This again took the form of an inner court, on one side of which there was the chapel»; cfr. Oliver of Paderborn, Schriften, ed. Hoogeweg. Tübingen, 1894, pp. 171.
Cronaca del Templare di Tiro, Liguori Editore, Napoli, 2000, in part. Capp. 243-295, pp. 199-253.
Seward, Desmond, The Monks of War, The Military Religious Order, Penguin, New York, 1972/1995, in part. The Birth of a New Vocation, pp. 23-42.
Usama ibn Mundiqh, The Book of Contemplation, Penguin, New York, 2008, p. 147. Ben noto è l’episodio della Moschea di Al-Aqsā, narrato nel Kitāb al-iʿtibār: un franco appena arrivato a Gerusalemme vuole costringere con la forza Usama ibn Mundiqh (1095–1188) a pregare verso oriente, mentre egli è invece rivolto verso la Mecca. In difesa del diplomatico e cronista siriano, accorre un gruppo di templari i quali allontanano il franco molesto. Nel periodo trascorso nella Città santa, pare che Usama fosse solito incontrare i cavalieri del Tempio; infatti, come egli stesso scrive: «Quando visitai Gerusalemme, solevo entrare nella moschea di Al-Aqsā, dove erano insediati i miei amici Templari. A fianco della moschea vi era un oratorio che i Franchi avevano trasformato in Chiesa. I Templari mi mettevano a disposizione quel piccolo oratorio per compiervi le mie preghiere». Cfr. Amin Maalouf, Le Crociate viste degli arabi, SEI, Torino, 1989, in part. Un emiro presso i barbari, pp. 143-159.
Corbin, Henry, L’immagine del Tempio, SE, Milano, 2010, p. 223; cfr. A. Ventura, Il Graal e l’Oriente, in Graal, simbolo millenario. Leggenda, storia, arte, esoterismo, a cura di G. Sessa, Arkeios, Roma, 2019, pp. 121-131.
Charbonneau Lassay, Louis, Simboli Templari. Il Sacro Cuore del torrione di Chinon attribuito ai cavalieri del Tempio, Il Cerchio, Rimini, 2017, p. 16.
Giovanni Boccaccio, De Iacopo, magistro Templariorum, in De Casibus Virorum Illustrium, XII, in Tutte le Opere, Vol. IX, a cura di V. Branca, Mondadori, Milano, 1983, pp. 824-825: «Sane, dum penes eos paupertas, noverca libidinum, viguit, militia; votum et vivendi exhibita norma optime sanctitate florentes. Attamen, dum pio labori undique Christianorum opes affluenter opem afferunt, sensim militantium mentes subintrare delitie atque libidines cepere, et uti a principio, relictis perituris divitiis, homines sacrum subibant onus, sic in processu quasi ad paratos thesauros ceperunt, inpatientes inopie, evolare. Inde castris urbibus et populis imperare; sibi quietem, servis bella commictere, et militie magistratum, oneris olim officium, in honorem potissimum sublimare. Nec dubium: quantum augebatur potentia, tantum minuebatut et sanctitas. Quibus, sic in declivium a virtute laberatibus, Iacobus, de quo sermo futurus est, burgundus origine et ex dominis Molai genitus, ingentis animi iuvenis, cum lege gallica filio natu maiori cessissent omnes patrie dignitates, pauper effectus, excussurus iam imperantis fratris iugum, ut aliquando ad maiora posset extolli, ad preparatum refugium – scilicet Templariorum militiam – sese contulit».