7 Ottobre 2024
Appunti di Storia

Modena, 1954: regna ancora il terrore rosso

 

Pietro Cappellari

 (“L’Ultima Crociata”, a. LXXIV, n. 2, Febbraio 2024)


 

I massacri partigiani dell’ultima fase della guerra iniziarono il 21 Aprile 1945, con la caduta di Bologna e il crollo definitivo della Linea Verde che permisero lo straripare dei carri armati angloamericani in tutta la Valle Padana.

La fine della guerra (2 Maggio 1945) aumentò l’intensità della vendetta partigiana che si poté liberamente sfogare contro inermi ed innocenti, compresi tanti ingenui reparti della RSI che, per amor di Patria e certi che nulla potesse essere loro addebitato, cedettero le armi alle bande ribelli scese dai monti, finendo poi decimati proprio dagli stessi partigiani, con le stesse armi che avevano ceduto.

Iniziò così il “terrore partigiano” che avviluppò tutta l’Italia Centro-Settentrionale per lunghi mesi, mettendo in scacco anche le Autorità del Regno d’Italia prima e della Repubblica Italiana poi. Omertà e paura la fecero da padroni. E su questo – oltre ovviamente che sul benestare degli Alleati di cui erano semplici amministratori – che si fondò il Governo dei CCLN.

Questa fase di “potere partigiano” si esaurì con la vittoria della Democrazia Cristiana – e la sonora sconfitta dell’asse sovversivo PCI-PSI – nelle elezioni del 18 Aprile 1948. Dopo tre anni finiva veramente la Seconda Guerra Mondiale ed iniziava una nuova pagina di storia per la nostra Nazione.

Tuttavia, nonostante l’assetto politico atlantista e democristiano che si impiantò da quel giorno, il sistema ciellenista non fu minimamente scalfito. Semplicemente, DC e PCI si divisero le “sfere di competenza” e se la Democrazia Cristiana prese il Governo della Nazione, il Partito Comunista – in attesa di una non improbabile vittoria elettorale futura – si accontentò di “sovietizzare” intere regioni. Ancor oggi, la sinistra ne incassa la tangente.

Nasceva la Prima Repubblica – con a base il sistema ciellenista –, quella repubblica che, seppur con nomi e colori diversi, e con il “completamento” tatarelliano a destra, vive ancora oggi!

Anche dopo il 18 Aprile 1948, le violenze antifasciste continuarono, sebbene le straordinarie vittorie elettorali del MSI del 1951-1952 inaugurarono una nuova stagione dove l’antifascismo fu messo in un angolo. Solo nel Luglio 1960 che il PCI lo resuscitò come instrumentum regni, inventandosi una Resistenza che mai c’era stata, ponendo le basi per la diffusione dell’odio politico, quell’odio che sarà il germe del quale si nutriranno le formazioni extraparlamentari di sinistra e finirà per giustificare la lotta armata.

Come abbiamo detto, con la prima “ondata nera” del 1951-1952, per il MSI si aprì una nuova stagione di speranze: quella della completa pacificazione tra gli Italiani e di una sua investitura governativa, ovviamente in Governi di coalizione a guida democristiana.

Ci saranno però alcune regioni dove l’odio antifascista non morirà mai e costituì l’humus sul quale PCI e PSI, ma anche la stessa DC, coltiveranno la loro politica per il potere. È il caso dell’Emilia e della Romagna, dove ancora echeggiavano le grida delle stragi della “Primavera di sangue” del 1945.

Nel Dicembre 1954, ad esempio, “Lotta Politica”, il giornale del Movimento Sociale Italiano, a quasi dieci anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, denunciava la situazione intollerabile che si registrava nella provincia di Modena, ormai completamente “sovietizzata”. Un articolo che vogliamo riproporre per far conoscere ai nostri lettori come si viveva in quegli anni, in quelle regioni e che vita eroica conducevano i militanti del MSI.

Le cronache politiche del dopoguerra sono sempre state concordi nel porre Modena al vertice dell’organizzazione comunista dell’Emilia e quindi della penisola. Dal 1945, attraverso quasi un decennio, la città della Ghirlandina è continuamente citata all’ordine del giorno dei torbidi politico- sindacali, e le stesse gerarchie delle botteghe oscure non nascondono la loro viva soddisfazione per l’alto grado di efficienza cui da tempo è giunta la Federazione modenese del PCI assieme a tutto il complesso degli organi e degli organismi paralleli più o meno abilmente camuffati, ma tutti ugualmente funzionanti e quanto mai pericolosi ai fini della disintegrazione dell’ordine costituito. La provincia di Modena rappresenta, assieme alle confinanti Bologna, Ferrara e Reggio Emilia, uno solido quadrilatero, un cardine, possiamo chiamarlo, per il bolscevismo della Valle Padana, cardine dove centinaia di migliaia di operai, braccianti, contadini, artigiani e fino anche piccolo-borghesi sono irreggimentati in maniera esemplare nella disciplina più assoluta, agli ordini di funzionari privi di ogni scrupolo, intelligenti nel significato criminale della parola, ottimi organizzatori ed aventi a loro disposizione mezzi finanziari praticamente illimitati.

Questo stato di cose esiste già da vari anni, è il caso di dire, dalla Primavera del 1945. E da allora che ininterrottamente i rossi lavorano scientificamente queste zone con una propaganda indirizzata in ogni settore della vita economica e grazie ad un’abilissima selezione di quadri. Da notare che se otto o nove anni fa il terrore e l’omertà regnavano ben più sovrani di quello che in realtà non accada ora, ciò lo si deve, oltre che ad una naturale normalizzazione degli eventi, principalmente alla tattica moderatrice impostata da Togliatti, negli ultimi anni, al Comitato Centrale del PCI e quindi ai quadri periferici, tattica che mira a non intimorire eccessivamente la borghesia italiana per evitare una sua reazione organizzata e giungere così, attraverso le vie elettorali, ad una conquista legale del potere. È bene tuttavia tenere presente che, a lungo andare, potrebbe crearsi per il PCI il grosso pericolo di privare la massa del suo mordente rivoluzionario, rendendola più vulnerabile agli attacchi di una propaganda anticomunista impostata su basi reali e concrete.

Logico sarebbe dunque che il Governo e i partiti politici, veramente anticomunisti, rivolgessero un occhio vigile su questa terra, che l’eventualità di una sommossa a carattere nazionale, sommossa inquadrata solo nei piani sovietici da attuare in caso di conflitto internazionale, pone fra le più prossime candidate al ruolo di repubblichetta rossa. Logico sarebbe anche che questo Governo, mai stanco nel programmare fantomatici ‘piani di difesa delle istituzioni democratiche’, avesse già da tempo diramato le opportune disposizioni per una solida campagna di attacco e di scardinamento delle forti posizioni comuniste nella ‘bassa’ emiliana, roccaforte del suo destino italiano, e quindi in questa particolare zona della ‘bassa’ che è Modena con la sua provincia. E vedremo perché è particolare. Ma prima analizziamo ciò che i vari Governi democristiani o i quadripartitici hanno fatto, o meglio ciò che non hanno fatto per arginare questa mostruosa macchina che è l’apparato comunista modenese.

Parlo dei Governi e non delle Autorità provinciali, perché, se a queste ultime si può addebitare un’eccessiva arrendevolezza nei confronti dell’organizzazione bolsceviche locali, la responsabilità ricade, senza possibilità di scampo, sui vari Ministri interessati, che in certi casi ignorano l’inettitudine del funzionario, ed in altri si preoccupano di trattenere la ‘controproducente impulsività’, così come viene definito a Roma il desiderio di fare rispettare decisamente le leggi, e ciò per timore di urtare troppo la suscettibilità dei dirigenti rossi. E, naturalmente, nel desiderio di evitare ad ogni costo quelle agitazioni di piazza che tanto nocciono ai piani di assorbimento o, peggio, di apertura a sinistra di quei socialdemocratici o democristiani di ‘sinistra’ che condividono responsabilità di governo.

Ecco un esempio tra gli ultimi in ordine di tempo, e quanto mai convincente nel modo con cui ci si illude di debellare il comunismo in Emilia. Sono state eseguite nel mese scorso, ed altre sono tuttora in corso, diverse operazioni di sfratto, ordinate dall’Intendenza di Finanza nei confronti delle organizzazioni di estrema sinistra (PCI, PSI, ANPI, C.d.L., ecc.), che alla fine della guerra occupavano abusivamente gli stabilimenti già del PNF e ONB. Per tali operazioni e conseguente sgombro del mobilio le Autorità competenti si sono rivolte alla locale Unione della CISNAL poiché, a quanto sembra, né CISL né UIL hanno creduto bene di interessarsi della faccenda, esponendo i propri aderenti alle non improbabili rappresaglie dei rossi. La CISNAL invece ha invece provveduto ad inviare i suoi organizzati nelle varie località della provincia, ma quale non è stata la sorpresa di questi coraggiosi operai nel vedersi, nell’esercizio delle proprie funzioni, attorniati, minacciati quasi malmenati dalle squadre comuniste mandate sul posto per farvi desistere dal lavoro, mentre la forza pubblica presente rimaneva inerte e passiva limitandosi ogni tanto ad inviare assai poco energicamente i più facinorosi a «lasciar fare». In località S. Damaso il PCI provvedeva a far fotografare i lavoratori della CISNAL mentre due giorni dopo l’edizione modenese del ‘L’Unità’ era in grado di pubblicare un elenco con nome, cognome e domicilio di molti fra gli operai che avevano eseguito lo sfratto, e tutto ciò senza alcuna reazione degli organi di PS, i quali non dovevano certo ignorare che pubblicare quell’elenco ed in quel giornale equivaleva a rendere nota una lista di proscrizione. Due settimane più tardi, in Comune di Spilamberto, la squadra della CISNAL dichiarava all’Ufficiale comandante i Carabinieri in servizio di ‘protezione’ che avrebbe provveduto da sola alla propria difesa, se prima non si obbligavano ad uscire i numerosi attivisti rossi, uomini e donne, che negli stessi locali della Casa del Fascio ed in presenza degli Agenti, insultavano gli operai e ne sabotavano l’opera di sgombro. Nello stesso giorno, alle ferme proteste dei nostri dirigenti sindacali recatisi agli uffici competenti, i funzionari preposti all’ordine pubblico rispondevano che la presenza di operai missini irritava troppo le popolazioni locali, e non era quindi il caso di provocarle con un contegno più deciso (sic!).

Questo, dicevamo, vale ad esempio della generale acquiescenza che il Governo, tramite i suoi organi, dimostra verso le organizzazioni sovversive. Vedremo in seguito di produrne altri e vedremo anche come tali organizzazioni si diramino capillarmente nelle stesse branche della pubblica amministrazione modenese, e da quali fonti attraggono quell’esuberanza di mezzi che è facile constatare” (L.A., A Modena cardine del comunismo emiliano regna la teppa con la “legge” del terrore, “Lotta Politica”, a. VI, n. 50, 16 Dicembre 1954).

Pietro Cappellari

 (“L’Ultima Crociata”, a. LXXIV, n. 2, Febbraio 2024)

 

Copertina: parteciparelademocrazia.it/luoghi/feste-de-l-unita-giardini-pubblici-modena

 

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