28 Agosto 2024
Recensione

La vera storia di Eva e il Serpente – Tobias Fior

Fin dalla notte dei tempi ciò che ha sempre accomunato gli esseri umani è stata la volontà di conoscere, di capire, di comprendere la ragione delle cose. Se c’è qualcosa che più di tutte può spingere gli uomini a muoversi è proprio questa volontà di conoscere e di ricercare l’origine e la fonte delle cose. Non esisterebbero studi, teorie, indagini, supposizioni, se gli esseri umani non fossero spinti da questa, talvolta, smania di sapere e di ricercare. È proprio questa propulsione alla conoscenza che dà origine ai libri, agli studi, alle monografie, che spesso richiedono anni di ricerche e sforzi non indifferenti.

È proprio ciò che Rita Remagnino ha fatto nel volume “La vera storia di Eva e il Serpente” (Audax Editrice, luglio 2024), trattando un tema che per millenni ha affascinato generazioni di studiosi, a cominciare dai rabbini e dai dottori della Legge, passando per i cabalisti medievali, fino ad arrivare agli antichi rishi e sadhu indiani: quello della storia di Eva, che secondo la Bibbia, fu la madre di tutta l’umanità. Ma quello che Rita Remagnino ha voluto fare, in una ricerca che coinvolge svariati campi del sapere, è stato quello di concentrarsi in particolare sulla vicenda della tentazione di Eva da parte di quello che viene descritto come il più astuto degli animali, il Serpente.

In questa mia breve recensione porrò l’attenzione su alcuni importanti aspetti della vicenda biblica dell’uomo e della donna, di Adamo e di Eva. Tali aspetti molto spesso vengono dati per scontati, ma una lettura più approfondita favorirebbe di gran lunga la comprensione di un testo considerato, a ragione, molto ostico.


Eva, l’ultima creazione di Dio?

Come è riportato nella Genesi, Dio creò il mondo in sei giorni e il settimo si riposò. Prima del riposo Dio creò l’uomo, lo formò “a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza”. Il racconto biblico spiega che l’uomo venne plasmato con la polvere del suolo e reso “un’anima vivente” attraverso l’alito di Dio. A questo punto Dio collocò un giardino in Eden e vi pose l’uomo, che però era solo, senza un “aiuto che gli corrispondesse”.

Gli animali che Dio aveva plasmato per l’uomo non erano un valido aiuto, non erano abbastanza per lui. Doveva esserci qualcuno di più e Dio sapeva da dove trarlo: dall’uomo stesso. Si legge quindi che Dio fece cadere un sonno profondo sull’uomo e, dopo aver tolto una delle sue costole, “formò con la costola che aveva tolta […] una donna, e la condusse all’uomo”.

Attorno alla vicenda della costola da cui è stata tratta la donna, si sono spese centinaia di migliaia di parole e spesso molte di queste sono ilari e ironiche. Ma la Bibbia dice proprio così? Oppure il senso che intendeva darne l’autore di Genesi era tutt’altro? La cosa che bisogna fare in questi casi è quella di prendere in mano il testo ebraico e cercare il termine che ricondurrebbe alla traduzione di “costola”.

Nel testo ebraico troviamo il termine “tzelà”, che viene tradotto normalmente come “costola”, ma consultando un dizionario ebraico troviamo che questo termine viene spesso tradotto anche come “metà”, “una parte”, oltre a termini come “tavola”, “camera laterale”, in base al contesto nel quale si colloca questo vocabolo. Una volta compreso che il vocabolo “tzelà” può essere tradotto anche come “una parte”, possiamo considerare di tradurre il passo genesiaco in questo modo: “gli tolse una parte e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la parte, che aveva tolto all’uomo, una donna e la condusse all’uomo”.

Tradotto in questo modo trovano più senso le parole pronunciate successivamente dall’uomo: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne”. Lasciando intendere che non poteva essere solamente una costola, ma una parte, appunto, ben più consistente, in modo da poter formare la donna. A questo punto viene spontaneo chiedersi se la donna possa essere considerata anch’essa una creazione di Dio, in più rispetto all’uomo, quasi una sorta di ultima creazione. Ma così non può essere, perché Dio già in principio quando creò l’uomo “maschio e femmina li creò”.

Dio non creò prima l’uomo inteso come maschio e poi la donna intesa come femmina, quando nella Genesi si parla di uomo si intende “l’essere umano”, dove coesistevano il maschio e la femmina. Quindi nel momento in cui Dio toglie una parte per formare la donna, compie un atto di separazione, è in questo momento che l’essere umano viene separato dando vita a quello che viene definito “genere”.

Questo processo di separazione non è affatto una novità, ma un processo che Dio è solito compiere in tutta la creazione: separa la luce dalle tenebre; con il firmamento separa le acque che sono sotto dalle acque che sono sopra; e anche nel caso dell’essere umano, compie una separazione. Ecco spiegato anche Genesi 2:24: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne” [corsivo dell’Autore]. Questo essere un’unica carne è il tentativo di tornare a quello stato originario, a quello stato senza separazione, a quell’unico essere.


La caduta

Non sappiamo molto rispetto a come vivessero Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden, secondo alcune teorie vivevano quasi in uno stato di ‘innocenza’, non conoscendo cosa fosse la gioia o l’infelicità. Non erano quindi soggetti alla conoscenza del bene e del male, quella conoscenza che era a portata di mano, perché si trovava esattamente al centro del giardino, in quell’albero di cui Dio aveva proibito loro di mangiarne i frutti.

È proprio a questo punto che avviene un’altra separazione, forse la separazione più grande che l’uomo potesse (e possa ancora a volte) sperimentare, ovvero la separazione da Dio. Il serpente, “il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto”, con le sue parole circuisce Eva, in qualche modo la seduce, le dice che mangiando dell’albero “sareste come Dio, conoscendo il bene e il male”.

A Eva si apre così la possibilità di poter acquisire la conoscenza del bene e del male, guarda quell’albero, lo vede così “gradevole agli occhi” e “desiderabile per acquistare saggezza”. In quel momento potrebbe anche aver pensato che Dio aveva comandato di non mangiarne, ma la tentazione è forte e vi cede con tutta se stessa. Ne prende il frutto lo mangia e ne dà anche all’uomo.

A quel punto quindi vengono a conoscere la differenza tra bene e male, tra la pudicizia e l’impudicizia, tanto che si accorgono di essere nudi e come prima cosa si coprono le nudità. Non passa molto tempo prima che all’udire Dio che cammina nel giardino, Adamo ed Eva, si nascondono per paura. L’uomo confessa a Dio di essersi nascosto per paura, ma aggiunge “perché sono nudo”, si tratta di una di quelle scuse che si aggiungono per giustificare un sentimento, che in realtà nasconde ben altro.

Il primo sentimento che provarono l’uomo e la donna fu quindi quello della paura e la Bibbia usa proprio il verbo “yaré”, che significa “paura”, ma anche un timore reverenziale. Quindi non si trattava di una paura casuale, ingiustificata, e non era la paura dell’essere nudi, non provavano vergogna per essere nudi, infatti, si erano già coperti. Quella paura era il timore di Dio e di sapere di aver commesso qualcosa di sbagliato, quindi una paura suscitata dal rimorso.

Adamo ed Eva sapevano che Dio aveva comandato loro di non mangiare dell’albero al centro del giardino, ma lo avevano fatto e in quel momento provavano rimorso per aver disobbedito, o meglio per aver scelto di disobbedire. È proprio qui che nasce il libero arbitrio, possiamo decidere se rispettare un comandamento o se non rispettarlo, come sappiamo benissimo che la disobbedienza porta inevitabilmente a delle conseguenze.

Adamo ed Eva subiscono le conseguenze della loro disobbedienza, vengono cacciati dal paradiso terrestre, vengono allontanati dalla presenza di Dio, che è la separazione di cui si parlava in precedenza. Alcune teorie, note tra i rabbini in particolare tra gli studiosi della Cabala, sostengono che in quel momento l’uomo e la donna divennero corpi in carne ed ossa, mentre prima sarebbero stati una specie di esseri di luce.

Si tratta di una teoria che prende spunto dal versetto “fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì”, queste tuniche sarebbero la nostra epidermide. Teorie complesse e basate su un corpus di insegnamenti che risalgono al Medioevo, un’epoca decisamente lontana dalla redazione del Pentateuco.

Resta comunque il fatto che Adamo ed Eva dal momento in cui furono cacciati dall’Eden possedevano anche la facoltà di discernere il bene dal male e questo verrà ribadito da Dio a Caino quando gli dirà: “Perché sei irritato, e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai”. L’uomo può scegliere tra il bene e il male, può scegliere se agire bene o agire male, proprio come rappresentato dalla vicenda di Caino e Abele. Ma questa è un’altra storia.

 

 

 

Tobias Fior, nato nel 1989 a Tolmezzo, vive a Verzegnis (Udine). Scrittore e studioso di Gabriele d’Annunzio, ha scritto romanzi e saggi. Sta concludendo un percorso di studi in scienze bibliche.

Giangi Pezzotti ha dipinto le tavole che corredano il testo, di cui fanno parte le immagini incluse nell’articolo

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