Ci si chiede quale, come sarà il teatro di guerra della guerra del futuro semmai si producesse una guerra.
Senza addentrarci per ora in una definizione esplicita della guerra diasi per certo che la guerra del futuro si svolgerà senz’altro in un teatro che non distinguerà più la città dalla campagna nel senso che la superficie terrestre assumerà sempre più l’aspetto di un’immensa ed estesa città. Se ne deduce pertanto che la guerra del futuro sarà una guerra civile all’interno di una sola e unica città estesa su tutta la superficie terrestre.
Se i confini erano dapprima quelli che segnavano la differenza tra la città e la campagna non ci saranno più confini.
Non ci saranno più campagne di guerra per la semplice ragione che non ci saranno più campagne.
La guerra peraltro che è stata definita come una migrazione armata alla ricerca e alla conquista di nuovi territori sarà una guerra quasi del tutto disarmata macroscopicamente in modo evidente di trasferimento da un luogo all’altro dalla periferia verso il centro della città urbana o da un quartiere all’altro.
Una guerra che si svolga all’interno di una stessa città è quel che si definisce una guerra civile.
La guerra del futuro sarà una guerra civile universale.
Quelle guerre che sono state concepite come invasioni di popoli armati ad occupare territori estranei a una loro stabile residenza non avranno più luogo non essendovi più luoghi propri di conquista né d’insediamento stabile. Il terrorismo ne è in un certo senso l’avanguardia.
Veniamo ora a una definizione o forse meglio a una ridefinizione della guerra futura sulla base della trasformazione del territorio inteso come teatro di guerra universale.
Se la guerra e la pace sono come stadi della materia come poniamo quello aeriforme opposto al solido piuttosto che come l’opposizione di termini contraddittori come il pari e il dispari di cui non si dà medietà, allora potrà aversi uno stadio intermedio di liquidità ovverosia di pace guerreggiata o di guerra pacificata. Da una simile considerazione sono esentati coloro che credono nella purezza, indipendenza della pace per rispetto alla guerra come manifestazione del male allo stato puro. Per costoro la pace coincide con la santità emendata e la guerra con il malanimo innato.
Il punto di vista che qui si esprime è invece che la guerra si oppone alla pace nella forma della contrarietà come il latte al caffè nel caffellatte. Per ottenere la pace non può che aumentarsi il latte nel caffellatte, ma non si potrà mai ritornare al puro latte muovendo dal caffellatte.
Il punto di vista che la pace e la guerra non si contrappongano tra di loro come il pari al dispari fa sì che non si possa pensare a uno stato di pace assoluta come non si è mai assistito a uno stato di guerra assoluta. Una guerra che si concludesse nella forma di una guerra assoluta non lascerebbe sul campo nessun vivo nel senso né di nessun vincitore, né di nessun vincente o di tutti vincitori o tutti egualmente vincenti e perdenti cioè defunti. Coloro che argomentano partendo dalla credenza e non già dall’osservazione che nessuno esce vincitore da una guerra dovrebbero riflettere sul fatto che anche i vincitori muoiono successivamente nonostante abbiano vinto la guerra. E’ soltanto con la morte definitiva e non anticipata dei vincitori che si può affermare che in una guerra sono tutti perdenti!
Dal principio dell’ ineliminabilità della guerra assoluta come della pace assoluta si evince che si potrà pervenire a una pace maggiore se si riusciranno a rimuovere tutte le cause di guerra come si farebbe nel raffreddare l’agitazione della materia portandola dallo stato irrequieto di gassosità bellicosa a quello di solidità, solidarietà pacifica e immota o tutt’al più commossa.
Se effettivamente si dovesse pervenire a un’eguaglianza assoluta non vi sarebbe più alcuna tensione per diventare quel che non si è, dal momento che ciascuna particola della materia da agitata che era per spostarsi laddove non si trovava, resterebbe quieta al suo posto come le molecole di un reticolo cristallino.
Se un qualsiasi organismo non fosse più costretto per sostentarsi a ingerire e deiettare materia dal suo intorno ambientale nel suo intorno ambientale, si avrebbe la bilancia immobile di un appagamento universale privo d’ogni moto e squilibrio. Epperò nemmeno i vermi di un cadavere rinunciano a torcersi per crescere nutrendosi dell’humus e del marcio per riprodursi secondo il principio dell’ omne vivum ex ovo.
La pace universale così definita sembra essere una condizione cui si dovrebbe comunque pervenire alla lunga. Il raffreddamento della cupidigia, del desiderio del nuovo, l’eguaglianza sociale, la nessuna differenza di classe, stirpe, nazione, razza sono la via maestra che condurrà alla pace universale.
Non può essere però la pace universale come un’eguaglianza verso l’alto o verso l’altro migliore o peggiore che sia, perché l’eguaglianza in quanto tale non ha a priori né alto, né basso. Non si potrà pertanto dire che alla fine della metamorfosi saremo tutti ricchi piuttosto che tutti poveri, ma saremo tutti tuttalpiù egualmente ricchi od egualmente poveri e senza poter più distinguere il ricco dal povero verranno meno gli stessi nomi di ricco e povero.
Basteranno le risorse presenti a compiere una simile metamorfosi?
Se l’evoluzione anonimamente avesse scelto una simile strada o soluzione per l’umanità, secondo taluni scienziati come Leroy Gouran, l’umanità si sarebbe estinta da tempo. La selezione per il passato è stata crudele e violenta. Se così non fosse stato non ci saremmo noi a parlarne.
Non si può escludere però che ci siano oggi i mezzi sufficienti per sostenere la sopravvivenza in condizioni eguali e ottimali per tutta l’umanità quale che sia la sua condizione di indigenza, intelligenza e salute. Non si può escludere infatti a priori un miracolo dal momento che il miracolo non è escluso dall’economia del pensiero nel senso che lo si può pensare come possibile perché che quel che si realizza è comunque dapprima pensato prima che lo si possa realizzare. Chi pensa che ce ne sia per tutti è legittimato a pensarlo, quanto al realizzarlo ciò compete al futuro e nessun futuro è accessibile dal presente della dimostrazione. Sperare è un darsi da fare e non già un dimostrare.
Nel frattempo della realizzazione a venire della pace universale si avrà una guerra universale, urbana e civile. Non essendovi differenze in prospettiva né di status, per la tendenza all’eguaglianza, né di luogo per il venir meno della città e della campagna la guerra sarà una guerra inevitabilmente ideologica.
Topologia della guerra futura
Forse Trump non è poi così intelligente ma è pur sempre un segno dei tempi. Trump secondo una definizione di stato di guerra che rimonta addirittura al VI secolo A.C. ha dichiarato lo stato di guerra universale. Il primo gradino che si sale o il limite che si varca è quello della chiusura o determinazione delle frontiere. Da quel momento inizia la guerra. La differenza con l’attualità è che le guerre cui si pensa normalmente sono guerre per così dire geometriche. Si ha però accanto a una guerra geometrica un guerra che potrebbe chiamarsi topologica. L’opposizione potrebbe convertirsi nell’ opposizione rigido vs. fluido. In topologia non si fa questione di grandezza ma si addiviene a dei concetti che ne prescindono. Il corredo delle forme topologiche tiene conto soltanto della continuità discontinuità nel senso che gli oggetti della speculazione topologica sono figure spaziali geometriche che non si possono né lacerare né incollare tra loro ma soltanto plasmare. Non sono ammesse saldature né rotture nell’ambito di una forma ma soltanto deformazioni il cui insieme costituisce propriamente una forma. E’ una geometria della continuità. Il dentro fuori declina una stessa forma al punto che non è più chiaramente intuibile che cosa sia il dentro e che cosa sia il fuori come nella bottiglia di Klein.
L’impossibilità che ne deriva aggiusta l’intuizione in termini di ragione e trasforma l’illusione in certezza.
La guerra del presente e del futuro sarà pertanto una guerra civile o intestina si scala globale. Non ci si può aspettare o mettere il nemico al di fuori di noi o tutto da una parte. Come in certe versioni ingannevoli della curva di Jordan non si può sapere se il punto nemico sta dentro o fuori del confine.
Si potrebbe addirittura definire una simile guerra o contesa come un intreccio confinario!
E’ significativo che una tale consapevolezza si susciti negli USA che nascono in effetti da una lunga, sanguinosa ed estrema guerra civile.
Ora il campo di battaglia o contesa in una simile forma di guerra è universale e per non essere geografico è ideologico. Da una tale premessa discende come suo corollario che una contesa siffatta è universale e verte sull’universalità dei principi.
Non si tratta geometricamente di dilatare grandezze ma dell’annientamento di forme. Una guerra civile è una guerra totalizzante che non consente mediazione. A differenza di una guerra di conquista, di espansione territoriale o subordinazione servile, schiavizzazione del nemico non prevede un’integrazione subordinata del nemico ma una sua totale estinzione sterminatrice.
A suo tempo il Tarde vaticinava agli inizi del 900 come scontro finale quello tra l’Occidente e l’Islam dacché a suo parere l’autentica opposizione consisteva proprio tra un credo fondato sull’articolazione cruciale tra umanità e divinità, come nel paganesimo e nel cristianesimo e l’assoluto di una netta distinzione tra il divino e l’umano quale si ha nell’Islam. L’inconciliabilità tra l’Islam e il non Islam si ha a priori e la soluzione a posteriori è affidata al caso e all’attesa. Tarde sembra essere ottimista e scorge in quest’ultima fase l’oriente di una rappacificazione universale frutto dell’affermazione di una superiore tecnologia dello spirito nello stile di una speranza kantiana o per l’affermarsi definitivo di una supremazia scientifica di stampo positivista. Come andrà a finire non possiamo assolutamente saperlo! La differenza dell’esito si assimila a quella di un incontro di boxe. KO od OK.
Tertium non datur!