Si tiene a Bergamo il Festival del Movimento Distributista Italiano, impegnato a diffondere il pensiero economico del grande scrittore cattolico Gilbert K. Chesterton. E’ l’occasione per riflettere su un concetto centrale dell’autore dei Racconti di Padre Brown e del suo sodale Hilaire Belloc, i dioscuri del distributismo. Parliamo del bene comune, a cui aggiungiamo la tutela dei beni comuni. Non si tratta di un gioco di parole, ma dei due anelli principali della catena di un’economia (e di una società) finalmente giusta. E’ sconcertante che il dibattito economico, dopo la fine del comunismo reale novecentesco, giri attorno a un’unica teoria, proclamata scienza, il liberismo economico.
I marxisti hanno ripiegato sui diritti individuali, dimenticando la sfera sociale e la difesa dei ceti deboli. Non esiste più il proletariato, ma una sterminata plebe desiderante resa dipendente dal consumismo, manipolata dall’immensa macchina pubblicitaria. Il liberismo divora la società intera con il suo individualismo egoista, violento, con la competizione in ogni ambito della vita che invera la guerra di tutti contro tutti. Un conflitto in cui vince il più forte, ossia il più provvisto di denaro, chi possiede i mezzi di produzione, e soprattutto, nel XXI secolo, le reti tecnologiche ed informatiche oltreché l’apparato di comunicazione ed intrattenimento che forgia la mentalità corrente.
Serve dare battaglia, riaprire il dibattito economico e finanziario, ancorandolo a valori diversi dal “lasciare fare, lasciar passare” del liberalismo. E’ urgente restituire respiro etico al pensiero economico, riumanizzarlo. Il concetto chiave è il bene comune, declinato in maniera opposta alla follia del mercato misura di tutte le cose, senza cadere nel collettivismo, le cui pessime prove ne hanno decretato il fallimento storico. Definire il bene comune è impresa difficile. Semplificando, può essere definito il perseguimento dell’interesse generale nell’ambito dell’etica, della politica e dell’economia, della vita sociale. Secondo Tommaso d’Aquino la nozione di legge è legata al bene comune, poiché “non è che una prescrizione della ragione, in ordine al bene comune, promulgata dal soggetto alla guida della comunità” (Summa Theologiae). Il bene comune è anche il fine comune, tanto che “costituendosi la legge innanzitutto per riferimento al bene comune, qualsiasi altro precetto sopra un oggetto particolare non ha ragione di legge sino a quando non si riferisce al bene comune”. L’individualismo liberale pensa il contrario, arrivando a teorizzare che la ricerca del successo individuale determina per magia l’interesse generale .
E’ urgente reagire contro un’ideologi – il liberal liberismo – che mette gli uomini gli uni contro gli altri producendo ingiustizie intollerabili. Nella sua forma attuale, le differenze con il comunismo si affievoliscono: la proprietà privata è infatti declinata come trionfo di pochi potentati economico finanziari che possiedono tutto, ma proprio tutto – anche le coscienze – rendendo la schiacciante maggioranza serva o addirittura schiava. Un mondo di atomi precari senza possibilità di diventare proprietari della propria casa o del fondo agricolo, impossibilitati a realizzare un progetto di vita diverso da quello del nomade che – dicono – non avrà nulla ma sarà felice.
Chesterton affermò che il problema del capitalismo è che ci sono troppo pochi capitalisti. Ne intuiva la natura totalitaria, bulimica, illimitata. Inglese, non poteva ignorare la violenza della prima e della seconda rivoluzione industriale, lo sradicamento coatto di milioni di persone dalle campagne a seguito delle infami leggi che chiusero i terreni comuni (enclosures) spingendo uomini, donne, bambini alla fame e al lavoro nella nascente industria. Fu il primo a comprendere che la crisi della famiglia era responsabilità del sistema capitalistico, che allontanava gli uomini dalla comunità naturale. Lontananza fisica, poiché i luoghi di lavoro erano , per la prima volta nella storia, lontani dalle case e dai paesi d’origine; lontananza spirituale, per gli orari massacranti che rendevano residuale il rapporto con genitori, figli, coniugi, fratelli; lontananza esistenziale, poiché l’individualismo raggiungeva ogni strato della società
Se questo era vero già un secolo fa, il nostro tempo ha portato a compimento la crisi di tutte le comunità naturali, polverizzando la società. Ogni rivoluzione tecnologica – le prime rivoluzioni industriali furono figlie della macchina a vapore, la terza dell’automazione e del lavoro in serie, quella presente delle tecnoscienze che sostituiscono l’uomo – coincide con una rivoluzione ideologica. Oggi sperimentiamo la presa del potere totalitario da parte delle oligarchie finanziarie e tecnologiche globaliste. All’uomo occidentale del XXI secolo viene ordinato di essere un soggetto isolato alla deriva, privo di legami, indifferente agli altri, confinato in un Io ipertrofico e insieme minimo, una macchina desiderante dipendente da piaceri volgari (Tocqueville) e da consumi compulsivi.
La nozione di bene comune è cancellata, sostituita dall’interesse personale in basso e dall’ onnipotenza dei padroni universali in alto. Hanno maschilizzato la donna per inserirla nel meccanismo del lavoro salariato e femminilizzato l’uomo: entrambi trasformati in monadi dedite al consumo, sottratti al destino comune, all’incontro, alla famiglia, alla comunità. Nessun bene comune, solo il perseguimento dell’interesse individuale immediato. In ambito economico, questo significa disinteresse per l’Altro, per la dimensione collettiva, per ogni forma di giustizia sociale e di progetto condiviso. Peggio del comunismo.
Siamo entrati nella condizione servile di cui parlava Hilaire Belloc. “ Definiamo stato servile l’ordinamento di una società nella quale il numero di famiglie e di individui costretti dalla legge a lavorare a beneficio di altre famiglie e altri individui è tanto grande da far sì che questo lavoro si imprima sull’intera comunità come un marchio”. I soggetti dominanti sono i vertici della finanza, le grandi multinazionali, i fondi di investimento, i detentori delle tecnologie elettroniche di controllo, comunicazione, sorveglianza. Per l’ antropologa Ida Magli “due sono i pilastri che reggono la costruzione del Nuovo Ordine in vista del governo mondiale: il primo è l’accentramento del potere nelle mani dei banchieri, con la produzione del denaro e la creazione del debito pubblico; il secondo è la rete di associazioni create dagli uomini più ricchi e potenti per preparare e realizzare, con l’omogeneizzazione di tutti i popoli, un sistema di governo unico, con una moneta unica, una lingua unica, una religione unica.”
Il dramma è che questo sistema luciferino neppure funziona, se non per i suoi vertici, l’uno per cento della popolazione, assistita da ceti di servizio (tecnologici, culturali, burocratici, polizieschi) che arrivano forse al dieci per cento. E il novanta per cento, la trascurabile maggioranza (Ennio Flaiano) ? Siamo le vittime– felici fintanto che sono soddisfatte le molteplici dipendenze in cui ci hanno rinchiusi – donatori di sangue di una minoranza, l’ oligarchia “estrattiva” che sugge risorse, lavoro, sangue e vita da tutti noi. Disfunzionale, giacché non riesce a realizzare le sue promesse e diffonde sacche di povertà, sottosviluppo e vero e proprio regresso. Perfino la Germania, la maggiore manifattura d’Europa, pensa di chiudere gli stabilimenti della Volkswagen, uno choc nazionale.
In compenso, l’oligarchia estrattiva continua ad accumulare potere senza pagare le tasse agli impotenti Stati nazionali. Google era stata condannata a una multa di un miliardo e mezzo in sede europea, ma la Corte di Giustizia (le parole invertite del mondo capovolto…) ha annullato la decisione. Chi comanda fa o interpreta le leggi. Non veritas, sed auctoritas facit legem. Non la verità, ma l’autorità fa la legge (Thomas Hobbes). Il concetto di bene comune – assente dall’orizzonte liberal liberista – viene espulso dalle legislazioni, diventate ordoliberiste, meri strumenti di codificazione degli interessi oligarchici.
Un esempio sono le norme dell’UE che vietano gli aiuti di Stato, ovvero la possibilità per i governi di svolgere politiche economiche, industriali, finanziarie in sintonia con il bene comune. Tutto deve essere lasciato al libero gioco delle forze economiche . Menzogna, poiché quel gioco non è che la legge del più forte, del più ricco, lo squalo onnivoro che può scacciare dal Tempio (il mercato) , fagocitandoli o facendoli fallire, gli attori economici meno potenti. Pensiamo alla famigerata direttiva Bolkenstein dell’UE (2006/123/CE ) che liberalizza (“deregolamenta”) l’accesso ai mercati, ossia, apre praterie ai grandi operatori permettendo di soffocare tutti gli altri. In particolare, viene sfigurato il settore dei servizi – il più importante, nell’ assetto economico e finanziario globalista – espellendo dal mercato, cioè gettando sul lastrico, un numero incalcolabile di attività.
In Italia la direttiva è nota soprattutto per l’impatto sulle imprese balneari, ma l’irruzione dei grandi gruppi non risparmia alcun settore economico. Così viene distrutta la piccola e media impresa (e la proprietà diffusa), poi quella grande, a vantaggio di una minoranza di giganti interconnessi, la cui proprietà, tra complessi incroci azionari, è in capo a poche centinaia di colossi. Un super Stato privatizzato, un Moloch da cui siamo indifesi. Dove sono le grandi culture politiche europee, in particolare quella socialista e quella cristiano-sociale? Tutte o quasi le famiglie politiche e ideali europee sono diventate correnti di un partito unico liberista in economia e libertario nei costumi.
Aveva ragione Chesterton: ci sono troppo pochi capitalisti. Pochissimi possiedono troppo e decidono per tutti. Sono riusciti a rendere residuale la democrazia rappresentativa, vanto del pensiero liberale, trasformando i parlamenti in notai della volontà oligarchica, espressa politicamente dall’alternanza senza alternativa (Jean Pierre Michéa) tra partiti e gruppi indistinguibili, esecutori di ciò che conviene al piano alto del potere economico, finanziario, tecnologico. Ecco perché è di capitale importanza ritessere il filo del pensiero economico non liberista. Per autodifesa, per decenza e senso morale, oltreché per promuovere la ripresa del benessere. La categoria di bene comune diventa la bussola etica e pratica. Bene comune è un complesso di valori, norme civili, prassi organizzative, condotte concrete, tese ad allargare il benessere materiale, l’ordine civile e la comunanza di principi.
Il bene comune si nutre di beni comuni. Alcuni sono immateriali : la vita, la pace, un ordine fondato sulla giustizia e non sulla costrizione, la libertà di espressione, di partecipazione alle decisioni comuni, l’autonomia, la proprietà e l’iniziativa privata diffusa. Altri attengono alla sfera pratica e all’organizzazione economico-sociale. I beni comuni concorrono al bene comune e hanno una caratteristica : l’estraneità al mercato. Sono il tempio attorno al quale prospera la comunità. Il tempio è sacro perché non è in vendita, scrisse Ezra Pound. Di esso non si fa mercato; non tutto ha un prezzo, non a tutto si può applicare la logica dello scambio in denaro dominata dagli iperpadroni.
Nella seconda parte tenteremo di indicare ambiti e settori che, in nome del bene comune, devono essere sottratti alla logica del mercato e diventare beni comuni. (fine parte prima)
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