7 Ottobre 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, centosessantesima parte – Fabio Calabrese

Eccoci finalmente alla seconda metà di luglio 2024. Come avete visto, è stato necessario dedicare alla prima metà del mese due articoli, e non brevi. Un mese davvero caldo, e non solo dal punto di vista meteorologico. Se le cose continuano così, dovrò pensare a come riorganizzare tutto il mio lavoro su “Ereticamente”.

Vediamo intanto cosa ci offre questo periodo, cominciando come al solito da “Ancient Origins”.

Cominciamo il 17 con un articolo di Andrew Merrington dell’Università di Exeter, che ci racconta che strumenti chirurgici romani di 2.000 anni fa sono stati analizzati con la nuova tecnica detta scanner CT. Lo studio ha confermato che questi antichi strumenti medici erano efficienti e funzionali.

Il 18 Robbie Mitchell ci racconta delle tecniche impiegate per ricostruire il modo in cui è stato prodotto lo scudo di corteccia di salice dell’Età del Ferro rinvenuto tempo addietro nel Leicestershire, è un esempio di quella che si chiama archeologia sperimentale.

Con Nathan Falde torniamo a Pompei. La città fu distrutta sia dall’eruzione vulcanica, sia dai terremoti che l’accompagnarono. Mentre gli effetti del vulcanesimo sono stati ben studiati, finora su questi ultimi e sui crolli di edifici che hanno causato, si è indagato poco. Ma ora questa lacuna si sta colmando.

Con Gary Manners non andiamo troppo lontano. Nei pressi di Bacoli (Napoli) ci sono i resti oggi sommersi dell’antica città di Baia che oggi costituiscono un parco archeologico subacqueo. Qui è stato appena scoperto uno splendido pavimento marmoreo di una villa romana, lavorato con una particolare tecnica di mosaico nota come opus sectile in cui le tessere sono sagomate come i pezzi di un puzzle.

Una deviazione nelle Isole Britanniche con Aleksa Vučković che ci parla di una figura certo poco conosciuta da noi, il re gallese Rhodri Mawr, che fu un sovrano e un guerriero notevole, che unificò il Galles e riportò importanti vittorie sia contro gli incursori vichinghi, sia contro i vicini anglosassoni.

Al contrario, Robbie Mitchell racconta una storia che da noi dovrebbe essere ben conosciuta, quella della famiglia Borgia che, a partire dal pontificato di Alessandro VI segnò profondamente la storia italiana con intrighi e scandali.

Il 19 Sahir ci riferisce che a Iruña-Velea nel nord della Spagna sono state trovate le tracce di un’arena di età romana in grado di ospitare 5.000 spettatori.

Che sia esistito uno stretto rapporto tra il mondo romano e la penisola iberica, ci spiega Gary Manners, lo rivela anche una tomba recentemente scoperta nel parco archeologico di Pompei. Il defunto, un certo Agrestinus doveva essere un militare di rango. Fra i vari gradi che ha rivestito, stando all’iscrizione sulla lapide, c’è anche quello di praefectus Autrygonum. Gli Autrigoni erano una tribù iberica che forniva ausiliari all’esercito romano.

Torniamo in Inghilterra con Gary Manners. Qui, vi avevo raccontato, sono emerse le tracce di un insediamento fortificato dell’Età del Ferro nella località di Bodbury Rings Hilfort nello Shropshire. Bene, recenti rilevazioni aeree con la tecnologia LIDAR che consente di vedere al disotto della vegetazione, hanno permesso di stabilire che questo insediamento era molto più ampio di quanto si pensasse, coprendo un’estensione sei volte maggiore.

Robbie Mitchell ci parla della battaglia di Azincourt, un episodio della Guerra dei cent’anni avvenuto il 24 ottobre 1415, battaglia in cui gli arcieri inglesi massacrarono la cavalleria francese. È considerata dagli storici militari di grande importanza, perché decretò la definitiva superiorità delle armi da lancio su quelle da combattimento ravvicinato, superiorità che di lì a poco sarebbe stata definitivamente sancita dalla comparsa delle armi da fuoco.

Il 20 luglio ci spostiamo nell’Europa orientale con un articolo di Robbie Mitchell e uno di Aleksa Vučković. Mitchell ci parla dei cavalieri teutonici. Questi erano il terzo degli ordini monastico-cavallereschi nati durante le crociate, dopo i templari e gli ospitalieri, e raccoglievano elementi di origine germanica. Dopo l’espulsione dalla Terrasanta si traferirono nell’Europa orientale dove costituirono un vasto dominio.

Aleksa Vučković ci parla dei manoscritti di Frisinga. Questi ultimi sono testi di carattere religioso scritti parte in latino, parte in lingua slava e risalgono alla fine del IX o all’inizio del X secolo, e rappresentano una delle testimonianze scritte più antiche della lingua slava.

Il 21 torniamo inevitabilmente nel mondo romano. Lily Moore ci parla delle vestali. Queste sacerdotesse godevano di un prestigio e un’autorevolezza negate ad altre donne romane, ma il prezzo era la castità.

Noi sappiamo che quella che è oggi la Turchia, in età antica era una parte non piccola del mondo ellenico, poi ellenistico, poi romano. Il 23 Nathan Falde ci parla della scomparsa città portuale di Parion, le cui rovine si trovano in quella che è oggi la provincia di Canakkale nel nord-ovest della Turchia. Qui sono recentemente emerse rovine greche e romane al punto da indurre i ricercatori a parlare di “un’area archeologica completamente nuova”.

I regni anglosassoni che hanno dominato l’Inghilterra tra il ritiro romano dalla Britannia e la conquista normanna sono un argomento poco conosciuto da noi. Aleksa Vučković ci parla della figura di Æthelwealh che fu re del Sussex dal 660 al 685, e a cui si dovette la cristianizzazione dell’ultimo regno sassone pagano, conversione, sembra, dettata da motivi politici piuttosto che religiosi.

Il 24 Nathan Falde ci porta in Bulgaria, a Debelt sulla costa del Mar Nero, dove è stato ritrovato un amuleto composto da una lamina d’argento arrotolata del II o III secolo dopo Cristo, con un’iscrizione che fa riferimento a Gesù e agli angeli.

Sempre il 24, abbiamo un comunicato dell’Università di York che parla del sito di Star Carr nel nord Yorkshire, dove sono state scoperte le tracce di un insediamento mesolitico risalente a 11.000 anni fa.

Il 25 Gary Manners ci segnala che a Varna, in Bulgaria, un sarcofago di età romana risalente al III o II secolo avanti Cristo è stato scoperto…casualmente sulla spiaggia da un turista in vacanza.

Vi ho parlato a suo tempo della tomba di Cerbero, così chiamata per l’affresco che raffigura il mitico cane a tre teste, ritrovata lo scorso ottobre a Giugliano (Napoli). Il 26 Sahir ci riferisce che si è aperto uno dei due sarcofagi. Si è rinvenuto un corpo mineralizzato avvolto da un sudario, e numerosi vasetti di unguenti che testimoniano la cura e l’importanza della sepoltura.

Il 27 siamo a Roma con ben tre articoli, uno di Robbie Mitchell, uno di Nathan Falde e uno di un nuovo collaboratore, Ivan Borovyk. Mitchell ci parla di qualcosa che dovremmo conoscere. Monte Testaccio è una collina artificiale, un’antica discarica fatta di frammenti di anfore, il nome viene da testa che in latino significa coccio. Soprattutto di cocci di anfore usate per il trasporto dell’olio. Si calcola che tra il I e il III secolo dopo Cristo ne siano state importate a Roma dalla Spagna e dall’Africa settentrionale ben 53 milioni.

Nathan Falde ci informa che i lavori di sistemazione stradale in vista del giubileo del 2025 hanno portato alla luce in piazza san Giovanni al Laterano i resti di un antico palazzo risalente al IV secolo, che si ritiene essere stata la residenza assegnata dall’imperatore Costantino ai papi dopo l’insediamento della nuova religione.

L’articolo di Ivan Borovyk ci parla di contabilità. Durante l’epoca imperiale, anche in tempo di pace, la spesa militare assorbiva il 40-50% del bilancio dello stato romano. Le paghe dei legionari erano piuttosto alte, e questo era per molti un incentivo ad arruolarsi.

Il 28 si parla ancora di Roma. Mario Bartolini ci parla dello spionaggio nell’antica Roma. All’epoca non esisteva un servizio segreto organizzato, ma vari comandanti e leader politici hanno escogitato metodi ingegnosi per raccogliere e trasmettere informazioni. Tuttavia, la cosa non ha avuto grande sviluppo, perché lo stato romano si sentiva relativamente al sicuro grazie alla sua superiorità militare rispetto alle disorganizzate forze barbariche.

Il 29 parliamo ancora di Roma. Un articolo di Gary Manners ci informa che la via Appia antica è stata riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità. Si tratta del sessantesimo patrimonio dell’umanità riconosciuto alla nostra Penisola, il che costituisce un record mondiale. Non tutti se ne rendono conto, ma la nostra Italia è un vero scrigno di meraviglie artistiche, archeologiche, storiche.

Non parliamo di Roma, ma sempre della nostra Italia. Sahir ci informa che a Corinaldo, vicino ad Ancona è stata portata alla luce la tomba di un principe piceno risalente al VI secolo avanti Cristo, da cui sono emersi un carro a due ruote e una vasta collezione di oggetti in bronzo che comprende un elmo, un calderone e diversi contenitori finemente decorati.

Torniamo inevitabilmente a parlare di Roma. Il 30 un articolo di Jessica Nadeau ci parla di Eliogabalo, ma non tanto in relazione alla figura di questo imperatore, quanto alla riforma religiosa che cercò senza successo di introdurre a Roma. Egli si chiamava in realtà Bassiano, ma è ricordato soprattutto con il nome della divinità solare siriaca El Gabaal, di cui era sacerdote, e il cui culto cercò di introdurre. Tutto ciò sullo sfondo della crisi religiosa del III secolo che vide l’abbandono dei culti tradizionali e l’importazione di divinità orientali, tra le quali alla fine emerse il cristianesimo.

Gary Manners ci racconta del ritrovamento ad opera del gruppo GUARD archaeology a Rosemarkie nelle Highlands scozzesi, di un tesoro dell’Età del Bronzo risalente al 1.000 avanti Cristo, composto da collane, bracciali e quelli che Manners chiama bracciali da collo – suppongo si tratti di torques – che non è qualcosa di isolato, ma è stato rinvenuto in una tomba vicina ai resti di almeno sei abitazioni preistoriche.

Nathan Falde ci da la notizia che ad Atapuerca in Spagna è stato scoperto un nuovo scheletro di Homo antecessor risalente a 800.000 anni fa. Per l’ennesima volta mi chiedo come fanno i ricercatori a non vedere che questo antico uomo che calcava il suolo del nostro continente già quasi un milione di anni fa, e che chiamano pudicamente antecessor, ma che presenta assai poche differenze con l’umanità attuale, rappresenta la più bruciante smentita di tutte le tesi africano-centriche che cercano di propinarci.

Il 31 abbiamo una conversazione con due ricercatrici, Catherine J. Frieman e Caroline Schuster. Cosa se ne facevano le persone dell’Età del Bronzo (dal 2300 all’800 avanti Cristo in Europa) di tutto quel bronzo? Per prima cosa, certamente usavano molti altri materiali, pelli, tessuti, legno, che a differenza del metallo, non si sono conservati, ma detto questo, la quantità di manufatti di bronzo prodotti resta davvero notevole. Si è poi osservato che oggetti come bracciali, collane, asce, venivano prodotti in forme e dimensioni standard che si ritrovano in tutta Europa, e alcune volte si ritrovano in depositi sotterrati intenzionalmente, compresi gli oggetti rotti. Un’ipotesi è che fossero usati come moneta di scambio, e testimonierebbero un’estesa rete commerciale su tutto il nostro continente. Infine non bisogna dimenticare che il possesso di armi bronzee definiva lo status sociale molto importante del guerriero.

 Noi sappiamo che quella che è oggi la Turchia era nell’antichità in gran parte, perlomeno tutta la regione costiera, l’Anatolia ellenica. Il quartiere di Geyre del distretto di Karacasu nella provincia di Aydın, nella Turchia occidentale corrisponde all’antica città greca di Afrodisia. Questa zona è attualmente oggetto di scavi. Il 31 Gary Manners riporta un comunicato del ministero turco della cultura e turismo che riferisce del ritrovamento a circa 50 metri dal tempio di Afrodite, di una testa marmorea di Zeus risalente al III secolo dopo Cristo, alta 66 centimetri, e in ottimo stato di conservazione.

Sappiamo che, mentre oggetti di pietra o metallo si possono conservare per tempi indefiniti, materiali organici come la stoffa, il cuoio o il legno, non sopravvivono per migliaia di anni se non in condizioni eccezionali. Sempre il 31 Aleksa Vučković ci parla di uno di questi eccezionali reperti, il carro di Lchashen rinvenuto dagli archeologi russi sulle rive del lago Sevan in Armenia, e risalente alla prima Età del Ferro. Sebbene l’articolo non lo specifici, è probabile che sia stato il fango lacustre a permettere l’eccezionale stato di conservazione del reperto. In ogni caso, esso ci mostra la grande abilità artigiana di questi antichi uomini persi nel buio della preistoria.

Per non eccedere troppo la lunghezza consueta di questi articoli, sarà bene, per ora, come ho già fatto per la centocinquantottesima parte, limitarmi a quello che ha da offrici in questo periodo “Ancient Origins”, rimandando a un altro momento il discorso sulle altre fonti. E’, potremmo dire, la seconda parte di un luglio davvero eccezionale.

Prima di chiudere, però, sarà il caso di evidenziare le cose più rilevanti dal nostro punto di vista che sono emerse, ricordando sempre che la finalità de L’eredità degli antenati non è quella di essere un centone delle varie scoperte archeologiche, ma di dimostrare come la conoscenza del passato supporti una precisa visione del mondo.

E anche stavolta, quello che è emerso è davvero rilevante.

Per prima cosa, parliamo dei ritrovamenti di Atapuerca. Se un Homo molto simile a noi calcava il suolo europeo quasi un milione di anni fa, è chiaro che la “teoria” out-of-africana non ha alcuna possibilità di corrispondere alla realtà dei fatti, e una volta di più si pone l’interrogativo del perché la “scienza” democratica abbia bisogno di questa menzogna smentita da ogni nuova scoperta, al punto da pretendere di elevarla a dogma indiscutibile. Ma la risposta noi la conosciamo benissimo.

Un altro punto di indubbia rilevanza, è quanto emerso dalla conversazione con Catherine J. Frieman e Caroline Schuster. Se gli oggetti di bronzo erano usati come moneta, e già nell’Età del Bronzo esisteva una fitta rete di scambi commerciali che univa il nostro continente, allora dobbiamo abbandonare qualsiasi idea che questi remoti europei fossero dei primitivi. Al contrario, ogni nuova scoperta ce li fa vedere non dissimili da noi.

Come avete potuto vedere, diversi dei restanti articoli parlano di scoperte archeologiche o eventi storici delle Isole Britanniche, ed è logico, data la collocazione geografica di “Ancient Origins”, aspettarsi un certo…campanilismo, ma molti ci parlano del mondo romano. Quando si parla del mondo antico, Roma rimane la regina ineguagliata, ed è molto importante per sgombrare a nostra volta ogni sospetto di campanilismo, che ciò si desuma da quanto viene pubblicato da un’autorevole fonte estera; tuttavia, questo rende ancora più penoso il fatto che gli Italiani odierni siano così poco fieri o anche soltanto consapevoli della loro immensa eredità.

Ricordiamo infine il fatto che la via Appia antica sia stata riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità, il che conferma la nostra Penisola come la nazione al mondo che ne possiede di più. Sebbene la cosa sia perlopiù passata inosservata, dovrebbe invece confermarci nell’orgoglio di essere italiani.

 

NOTA: Nell’illustrazione, la via Appia antica, riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità, il sessantesimo nella nostra Penisola.

 

11 Comments

  • Michele Simola 30 Settembre 2024

    Caro professore, indipendentemente dal ritrovamento ad Atapuerca di homo antecessor, datante circa 800.000 anni aev, io sono convinto, che i nostri antenati, con fattezze non dissimili da quelle degli esseri umani odierni, calcavano le vie di movimento terrestri della vecchia Europa, da un milione di anni o forse più, in particolare se teneiamo conto dei resti di officine per la lavorazione di manufatti, ritrovate nel territorio Russo e datanti circa un milione e ottocentomila anni addietro, (se ben ricordo Lei ne ha già parlato in un precedente articolo).
    Sono ben consapevole che l’archeologia ufficiale va a bracceto con il potere istituzionale e che si voglia instillare nelle menti degli europei idiozie varie per giungere all’attuazione del piano Kalergi, tuttavia ci sono anche tanti archeologi seri non allineati e, credo che questi ultimi potrebbero fare molto per controbattere le tesi, che restano solo tesi, divenute il dogma indiscutibile dell’AOA, che vediamo bene dai suoi articoli ed altre letture fare acqua da tutte le parti.
    Non giungo a sostenere che tali uomini fossero coevi dei “dinosauri” tuttavia erano di certo coevi di tante specie animali oggi estinte.
    I nostri antenati, hanno sempre mostrato la capacità di essere in grado di superare problematiche che anche al giorno d’oggi per molti sarebbero insuperabili e probabilmente la mobilità nel continente europeo era molto più elevata di quello che oggi pensiamo. Certo non c’erano vie di comunicazione stabili e resistenti al tempo come quelle tracciate dagli abitanti della Grande Roma, i suoi ingegneri militari sono tutt’oggi ineguagliati, visto anche ciò che avevano a disposizione, tuttavia in quel periodo che oggi definiamo preistoria e magari fra un centinaio di anni sarà definita storia,
    il movimento di uomini e popoli era senz’altro più comune e frequente di ciò che la storia odierna riconosca.
    L’umanità non ha sviluppato civiltà nel medio oriente portando la luce verso nord e verso ovest, è assolutamente il contrario: la civiltà e la conoscenza si diffuse da Nord verso Sud, il teatro delle scoperte umanane è stata l’Europa e le vestigia delle nostre origini devono essere ricercate nel nord e nord -est del nostro continente e della Russia.

  • Il Grillo Parlante 30 Settembre 2024

    Boh, questo post non capisco che senso abbia però faccio presenti che due affermazioni sono palesemente FALSE.

    “È considerata dagli storici militari di grande importanza, perché decretò la definitiva superiorità delle armi da lancio su quelle da combattimento ravvicinato, superiorità che di lì a poco sarebbe stata definitivamente sancita dalla comparsa delle armi da fuoco.”

    Per prima cosa le “armi da fuoco” si imposero non tanto per la loro efficacia nell’ammazzare la gente quanto per ragioni economiche, ovvero che si poteva imparare ad usare con sufficiente abilità un moschetto in pochi giorni mentre per usare un arco da guerra serviva tutta una vita di allenamento, anche li, non tanto per la precisione, che l’arco si usava a pochi metri e non da lontano come nei film, quanto perché per tenderlo serviva tanto una tecnica particolare che il potenziamento dei muscoli delle braccia e delle spalle. In sostanza, le armi da fuoco consentivano di prendere i contadini e trasformarli immediatamente in soldati e quindi un esercito di massa. Tra l’altro per secoli le “armi da fuoco” furono estremamente inefficienti nel maneggio e nella ricarica, per cui dovevano avere anche la funzione di “punta”, specialmente, notare l’ironia, per contrastare la cavalleria, da cui l’invenzione ovvia delle baionette. (vedi sotto).
    ….
    Seconda cosa, le “armi da lancio” non affermarono nessuna superiorità, tanto meno sulla cavalleria. A parte che nella battaglia citata i Francesi furono costretti a scendere da cavallo perché il terreno era fangoso e dovettero attaccare le linee inglesi a piedi, esponendosi al tiro delle frecce per tutto il tempo, le armature rendevano i cavalieri quasi invulnerabili alle frecce, bisognava colpire le giunture, le parti più deboli come la celata oppure tirare da molto vicino. Lo ripeto perché è contro tutta la “vulgata”, le armature erano invulnerabili tanto alla spada che alla freccia. Di solito la cavalleria manovrava per aggirare le formazioni nemiche e in assenza di ostacoli o fortificazioni, gli arcieri non potevano opporre nessuna resistenza. Dovrebbe essere noto a tutti che l’antagonista medievale della cavalleria non erano gli arcieri ma erano le formazioni compatte di picche, a cui si aggiungevano componenti variabili di spadaccini (per la corta distanza), ronconi o alabarde e arcieri/balestrieri, poi moschettieri. Era un po’ come il gioco del forbice-carta-sasso, perché la cavalleria scompaginava gli arcieri, le picche scompaginavano la cavalleria e gli arcieri scompaginavano le picche. Se vogliamo citare un esempio cinematografico, il film Alatriste, che è ambientato un un’epoca in cui tanto la cavalleria che la fanteria usavano “armi da fuoco”, eppure come si vede nel film, ancora il campo di battaglia era dominato dal “tercio” spagnolo, che era appunto un quadrato di picche.

    Come ho detto, le “armi da fuoco” creano gli eserciti di contadini e il tramonto degli eserciti nobiliari. Fu il periodo della Rivoluzione Francese e le campagne napoleoniche a formalizzare il tutto. La prima guerra moderna fu poi la Guerra Civile Americana e il seguente passaggio fu la Grande Guerra per l’impiego delle artiglierie e della mitragliatrice, entrambe le cose pensate per una guerra di massa e non una guerra di specialisti, perché i cavalieri medievali, come quelli francesi, erano come oggi le Forze Speciali ma peggio perché non facevano altro dalla prima giovinezza. La “cavalleria” si spostava verso l’aviazione.

    “Sappiamo che, mentre oggetti di pietra o metallo si possono conservare per tempi indefiniti, materiali organici come la stoffa, il cuoio o il legno, non sopravvivono per migliaia di anni se non in condizioni eccezionali.”

    Ovviamente no.
    Per prima cosa, gli oggetti, qualsiasi essi fossero, nella antichità venivano riciclati. I morti sui campi di battaglia, che fossero contadini o re, venivano spogliati nudi perché tutto quello che indossavano veniva riutilizzato, figurarsi le armi o peggio le armature che avevano costi esorbitanti. Poi gli oggetti che passavano da vinto a vincitore, da morto a vivo, passavano anche da una generazione all’altra, le armi e le armature duravano secoli. Gli oggetti deperibili deperivano, non venivano scartati fino a che erano del tutto inutilizzabili. Basti pensare che ancora quando io ero bambino si risuolavano le scarpe e si rivoltavano i cappotti, si mettevano le toppe sui pantaloni eccetera. Questa è la ragione per cui è difficile trovare oggetti d’uso comune. Specie in epoche in cui non si usavano sepolture cerimoniali, come il Medioevo. Comunque, anche li, le tombe venivano comunemente saccheggiate, quindi solo in casi particolari si trova il corredo.

    Seconda cosa, “metallo” non significa niente in questo contesto. Dipende dalla composizione. Le armi di bronzo, che come si dovrebbe sapere è una lega di rame e stagno più altri componenti in percentuali variabili, si conservano perché il bronzo esposto all’aria si ossida e la patina di ossido (di solito verde) protegge gli strati sottostanti. Viceversa, le armi di ferro arrugginiscono e qui per “ferro” intendiamo in realtà la stessa cosa di “bronzo”, cioè una lega di composizione variabile. Comunque, qualsiasi fosse la composizione del “ferro”, era comunque estremamente deperibile dato che la ruggine è penetrante e non si arresta alla superficie. Come il legno, il ferro si conserva solo in condizioni eccezionali. Per esempio, di recente è stato scoperto un nascondiglio di ribelli giudei dell’epoca delle “guerre giudaiche” e c’erano diverse spade o gladi, che per le stesse condizioni che hanno preservato le lame in ferro, hanno preservato anche i foderi e le impugnature.

    • Il Grillo Parlante 1 Ottobre 2024

      Mi sono dimenticato un dettaglio, lo aggiungo adesso.

      In epoca romana e nel primo Medio Evo, fino al Trecento, non si usavano corazze a piastre ma in prevalenza cotta di maglia. La cotta di maglia si indossa di solito sopra una veste imbottita perché gli anelli proteggono dai colpi di taglio ma non funzionano altrettanto bene per i colpi di punta e l’imbottitura sottostante, oltre a ridurre in generale i traumi, serviva a ridurre l’eventuale penetrazione delle punte. I primi “crociati” indossavano cotta di maglia che nel frattempo era arrivata a coprire completamente le braccia e le gambe.

      Va da se che con la cotta di maglia si doveva per forza usare LO SCUDO.

      In particolare quando si usavano formazioni compatte che, come detto sopra, essendo statiche, erano vulnerabili ai proiettili. Lo scudo copriva il più possibile e si riduceva in due casi, l’uso a cavallo, per ragioni di ingombro, l’uso per fanteria leggera che deve necessariamente essere mobile, come i peltasti dell’Ellade che prendevano il nome dallo scudo leggero chiamato “pelta” e che affiancavano la falange degli opliti, i quali a loro volta prendevano il nome dallo scudo pesante chiamato “oplon”.

      L’uso dello scudo comincia a venire meno mano a mano che si diffondono le corazze a piastre, prima diventa più piccolo e poi viene abbandonato del tutto per consentire agli armati di usare entrambe le braccia, tanto per l’arma principale, l’azza, che per l’arma secondaria, la spada. Nelle corazze italiane o meglio “milanesi”, lo scudo viene sostituito dalla protezione maggiorata del lato sinistro dell’armatura, che risulta quindi asimmetrica.

      Torno a dire, le corazze a piastre erano sostanzialmente invulnerabili. Per abbattere un cavaliere in armatura completa bisognava colpirlo con una mazzata cosi forte da trasferire l’energia sotto la corazza oppure infilare una punta nelle giunture. Da cui l’uso dell’azza, che era una specie di martello da guerra con un manico di un paio di metri e della daga che si adoperava quando si veniva alle mani. La spada si usava di più contro avversari NON corazzati, come erano le fanterie reclutate tra i contadini e i borghesi.

      Tanto per l’uso dello scudo prima che delle corazze a piastre dopo, l’arco da guerra si usava “a bruciapelo”, non da lontano. Il tiro curvo delle frecce serviva solo per le fanterie non corazzate, come la spada. Alla distanza in cui gli arcieri tiravano sui cavalieri, una persona non corazzata veniva passata da parte a parte da quelle frecce.

      Ci si potrebbe chiedere “ma i cavalli?”.
      Il cavallo è un animalone e per abbatterlo servono molte frecce. I cavalli di epoca romana erano piccoli e timidi, non funzionavano tanto bene per la guerra e infatti Greci e Romani usavano la cavalleria per l’esplorazione e per azioni di disturbo. Nel Medioevo invece furono selezionate razze di cavalli molto più grossi e aggressivi, che poi venivano addestrati tanto a portare il cavaliere che a muoversi sul campo di battaglia con tutti i rumori e anche le possibili ferite. I cavalieri avevano sempre diversi cavalli e in teoria li cambiavano durante la battaglia, aiutati dai loro servi.

      Da notare che nei quadrati di picche come il “tercio” esisteva in origine una componente di “spadaccini” armati anche con la “rotella”, uno scudo tondo di solito di ferro e la rotella era uno scudo imbracciato che si ispirava vagamente agli scudi antichi. Ovviamente la rotella proteggeva dai proiettili e dalle picche, in teoria consentiva all’armato di superare le punte, avvicinarsi ai picchieri e usare la spada mentre questi si trovavano con le mani impegnate. All’epoca delle formazioni di picche si usavano ancora le armature, anche perché quelle degli aristocratici erano ancora impenetrabili alle palle dei moschetti, almeno entro certe distanze. Venivano anche provate sparandogli contro per certificare che fossero effettivamente a prova di proiettile. Per ragioni di economia i picchieri avevano solo l’elmo e un pettorale.

      Mano a mano che si diffonde il moschetto e quindi gli eserciti di contadini, diventa sempre meno economico l’uso della corazza e quindi si abolisce. La vita del fante vale relativamente poco e nelle battaglie napoleoniche ne muoiono tantissimi. Anche perché stando sempre in formazione serrata, quando arrivava la palla di cannone (che non scoppiava), succedeva un macello. La corazza rimane in uso per la cavalleria pesante, i “corazzieri”.

      Le corazze venivano particolarmente utili nelle colonie quando gli armati europei si trovavano ad affrontare i nativi. Pochi “conquistadores” con corazze e spade d’acciaio potevano farsi largo facilmente tra gente nuda con armi di legno e punte di pietra. Anche li, i nativi conoscevano tutte le “armi da lancio”, archi e frecce, giavellotti, fionde, eccetera ma non faceva differenza, cosi come non furono gli archi inglesi a fare la differenza.

      • Il Grillo Parlante 1 Ottobre 2024

        Ah, volevo dire, le picche non infilzavano il cavaliere, almeno non fino a quando una picca non trovava una apertura sotto l’elmo, al gomito, sotto l’ascella, nella zona dell’inguine, eccetera. Le picche infilzavano il cavallo e alla fine cercavano di disarcionare il cavaliere mentre lo tenevano lontano. Una volta che il cavaliere finiva a terra, veniva finito dai fanti con armi corte o con i martelli.
        Quando cominciarono ad entrare in uso le pistole, i cavalieri si tennero lontani dalle picche, arrivavano nei pressi, scaricavano la pistola e se ne andavano.
        Non era una novità.
        All’epoca dei Normanni i cavalieri, che erano armati più o meno come i fanti, non usavano la lancia imbracciata ma arrivavano vicino alla formazione appiedata e scagliavano dei giavellotti, sfruttando anche l’impeto del cavallo. I giavellotti potevano trapassare gli scudi della prima fila ma soprattutto volavano sopra la prima fila e colpivano le file dietro. Si vede descritto nel celebre Arazzo di Baieux.
        Tornando alle picche, per contrastare le pistole della cavalleria si aumentò progressivamente la componente di “moschettieri” dentro i quadrati, contando sulla maggiore precisione e gittata.
        Ulteriore ragione per cui alla fine per le fanterie rimasero solo i moschetti con le baionette mentre la cavalleria usava ancora lance e sciabole, data la difficoltà di ricaricare le pistole mentre si cavalca.

  • Il Grillo Parlante 30 Settembre 2024

    “se teneiamo conto dei resti di officine per la lavorazione di manufatti, ritrovate nel territorio Russo e datanti circa un milione e ottocentomila anni addietro, (se ben ricordo Lei ne ha già parlato in un precedente articolo).
    Sono ben consapevole che l’archeologia ufficiale va a bracceto con il potere istituzionale e che si voglia instillare nelle menti degli europei idiozie varie per giungere all’attuazione del piano Kalergi”

    Guarda che strano, le officine di due milioni di anni fa le trovano in territorio “russo”.
    E’ un po’ come Godzilla che va sempre a calpestare Tokio e gli alieni che attaccano sempre la Casa Bianca.
    Mai una volta che capiti qualcosa in Molise.
    Spassoso il passaggio sulle “idiozie varie” instillate dal “potere istituzionale”.

  • Fabio Calabrese 1 Ottobre 2024

    Caro Grillo Parlante, touchè, vedo che lei è un grande esperto di armi e tattiche militari, il giorno che avrò bisogno di arruolare una compagnia di mercenari, stia certo che la terrò presente.

  • Il Grillo Parlante 1 Ottobre 2024

    Signor Calabrese, io mi sono congedato come caporale degli Alpini, quindi il mio l’ho fatto, indegnamente per demeriti miei ma soprattutto per il contesto da operetta delle nostre Forze Armate. Infatti la soluzione che ci propongono di questi tempi è quella del “disarmo” che dovrebbe dare l’esempio alle altre Nazioni e comunque, visto che vogliamo avere relazioni fondate sulla prostituzione, ci serve altro. Sarebbe interessante fare un sondaggio tra i lettori di questo sito Web per sapere che esperienze hanno e anche che cosa propongono per se stessi e per i propri figli.

    Comunque, la Scuola dovrebbe insegnare qualcosa invece di essere un pretesto per dare uno stipendio ai disoccupati meridionali. Non solo a declinare i verbi e ad usare la terza persona, le tabelline, la ragione per cui ci sono le stagioni ma anche le cose che ho scritto sopra.

  • Piero 5 Ottobre 2024

    A grilloparlante
    La guerra di secessione americana, è stata la prima guerra moderna in quanto industriale. Ed ha lasciato lezioni che,apprese ai tempi,avrebbero risparmiato il macello della 1g,m.60anni dopo.e delle innovazioni tecnologiche utilizzate per tempo.( vedasi effetto dei fucili rigati nordisti a gettysburg nella cosiddetta carica di pickett.)

    • Il Grillo Parlante 6 Ottobre 2024

      Il fenomeno della guerra è connaturato all’Uomo.
      Non è connaturato all’industria.

      Ad esempio:
      https://it.wikipedia.org/wiki/Campo_di_battaglia_della_valle_del_Tollense

      Ovvio che anche questa battaglia sarà stata terrificante per l’epoca, considerato poi che ci andavano di mezzo tutti, vecchi, donne, bambini, un po’ come i figli dei Troiani buttati giù dalle mura dagli Achei.

      Ho citato la Guerra Civile americana perché è stata “moderna” per via del fatto che era una guerra di contadini armati e che di conseguenza le armi cominciavano a non essere pensata per “uno-a-uno” ma per fare strage in mezzo ad una massa, cominciavano le mitragliatrici e l’uso massiccio dell’artiglieria. Il movimento che poi sarà definitivamente affermato nella Grande Guerra. La morale della favola non è che le “armi da fuoco” siano “superiori” ma che consentono di arruolare chiunque. Secondo la famosa massima attribuita a Stalin che la quantità possieda una sua qualità. Un esercito di massa prevale su un esercito di specialisti per il calcolo economico che sono tutti spendibili. Invertendo il ragionamento, se si armano solo gli specialisti significa che non si vuole fare la guerra ma le “operazioni di pace”, ovvero si tratta “shock and awe”, terrorizzare i selvaggi.

      Non vedo perché le “lezioni” della Guerra Civile americana avrebbero dovuto servire a qualcosa se non era servita la “lezione” di Tollense.

  • Fabio Calabrese 6 Ottobre 2024

    Caro Piero, spesso gli alti comandi non ci fanno caso, mettendo a repentaglio la vita di migliaia di uomini, ma sembra proprio che al termine di una guerra compaiono le armi con cui sarà combattuta quella successiva. Al termine della guerra civile americana comparvero il reticolato e la mitragliatrice, al termine della prima guerra mondiale comparvero il carro armato e l’aereo da bombardamento, al termine della seconda il missile strategico e la bomba atomica, e possiamo solo rabbrividire al pensiero che quelle sono le armi con cui sarebbe stata combattuta la terza se fosse scoppiata.

    • Il Grillo Parlante 6 Ottobre 2024

      Signor Calabrese, ha scritto una idea paradossale.
      La funzione degli Alti Comandi è solo quella di ammazzare tanto i propri soldati che i soldati nemici, cercando di portare il calcolo delle perdite in proprio favore, cioè di ammazzare di più di quelli che di questi. Non si tratta di “mettere a repentaglio”, quello lo può fare un datore di lavoro che non si preoccupa della ricarica degli estintori e cosi non si cura del rischio a carico dei suoi dipendenti. Si tratta di ammazzare la gente di proposito, è l’effetto cercato e voluto. Si manda un plotone a conquistare la collina con l’idea che qualcuno riesca ad arrivare in cima se poi non si riesce, pazienza, c’è sempre un altro plotone e un altro giorno. Il generale si misura in metri di collina, non in cadaveri.

      Prego notare che nella Storia non è sempre cosi. Nel Medioevo e nel periodo ellenistico, quando le armi erano più o meno un atto volontario, ai re e ai condottieri era richiesto di scendere in battaglia in mezzo ai propri guerrieri, ovviamente non in prima fila ma comunque nel fitto della battaglia. Dovevano anche essere riconoscibili, da amici e nemici. In quei casi i re che gli aristocratici attiravano l’attenzione le proverbiale fromboliere o balestriere anonimo, venivano orribilmente feriti o morivano, per accidente o perché la battaglia era perduta. Invece in situazioni in cui i guerrieri erano più o meno costretti o più o meno salariati, il re o il condottiero assisteva alla battaglia da sopra una collina. Quando la tecnologia ha reso possibili gli eserciti di massa, giocoforza si è progressivamente allontanato ed allentato il rapporto e il contatto tra il re o il condottiero e i soldati. Il soldato moderno tende verso il modello del robot. Leggevo oggi di una proposta di trattato internazionale sulle armi autonome. Un domani, quando ci saranno aerei autonomi, carri armati autonomi, eccetera, se non ci sarà Skynet sarà comunque il completo distacco tra chi manda e chi/cosa viene mandato.

      Le Brigate Alpine dei miei tempi dovevano difendere i passi. Ovviamente non essendo io generale non conosco i piani però credo che due Brigate dovessero schierarsi sui monti, una fosse di riserva e una dovesse invece entrare in Austria (col tacito accordo degli Austriaci che erano neutrali) per collegarsi ai Tedeschi. Però la dottrina NATO prevedeva che il Patto di Varsavia avrebbe dilagato e che se non si fosse riusciti a contenerlo in tempo per fare arrivare i rinforzi dagli USA, dietro gli Alpini sui passi c’erano le artiglierie che sarebbero state armate con proiettili nucleari presi dai depositi americani e queste artiglierie avrebbero tirato sui passi alpini bruciando tutti, attaccanti ed eventuali difensori superstiti.
      Insomma una situazione tipo le Termopili. Quindi ancora, nel caso la merda fosse entrata nel ventilatore, per citare gli Americani, gli Alti Comandi italiani non avrebbero “messo a repentaglio” i ragazzi di leva.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *