Incedibile iniziativa lanciata da “Asso di Bastoni” nel decennio della “speranza”
“Asso di Bastoni” è stato uno dei più battaglieri giornali del neofascismo italiano, ospitando firme uniche nel suo genere, da Cesarino Cis a Pino Rauti, con inchieste coraggiose sui crimini della Resistenza e posizioni politiche chiare e radicali, mai rinnegate.
Al 13 Maggio 1956 poteva vantarsi dell’etichetta di “giornale più sequestrato del mondo”, con 49 sequestri e 110 processi. In pieno regime “democratico”, ma pur sempre ciellenista, con il vizio – giunto fino ai nostri giorni – di censurare il pensiero non omologato o non allineato.
Tra le iniziative di “Asso di Bastoni” che oggi sembrano incredibili vi fu quella di proporre l’erezione di un monumento nazionale a Benito Mussolini che, a quel tempo, ancora nessuno sapeva ove fosse sepolto. Si aveva paura anche dei morti e la salma giaceva nascosta in un armadio del Convento di Cerro Maggiore (Milano). Triste vizio, anche questo, delle cosiddette “democrazie”: non si contano i nemici i cui corpi sono stati distrutti e dispersi perché non costituissero, anche dopo morti, dei simboli viventi di un “altro mondo”.
Negli anni ’50 si era in un periodo dove l’antifascismo giaceva all’angolo e solo le regioni comuniste godevano del clima d’odio partigiano fomentato dal PCI per consolidare il proprio potere. Le vittorie elettorali del MSI del 1951-1952 avevano aperto una nuova era di “speranze”: la pacificazione tra gli Italiani e una prossima entrata del Movimento Sociale Italiano in un Governo di coalizione a giuda DC, sembrarono allora a portata di mano. Speranze che naufragarono definitivamente solo nel Luglio 1960, quando il PCI resuscitò l’odio antifascista militante come instrumentum regni.
L’iniziativa di “Asso Bastoni” del 1955 nacque durante la battaglia per la restituzione delle “nobili spoglie” di Mussolini condotta l’anno precedente dal coraggioso Direttore Vanni Teodorani.
Alla vigilia del 25 Aprile 1955, quando sarebbero entrate nell’apice le solenni commemorazioni allestite dal sistema ciellenista per il decennale della “liberazione”, il Comitato per le Onoranze ai Caduti della RSI – composto da tutte le associazioni di combattenti e reduci repubblicani – aveva proposto l’erezione di un monumento-ossario “che dovrà raccogliere i pietosi resti dei Caduti della RSI e conservare alla Patria il puro ricordo del loro valore e del loro sacrificio” (Il martirio della RSI, “Asso di Bastoni”, a. VIII – II Serie, n. 15, 10 Aprile 1955).
In occasione del decennale dell’assassinio di Benito Mussolini (28 Aprile 1955), il Comitato per le Onoranze ai Caduti della RSI lanciò un manifesto agli Italiani, la cui affissione fu vietata – guarda caso – dalle Autorità “democratiche” del sistema ciellenista al potere, ma che fu ugualmente pubblicato su “Asso di Bastoni”:
Italiani,
dieci anni or sono cadeva l’ultimo baluardo dell’Italia combattente. Dopo 58 mesi di strenua guerra, che vide soldati d’Italia battersi su tutti i fronti contro l’egemonia dei padroni del mondo e continuare lotta sul solo patrio superando angosciose tragedie interne e indicibili tormenti, la bandiera dell’Unità e dell’Indipendenza nazionale veniva travolta, sommersa in un tempestoso mare di sangue italiano.
In questo giorno di ricordo e di gloria, non recriminazioni, né sterili rimpianti.
Il travaglio eroico dei soldati e dei lavoratori italiani è oggi patrimonio comune di tutto il popolo che, al di sopra delle faziose divisioni di parte, riconosce in essi ai suoi figli migliori. Il volontarismo guerriero, lo spirito nazionale, le mete sociali della Repubblica Sociale Italiana, oltre le persecuzioni, i silenzi, gli oblii, rimarranno luminosa prova ed altissima testimonianza del valore e del civismo di tutti gli Italiani.
Possa il ricordo di tanti sacrifici disinteressatamente compiuti, costituire simbolo e impegno di un rinnovato patto di concorde unità, indistruttibile legame tra l’Italia e i suoi figli” (Repubblica Sociale Italiana, “Asso di Bastoni”, a. VIII – II Serie, n. 18, 1° Maggio 1955).
Le posizioni, a dieci anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, erano chiarissime e nette:
“Dieci anni or sono, al culmine della tragedia nazionale, cadeva Mussolini, ucciso violentemente nel mistero di una fine di cui, solo in parte, sono stati svelati i segreti. […]
Ci sia consentito di fissare per un momento un attimo la nostra attenzione su quello che significò per l’Italia la sua morte. È un fatto che il 28 Aprile 1945 segnò alla fine dei combattimenti in Italia e, quindi, in Europa. Ma segnò anche l’inizio di un lungo periodo di sopraffazione e di violenze per tutti i popoli europei, completamente schiacciati dai vincitori. Mentre nelle singole Nazioni occupate, solo i manutengoli dell’invasore si beavano, nell’illusione di avere raggiunto i segni esteriori del potere, un vento di rapina e di arbitrio si abbatteva su tutto il continente a dettare, e ad eseguire, la volontà omicida del vincitore. […]
Orrori impensabili che si pensavano seppelliti per sempre nei più bui evi della storia, riaffiorarono per incanto. Le più terrificanti visioni di Nostradamus si realizzarono nel nostro tempo. Ludibrio di cadaveri, linciaggi, turpitudini. Persino sugli infanti, persino sulle donne. E belle, per di più. Questo, più di ogni altra cosa, prova fino a che punto gli assassini fossero estranei, assenti, ostili, alla più sicura essenza della nostra civiltà.
Tutte queste violenze, tutti questi delitti non avevano alcun motivo. La guerra era dolorosamente finita, più nessuna ragione, nessuna necessità, nessun fine v’era da conseguire, se non quello di sfogare una matta bestialità, di ribellarsi a una norma di vivere civile che troppo disturbava i sottofondi peccaminosi di quelle torbide coscienze.
[…] Tutte le nostre sofferenze, i nostri sacrifici, la nostra virile volontà di vittoria, la serena coscienza del dovere compiuto e del diritto acquisito, il ricordo del tempo felice e la ferma decisione di rinnovarlo, sono oggi, nonostante le calunnie, i rinnegamenti, i facili oblii, ricchezza e forza di tutti gli italiani.
Lasciamo che i morti seppelliscano i loro morti.
“Spunta il sole e canta il gallo…”.
A cavallo! E, per sempre.
(Fine e principio, “Asso di Bastoni”, a. VIII – II Serie, n. 18, 1° Maggio 1955)
Nella stessa occasione, “Asso di Bastoni” pubblicava un irriverente “Bollettino della vittoria antifascista”, a firma di tale C. Adorna, un richiamo non tanto celato al Gen. Raffaele Cadorna, Comandante del Corpo Volontari della Libertà:
Dopo 58 mesi di strenua, perigliosa lotta, la guerra contro l’Italia è vinta. La grande battaglia impegnata il 10 Giugno 1940 dalle forze radiofoniche dell’antifascismo, rinforzate dall’appoggio dell’Impero britannico, della plutocrazia di Wall Street, dell’Armata Rossa e del bolscevismo internazionale, è finita. Dopo alterne vicende, in cui i nostri microfoni e le nostre spie, erano costretti a operare oltre El Alamein e al di là di Stalingrado, grazie alle manovre e ai contraccolpi delle nostre quinte colonne, siamo finalmente riusciti ad avere ragione del secolare nemico.
Sterminati gli Italiani, l’Italia giace doma e spezzata ai nostri piedi. La sua flotta è in nostre mani, gli eserciti distrutti, le colonie vendute, i confini arretrati. Solo la dabbenaggine fascista non ci ha consentito la totale distruzione degli impianti industriali, ma anche qui ogni speranza non è perduta.
Avanti, miei brani Marocchini, voi e i fratelli titini completerete l’opera.
W gli Alleati, W il comunismo, abbasso l’Italia!!!
(Bollettino della Vittoria, “Asso di Bastoni”, a. VIII – II Serie, n. 18, 1° Maggio 1955)
Rimaniamo colpiti dalla cristallinità delle posizioni. Chiare e nette, condivise da tutto un mondo che in quegli anni si riconosceva nel MSI, era il MSI. Da quanti anni, pubblicamente, non si ascoltano queste denunce politiche? Da quanti anni, pubblicamente, queste posizioni ideali sono disertate da chi siede in comode poltrone con stipendio statale?
L’idea di costruire un grande sacrario nazionale per i tutti Caduti della RSI si dimostrò subito non percorribile tanti erano i martiri dell’Idea. Ma la necessità di creare un monumento nazionale che rivendicasse il valore di quella scelta d’onore, si sposò con la battaglia per la restituzione al culto delle spoglie di Benito Mussolini che, ancora nel 1955, il sistema ciellenista teneva segretamente nascoste nel convento di Cerro Maggiore (Milano) per paura che intorno a quei poveri martoriati resti si radunassero gli Italiani che ancora credevano nel fascismo. E non erano pochi. Tanta era anche la paura.
Il Ministro degli Interni, il democristiano Mario Scelba – in quel periodo anche Presidente del Consiglio –, l’orgoglio della destra italiana, vigilava, non lesinando “bastonate” a sinistra quanto al MSI.
Dopo che Giovanni Papini e Santi Savarino avevano proposto l’erezione di un monumento nazionale a Dante in Roma, Vanni Teodorani lanciò una proposta esplosiva: edificare un monumento nazionale anche a Benito Mussolini.
La proposta – che oggi sarebbe allucinante –, nell’Italia del 1955, ebbe una qualche attenzione:
Appoggiando l’idea di Papini e Savarino, Vanni Teodorani e i giornalisti dell’“Asso di Bastone”
“concludevamo che ben presto vicino al monumento del Poeta, gli Italiani avrebbero sentito il bisogno di elevarne un altro dedicato all’Uomo che, al di sopra delle superficiali valutazioni contingenti, rimane come esempio più significativo di quell’Italia romana […].
Anno passato [1954] invocammo per le Sue ossa martoriate, e più che tutto per il nostro bisogno di meditazione e di preghiera, una pietra pubblica e onorata.
Subito vedemmo come d’incanto tacersi le passioni, e uomini di tutte le correnti, dall’On. Nenni al Gen. Galbiati, dall’On. Pacciardi, a Parri a Ruini, Montini, Petrilli, Terracini, Umberto II – oltre alle più alte Autorità della Chiesa – aderire umanamente, ricomponendo per un istante nel Suo ignoto tumulo l’unità della Patria e la concordia fra gli Italiani. Dimostrando così ancora una volta che, assai più di queste cose Mussolini, ormai fasciato dall’eternità, è l’Italia, siamo noi, ad avere bisogno di Lui per trovare la ricetta a tanti vergognosi mali.
La sepoltura da noi richiesta – e a parole più volte concessa – non è ancora avvenuta, ma non intendevamo certo circoscrivere ad essa la nostra battaglia al servizio della Verità per la pace civile in Italia. Oggi noi, interpretando i voti dei nostri camerati che ci scrivono da tutta Italia e da tutto il mondo – commoventissima la lettera odierna degli iscritti al Fascio Italiano di Tunisi – abbiamo chiesto a Italiani di ogni categoria, e anche a nostri avversari qualificati, quale sia il loro pensiero sulla necessità di ricordare il Duce sulle piazze d’Italia. È avvenuto un altro miracolo.
Uomini di destra, di centro, e di sinistra. Antifascisti consumati, resi guardinghi da una ormai decennale pratica con gli affari dello Stato, cattolici e marxisti, uomini vicini e lontanissimi, hanno approvato. Taluni pensano che sia opportuna ancora qualche battuta d’attesa, altri ha creduto di ripetere che si tratta ormai di storia passata, ma, sostanzialmente, tutti sono d’accordo con noi, nel prevedere, in un futuro non remoto, la doverosa necessità per l’Italia di levare ovunque simulacri del suo Duce.
Il Natale del 1954 ci trovò tutti, di ogni fede politica e di ogni passato, in ansiosa attesa per la promessa di una vera pace sulla Sua tomba. Questo Natale ci vede intenti, da ‘Asso di bastoni’ a Gonella, a[l Senatore democristiano Stanislao] Ceschi, alla Senatrice Merlin, a riedificare l’onorata storia dell’Italia che non tramonta. Possa il Natale del 1956 salutare un popolo unito, finalmente libero, in pace coi suoi vivi e con i suoi morti, procedere fidente sulle vie dell’avvenire.
Solo allora saremo sicuri di avere servito con intelligenza e fedeltà, gli insegnamenti di Mussolini” (Palladio di pace, “Asso di Bastoni”, a. VIII – II Serie, n. 50, 25 Dicembre 1955).
Le reazioni alla proposta del giornale di Vanni Teodorani ci lasciano senza parole. Alle domande del Direttore poste ai vari interlocutori antifascisti – del calibro: “se approvassero l’aspirazione di elevare Roma un monumento nazionale Benito Mussolini”; o “se non pensassero che sarebbe stato giusto ripristinare almeno i ricordi marmori del Duce che già esistevano, come, per esempio, quello che era al Senato in ricordo dell’impresa africana” – pochi si tirarono indietro e, nella loro assoluta onestà intellettuale, risposero senza esitazioni (cfr. Opinioni e consensi sulla nostra iniziativa, “Asso di Bastoni”, a. VIII – II Serie, n. 50, 25 Dicembre 1955).
L’Onorevole democristiano Guido Gonella – Ministro per la Riforma della Pubblica Amministrazione e l’Attuazione della Costituzione – disse: «Io sono per rispetto della storia e dei documenti storici che devono essere inalterati per lo storico di domani». Chissà cosa ne pensano coloro che, in nome dell’antifascismo, per “difendere” la Costituzione che magari non hanno mai nemmeno letto oltre che compreso, oggi invocano leggi più repressive delle idee altrui…
La Senatrice socialista Lina Merlin fu altrettanto chiara: «Siamo troppo vicini per poter giudicare obiettivamente. Ad ogni modo approvando l’iniziativa si anticipano i tempi su un giudizio storico. Non vuol dire che noi esaltiamo il fascismo con un monumento al Duce. Vuol dire che noi riconosciamo la verità essenziale. Bonifacio VIII per esempio, aveva con la sua politica un significato che anticipava i tempi; voleva fare quello che voleva il re di Francia, l’unità nazionale; cioè fare dello spezzettamento medievale un conglobamento più completo. Il discorso per Benito Mussolini è lo stesso».
Il Senatore Alfonso Artiaco, “poeta del Senato”, già rappresentante della DC nel CLN di Pozzuoli (Napoli), dichiarò:
«La storia non si può distruggere e anche le più recenti rivoluzioni non hanno mai avuto la possibilità di cancellare il passato. Per quante critiche si possono fare a determinati uomini e periodi storici, non si potrà mai riuscire a cancellare quello che fu. Portare quindi nelle piazze quei monumenti di Mussolini, che con la loro stessa presenza attestino quanto ormai acquisito storicamente, penso che sia indizio di maturità di un popolo. Si può anche avere, come ho per esempio io stesso, tutt’altro che tenerezza verso metodi e sistemi che caratterizzarono il Ventennio, pur tuttavia penso che sarebbe gravissimo errore quello di voler distruggere quei ricordi che serviranno ai posteri per dare un sereno giudizio su quanto noi passionalmente non potremo mai con esattezza dare. I posteri potranno dire che noi abbiamo torto e Mussolini aveva ragione».
Incredibile fu il “siluro” di Ferruccio Parri di Unità Popolare, capo storico della Resistenza italiana:
«È un’idea maiuscola».
Non sappiamo in che senso, ma, se effettivamente pronunciate, ci sembrano parole sulle quali riflettere.
Queste considerazioni, riportate dall’“Asso di Bastoni”, evidenziano ancora una volta come negli anni ’50 l’odio antifascista fosse confinato solo nelle regioni rosse, mentre il MSI, sebbene osteggiato, godeva di una legittimazione piena. Del resto, governava in numerose città, addirittura in capoluoghi di provincia, mentre in altrettante Giunte comunali appoggiava maggioranze DC.
Il monumento nazionale a Mussolini come voluto da Vanni Teodorani non sarà mai costruito. Del resto, il 30 Agosto 1957, il Presidente del Consiglio, il democristiano Adone Zoli, originario di Predappio, già membro del CLN di Firenze durante la Resistenza, il cui Governo aveva ricevuto l’appoggio determinante – sebbene formalmente non gradito e respinto – del MSI, restituirà alla famiglia la salma del Duce, che poté così essere inumata, con picchetto d’onore dei Carabinieri, nel cimitero di San Cassiano. Un luogo che divenne fin da subito meta di pellegrinaggi, rendendo inutile un ulteriore monumento della memoria e del culto.
A tanti anni di distanza dal 1955 di passi in avanti non se ne sono fatti. Anzi, viviamo ancora nel clima di artificiale odio antifascista creato ad arte dal PCI nel Luglio 1960 e negli anni seguenti alimentato tanto da creare una “cortina fumogena” del pensiero, nella quale tutti si sono persi.
Mentre negli anni ’50 si poteva parlare di un monumento nazionale a Benito Mussolini, oggi la battaglia per la cancellazione della cultura intrapresa dalla sinistra è giunta al suo apice e, dopo aver abbattuto l’ordine naturale, si propone di abbattere anche i monumenti e i simboli del passato fascista che ancora fanno bella mostra di sé nelle città di mezza Italia. Nemmeno quando al potere c’era il PCI con i suoi partigiani con le mani ancora sporche di sangue fraterno qualcuno si era sognato di intraprendere una strada del genere.
Per questo serve in Italia una “legge per la difesa della memoria storica”. Perché il nostro passato non sia più ostaggio di chi della falsità ideologica e dell’odio politico ha fatto un mestiere ben remunerato.
Pietro Cappellari
(“L’Ultima Crociata”, a. LXXIV, n. 3, Marzo-Aprile 2024)
VANNI TEODORANI
Occorre fare una piccola presentazione di Vanni Teodorani a tanti anni dalla scomparsa che ne ha, purtroppo, offuscato la memoria. Eccoci, quindi, a dover ricordare chi era Vanni Teodorani, annoverandolo tra chi ci ha preceduto, tra chi ha tracciato la strada che ancor oggi, con la stessa fede e con la stessa intransigenza ideale, percorriamo con orgoglio. Nonostante tutto, nonostante tutti. Giovanni Pozzo Teodorani Fabbri, conosciuto da tutti come Vanni Teodorani, era nato a Torino, classe 1916, sposo – nel 1938 – di Rosa Mussolini, la figlia di Arnaldo. Dottore in Legge, in Filosofia e in Lettere, quando assunse la Direzione dell’“Asso di Bastoni” (28 Ottobre 1954 – XXXII anniversario della Marcia su Roma, non a caso) era Assistente presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” dell’Urbe. Era stato Volontario di Guerra nella Conquista dell’Impero e nel Secondo conflitto mondiale, pluridecorato al Valor Militare, due volte promosso per meriti di guerra, brevetto di Ardito. Dal punto di vista politico era stato Segretario dei GUF dell’Eritrea, Fiduciario del Sindacato Giornalisti in Eritrea, Ispettore dei Fasci Italiani all’Estero, Ispettore della Confederazione Fascista dei Lavoratori dell’Industria per i lavoratori all’estero. Giornalista affermato e stimato era stato Redattore del “Corriere Padano”, dell’Agenzia Stefani ed inviato speciale de “Il Popolo d’Italia”. Aveva diretto il “Corriere Eritreo” di Asmara e “Cronaca Prealpina” di Varese. Durante la RSI, alla quale aveva aderito con entusiasmo, era stato Capo della Segreteria militare del Duce ed Ufficiale I B della Divisione Fanteria di Marina “San Marco”. Nel dopoguerra, era stato tra i primi animatori del neofascismo clandestino, fondatore della Federazione Nazionale Combattenti Repubblicani e del Comitato Nazionale RSI, Segretario generale del Comitato Movimento Nazionale Oppressi e del Comitato Assistenza Legionari Italiani Anticomunisti in Indocina. Componente del primo Triumvirato di Presidenza dell’Associazione Nazionale Arma Milizia e Console dei Gruppi dannunziani, Direttore della “Rivista Romana” e, infine, membro del Comitato Centrale del Movimento Sociale Italiano. “A seguito del Duce venne catturato dai rossi il giorno 27 Aprile 1945 a pochi chilometri da Musso (Como), mentre sta per raggiungere la colonna in sosta, latore dell’estrema possibilità di salvezza. Sottoposto a tre fucilazioni e ogni sorta di angheria salvava la vita in circostanze leggendarie. Rimasto latitante per circa un anno partecipò attivamente ai movimenti clandestini fascisti nel 1945-46. Arrestato a Roma e tradotto a Regina Coeli, veniva liberato a seguito di amnistia. Successivamente continuava la buona battaglia dando vita alla FNCR al Comitato RSI – per il quale veniva processato, condannato e assolto in appello – e militando in tutti gli organismi destinati a battersi per la rinascita della Patria. Assunta la direzione responsabile di “Asso di bastoni” il 28 Ottobre 1954, conduceva strenue battaglie per la cristiana sepoltura e un degno monumento a Mussolini, per la costituzione dei Fasci d’Azione, contro Galbiati e soci, a favore di Alfa Giubelli [la ragazza che aveva ucciso il partigiano colpevole della morte del padre] e così via, che fino a questo momento, dovevano fruttargli oltre 30 sequestri, fra totali e parziali, e un centinaio di capi di imputazione, raccolti in una trentina di processi. Fino ad oggi è stato condannato tre volte e assolto una. Tale persecuzione gli provocava anche il ritiro del passaporto e varie diffide”. Tra le sue più importanti battaglie giornalistiche si ricordano le accuse rivolte a Degasperi di aver fomentato i bombardamenti angloamericani sulla Capitale; la mobilitazione per la traslazione della salma di Benito Mussolini – all’epoca sequestrata e nascosta dallo Stato italiano – a Predappio; il processo contro l’ultimo Capo di Stato Maggio della Milizia Enzo Emilio Galbiati inchiodato alle sue responsabilità per il mancato intervento delle Camicie Nere il 25 Luglio 1943; la pubblicazione di una storia del fascismo in dodici fascicoli. Nel 1960 si esauriva l’esperienza di “Asso di Bastoni”. Il 19 Agosto 1964 moriva anche Vanni Teodorani. Di lui ci rimane il prezioso Quaderno 1945-1946, pubblicato solo nel 2014 per le edizioni Stilgraf di Cesena. PC |
L’Autore
Pietro Cappellari è nato a Latina nel 1975, risiede a Nettuno (Roma). Dottore in Scienze Politiche, Master dell’Istituto “Enrico Mattei” di Alti Studi sul Vicino e Medio Oriente, Dottore Magistrale in Storia e Società, Socio onorario della Fameia Capodistriana della Libera Provincia dell’Istria in Esilio, è Ufficiale dell’Esercito Italiano. Direttore della Biblioteca di Storia Contemporanea “Goffredo Coppola” di Paderno (Forlì), membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione “Francesco Parrini”, collabora con la Fondazione della RSI – Istituto Storico ed è Direttore del periodico “L’Ultima Crociata”. É autore di numerosi saggi storici.
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