30 Novembre 2024
Attualità

All’erta sto! – Roberto Pecchioli

Sono le nove di un sabato mattino ma le vie e le piazze del quartiere – tra i più popolosi e movimentati della città – sono deserte. Il mercato settimanale è pressoché inesistente: poche bancarelle, gli ambulanti ardimentosi – quasi tutti stranieri – sperano nelle ore successive. Infatti non piove, nonostante il cielo livido e l’allerta arancione diramata dalle autorità. Dovrebbe diluviare all’impazzata, ma un acquazzone di media intensità e breve durata arriverà solo dopo mezzogiorno. L’ amico edicolante è furioso per le scarse vendite ma capisce che la gente è rintanata in casa per paura indotta. Del maltempo, certo, ma in definitiva di vivere normalmente, di affrontare la realtà come si è sempre fatto. I rari passanti hanno quasi tutti i capelli bianchi; fa effetto che i giovani siano i più conformisti, i credenti più fedeli del verbo del potere.

Nessun dubbio che gli eventi climatici vadano affrontati con prudenza e che le istituzioni abbiano il dovere di approntare ogni strumento per diminuire i rischi. Il punto è un altro; riguarda la docilità della gente, la sua passività, la credulità ammaliata dalla “scienza”. Facciamo spontaneamente, persino con disciplina, ciò che vuole chi comanda. Il sistema delle allerta meteo è una spia formidabile. In autunno le piogge sono normali, generalmente copiose. Quest’anno più del consueto, è vero, ma non giustificano lo stato di allarme continuo che poi non risolve granché. L’incuria di mezzo secolo, l’abbandono delle campagne, la volontà politica di non realizzare infrastrutture, determinano disastri, perdita di vite umane, sfigurano il territorio e gettano sul lastrico le attività umane. Così è accaduto in Emilia Romagna, mentre in Sicilia l’acqua piovana, benedetta in zone dove l’orgoglioso uomo tecnologico, nel terzo decennio del terzo millennio non è ancora riuscito ad assicurare l’acqua corrente in diverse città, viene fatta defluire in mare per le condizioni deplorevoli di pozzi, invasi, tubazioni.

In compenso abbiamo il sistema dell’allerta. All’erta stiamo, per quel che serve. Giallo se le piogge (che i meteorologi chiamano “fenomeni”) sono, per così dire, normali, arancione per i temporali, rossa per le emergenze. In una cittadina della riviera ligure un tabellone stradale prevede anche la comica allerta verde, ovvero rende allarmante anche la condizione ordinaria. Lì casca l’asino, ovvero si manifesta il vero volto del sistema in cui siamo immersi. Dobbiamo stare sempre all’erta, ovvero ci obbligano a vivere impauriti, ansiosi. Pioverà, non pioverà, ci sarà o no il diluvio universale? Nel dubbio, tutti in lockdown volontario. A Bologna il sindaco, autopromosso podestà, ha vietato la partita di calcio nonostante non sia piovuto il giorno dell’incontro. Timore esagerato o senso di responsabilità che sia, la vita normale è stata interrotta per un evento previsto che non si è verificato.

Il tema che ci appassiona – facciamo parte di un’infima minoranza attaccata alla libertà concreta e perciò diffidente – è la paura inculcata nel corpo della società, nei singoli e nella comunità. Città deserte perché scatta il meccanismo di autodifesa, la vittoria della paura. All’erta sto, come i tremebondi della mascherina o i forzati delle vaccinazioni. Il giovane, premuroso medico della mutua ci invita “almeno” all’iniezione contro l’influenza, se proprio non vogliamo sottoporci all’ennesima punturina di siero genico anti coronavirus. Non si sa mai, lei ha una certa età. In fondo che le costa? Chi vive nella paura muore tutti i giorni, disse qualcuno. Giusta prudenza sì, ma non possiamo accettare l’allarme costante, la tensione che esaurisce e il cuore che sussulta mille volte al dì. L’allerta serve soprattutto al potere, che non risolve il problema – il temporale arriverà comunque; se non prenderemo l’influenza, ci buscheremo qualche altro malanno – ma finge di prendersi cura di noi. Materno, rassicurante, ci chiede “solo” obbedienza. Sta’ all’erta, perché pioverà. Come è sempre accaduto, in autunno. Il mercato si faceva ugualmente, la gente indossava impermeabile e galosce, si muniva di ombrello e continuava la vita.

Lo scrivano ricevette la più bella lezione a otto o nove anni, la prima nevicata che affrontò. La mamma impose di andare a scuola. Hai gli scarponcini, i guanti, la sciarpa, il berretto, la scuola è a cinquecento metri da casa, va’ e non fare storie. Poi fu bellissimo fare a palle di neve, costruire bianchi pupazzi, vivere un’esperienza nuova. Se fossero stati già inventati gli stati di allerta, avrebbero chiuso la scuola. Ovvio che occorra evitare il peggio, ma l’eccesso di protezione rende fragili, deboli, incapaci di reagire. Se ci chiudiamo in casa a finestre sbarrate per un’allerta arancione, che faremo in caso di soprusi, leggi antipopolari, negazione della libertà, abolizione di diritti? Nulla: si chiama resilienza, l’arte di sopportare senza battere ciglio.

Una vicina di casa, giorni fa, si lamentava della pioggia perché non era stata decretata l’allerta. Acquazzone improvviso: un rovescio abusivo, non autorizzato. La mania di controllo, il bisogno di previsione, la domanda di protezione introiettata diventa comportamento di massa. Siamo liberi immaginari e sani immaginari, bisognosi di farmaci, cure, iniezioni rassicuranti. Andrà tutto bene, ma solo se farete ciò che vogliamo noi, è il messaggio. Bambini impauriti dipendenti da una madre chioccia che non lascia crescere. La gatta pietosa fece i gattini ciechi, recitava la saggezza popolare quando le allerta climatiche consistevano nell’ interpretazione del vento, della direzione delle nuvole e, vivaddio, nell’attenzione al calendario. In estate ci hanno messo in guardia dalle inevitabili alte temperature, invitandoci a bere acqua e non alcolici, prendere pasti leggeri e non uscire sotto la canicola. Non è ciò che abbiamo imparato da bambini, dai genitori e dall’esperienza? Quanto al caldo meridiano, senza bisogno di allerta, avevamo la controra, le prime ore pomeridiane della giornata estiva, destinate al riposo per il calore.

Non servivano esortazioni o allarmi, sapevamo che in autunno piove, in inverno fa freddo e in estate caldo. Non a caso i radi passanti mattutini del sabato erano anziani, poco permeabili – per diversa educazione – al timore dell’allerta multicolore. L’ idea di controllo totale degli atti e degli eventi, di protezione dalle conseguenze, ci fa vivere in una bolla, sottraendoci un pezzo di vita, dell’avventura di esistere, di “esserci”. Le case diventano rifugi antitutto, dispensari farmaceutici, mentre la meteorologia è trasformata in spettacolo del circo mediatico . Finiamo con il discettare di isobare, corpi nuvolosi, anticicloni, aree di alta o bassa pressione al bar o al mercato. Timore e tremore – significativo titolo di un’opera dell’esistenzialista cristiano Kierkegaard – mascherati da attenzione, cura di sé, accortezza frutto di superiore civiltà.

Il kit del pendolare che abbiamo portato con noi per anni consisteva di ombrello, carta igienica, un analgesico. Oggi dovremmo riempire uno zaino di farmaci, abiti di ricambio, dispositivi di protezione individuale, oltre all’ app delle allerta varie ed eventuali. La paura – l’orrore, talvolta – per la realtà non permette di vivere in modo naturale, toglie gioia, opportunità, rinchiude in uno scafandro. Palombari per paura di affrontare il mare. Un po’ paranoici e molto ipocondriaci per volontà del potere, vittime di un’ansia incapacitante che fa vivere nascosti, sospettosi, guardinghi. Paura di respirare come i portatori sani di mascherine, trepidanti in attesa di pericoli da cui ci ritraiamo, nascosti – struzzi con la testa sotto la sabbia – per schivare conseguenze che arriveranno comunque e ci troveranno smarriti. Esattamente così ci vuole un potere simile all’ omino di burro di Pinocchio, che trasformava i bambini in asinelli per portarli a Mangiafuoco, non nell’immaginario paese dei balocchi. Ogni allerta, giustificata o meno, è un pizzico di timore in più, un nuovo tremore da scacciare sotto l’ala rassicurante dei tecnici, degli esperti, dei superiori.

Che faremo in caso di guerra, Dio non voglia? Come affrontiamo le vere emergenze della vita, dal lavoro alla precarizzazione, dalla malattia alla Grande Rimossa, la morte che attende in fondo al cammino ? Non sarà la paura, non sarà l’allerta a salvarci. Il padre Dante colse meglio di ogni altro il senso umano della vita, facendo dire a Ulisse che iniziava nonostante i rischi il suo viaggio (“l’ardore ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto”) “ma misi me per l’alto mare aperto. “ Sconsigliato: allerta meteo. E se fa caldo, controra da mezzogiorno alle diciotto.

3 Comments

  • Claudio Antonelli 28 Ottobre 2024

    Gli italiani e il clima
    “Si salvi chi puo’!”
    Gli italiani, indisputati campioni di allarmismo, hanno un rapporto molto intenso con il clima e le stagioni. Rapporto in apparenza drammatico. Ma più spesso tragicomico. All’immancabile caldo estivo qualificato come infernale, mostruoso, africano, sahariano, pazzesco, torrido, rovente, bollente, da bollino rosso o addirittura nero, su cui gli organi d’informazioni, TV in testa, sversano concitati il “si salvi chi può!”, subentra immancabile il freddo invernale glaciale, siberiano, polare, pazzesco, che suscita anch’esso allarmi da bollino rosso, e in casi estremi da bollino nero. Apro una parentesi: secondo me, il colore più adatto per questo bollino drammatico da fine del mondo, che meriterebbe di divenire il nuovo simbolo della Repubblica al posto dello Stellone, dovrebbe essere in realtà il marrone. Colore quest’ultimo, in effetti, assai più vicino del rosso al colore del prodotto naturale che, a ogni cambio di stagione, l’apocalisse climatica italiana produce nelle parti più intime dell’abitante medio della penisola.
    Ci avrete certamente fatto caso: nello Stivale non esistono più né il temporale né l’acquazzone. Sono stati sostituiti, all’unanimità, dal nubifragio. E se un tempo pioveva a catinelle, oggi al posto di scrosci e rovesci il cielo lancia sugli italiani le “bombe d’acqua”. È una vera guerra insomma. È una sorta di jihad climatica che mira forse all’africanizzazione dell’Italia. L'”anticiclone africano”, che grava in maniera ormai permanente sulla penisola, si somma, infatti, all’africanizzazione già in corso con gli sbarchi in provenienza dalla nostra “quarta sponda” mediterranea: l’africana.
    Occorre a questo punto spiegare, a quei pochi italiani che non lo sapessero perché emigrati in tenera età e mai più rientrati in Italia neppure per una vacanza, che il clima nella penisola è un avvenimento nazionale e non locale. Infatti, mentre qui da noi in Canada ci si preoccupa del freddo o del caldo che si subisce nella precisa località dove si vive, in Italia l’allarme è d’obbligo per qualunque fenomeno meteorologico fuori norma – e l’italiano considera la Natura intera fuori norma – anche se esso si verifica in uno sperduto angolo, contrada, valle o picco alpino della penisola, distante centinaia di chilometri da casa propria. Se sul Monte Bianco in quel momento vi è una temperatura invernale da record, l’allarme raggiungerà anche la Sicilia, dove invece in quell’istante un canadese potrebbe tranquillamente fare il bagno in mare. Insomma, dalle Alpi alla Sicilia è tutto un parlare preoccupato sul clima a causa delle temperature “pazzesche” e i record di freddo e di caldo che vengono battuti ininterrottamente nell’ex Belpaese. Un tempo chiamato “Belpaese” senza i sarcasmi odierni, proprio per il suo invidiabile clima.
    A battere i record climatici concorrono non solo le temperature reali ma quelle “percepite”. Perché gli italiani sono un popolo che possiede da sempre, e in tutti i campi, un altissimo “indice di percezione” (che gente ignorante e in malafede potrebbe anche chiamare “fattore isterico”). Questo alto indice di percezione si traduce inevitabilmente in un alto indice di “conversazione”, e ciò in relazione sia ai fatti di cronaca nera, sia beninteso in relazione al micidiale clima.
    È molto importante per gli italiani, che si trovino in prima linea o nelle retrovie dell’emergenza clima, “portare avanti il discorso”. E anche se con il parlare di strategie non si vince la guerra, come certi esempi del passato purtroppo ci dimostrano, il diarroico sversamento di parole allarmate sul tempo che fa, che ha fatto, e che farà, contribuisce senz’altro a far passare il tempo più in fretta.
    Non deve stupire che questo clima da “si salvi chi può! ” e da “tutti a casa!” – motti “guerrieri” all’italiana evocanti purtroppo le disfatte – sia “gestito” in Italia nientedimeno che dalle forze armate. A lanciare i continui allarmi su questa meteorologia da fine del mondo, è infatti un alto graduato dell’aeronautica militare che intrepidamente non abbandona il suo posto di vedetta, continuando invece a mostrare il suo profilo migliore a riflettori e telecamere, neppure durante gli esodi biblici da bollino rosso o addirittura nero. Gli allarmi sono lanciati sia a ragione dei calori stagionali dell’estate che impazza, sia a causa delle bombe d’acqua che il padreterno non cessa d’inviare agli italiani in ogni stagione e in ogni angolo della penisola. Roma inclusa nonostante la presenza sugli spalti vaticani di papa Francesco.
    Sì, proprio così: l’Italia è l’unico paese al mondo dove le previsioni del tempo sono fatte in TV non da un semplice annunciatore ma dall’esponente di un corpo militare. Ed è giusto che sia così, perché le stagioni per gli italiani sono un’autentica emergenza. Il che però genera invidie e gelosie presso gli altri corpi della nostra amatissima e armatissima Italia.
    “Tutti a casa!” è il grido che il colonnello dell’aeronautica di turno lancia impavido, in alta uniforme, all’armata Brancaleone che prende d’assalto le località di villeggiatura congestionando e paralizzando la rete autostradale. E ciò durante tutta l’estate, e soprattutto durante i lunghi ponti, e con un picco drammatico a Ferragosto. Festa pagana celebrata dagli italiani ancora più dello stesso Natale.
    Intanto, sulle coste siciliane, sia d’estate che d’inverno a migliaia sbarcano nell’Italia di Tangentopoli, di Gomorra e di “Mafia-capitale” atletici africani in fuga da paesi corrotti, e – doppiamente illusi! – in cerca di un clima migliore.

  • 123 29 Ottobre 2024

    A me sembra tutto facile e banale.
    A monte c’è il fatto che gli Italiani sono in gran parte cialtroni, ignoranti e molti anche minorati.
    Tra questi inevitabilmente ci sono i “giornalisti” che si prostituiscono a chiunque li paghi.
    La “prestazione” del giornalista è come quella del “lavoratore dell’intrattenimento per adulti”, cioè il “porno”. All’inizio, quando tutti erano coperti da capo a piedi, si trattava di mostrare un minimo di epidermide. Poi subentra la assuefazione e quindi bisogna aumentare la forza dello stimolo. Dai e dai si arriva ad ogni estremo concepibile. Il “giornalista” deve fare “sensazione” per intrattenere il lettore o lo ascoltatore o lo spettatore quindi aumenta sempre di più lo stimolo e necessariamente il “piove” diventa “moriremo tutti”. E’ un fenomeno che si osserva in qualsiasi ambito della “comunicazione”, per esempio in TV in passato si alludeva, adesso ti fanno vedere le autopsie e i vermi che brulicano sui cadaveri.

    C’è un altro aspetto da considerare. Come è provato anche da questo sito, bisogna rassicurare tutti che sono dei fenomeni, dei geni incompresi, dei martiri perseguitati, degli eroi in lotta contro il destino e i malvagi. Di conseguenza “uno vale uno” e se “uno” compra una casa che è stata costruita accanto ad una strozzatura dove arriva un torrente “tombato”, cioè incanalato dentro un tubo per poterci fare sopra una strada o un parcheggio, non gli si deve dire che è un cretino lui e delinquenti il costruttore e l’amministrazione comunale, bisogna mettere in scena la commedia del “disastro accidentale” e della “emergenza” per poi promettere che lo Stato elargirà lo “aiuto” che serve alla “ricostruzione”. Cosi come ci bulliamo del turismo senza considerare che i turisti non vengono qui a cercare l’alta tecnologia, vengono a cercare il terzo mondo della vecchina sul ciuccio e della tovaglia a quadretti davanti al trullo. Vengono a cercare un mondo in rovina, la decadenza di Roma, come potrebbe essere New York dopo una guerra atomica. Noi pensiamo di essere furbi a vendere la coppetta di gelato a venti euro all’americano col cappelletto da scemo e la maglietta oversize ma in realtà siamo sempre attaccati alla vita coi denti e, appunto, basta un temporale per fare un disastro perché il mondo in cui viviamo ci crolla addosso.

    Insomma tutto si riduce al tradizionale “piangi e fotti”.
    Non ha mai funzionato sul lungo termine ma se uno è analfabeta o scemo, può sembrare.

  • UnUomo.InCammino 31 Ottobre 2024

    Precise osservazioni che condivido in gran parte.
    Considerato il noto detto “La necessità aguzza l’ingegno” la realtà popolata da persone incapaci, infantili, e che han paura della propria ombra, porta a riflettere a cosa portino anni di agio, bambagia, campane di vetro.

    Vivo in Appennino, quando, raramente, arrivan due dita di neve, c’è il panico. Persone che escono di casa con le ballerine avvolte da…. sacchetti di plastica (sigh!), in giacca e cravatta e mocassini, persone irate con il comune che non ha pulito le strade.
    Il dubbio di calzare degli scarponcini, sulla disponibilità di quattrini, per i comuni d8 collinavo montagna che hanno le casse anoressiche, non viene neppure.
    Bamboccioni viziati, artifcializzati.

    A proposito di artificializzazioni: le infrastrutture fanno parte del problema in quanto contribuiscono enormemente, colla loro metastasi, al fatto che i più sono terrorizzati di fare 5′ a piedi, di prendere la bici per fare 1,5km, di camminare 30′ per arrivare al rifugio dove pretendono le linguine allo scoglio.
    Le colate di asfalto, di calcestruzzo armato, la pletora di smart-ascensori, di “giga sciopping moll, di chatgpt per calcolare il resto DAL rettangolino verdicchio da 5€ per il caffè dax1,20€, hanno reso l’uomo spartano o, per dirla alla Claudio Risè, selvatico, un cicisbeo moscio, cretino, LGBTQwerty, irresponsabile nella accezione precisa del termine, non respons-abile, un essere tragicomico isterico, tutto “diritti”, nessun dovere.
    La sciagura ideologica del (minuscolo) sessantotto presenta i suoi effetti.

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