13 Novembre 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, centosessantaduesima parte – Fabio Calabrese

 

Questa Eredità degli antenati sarà diversa da quelle che l’hanno preceduta, oltre concludere la serie a cui vorrei dare un commiato non so ancora se definitivo, ma perlomeno concluderla per un periodo, mi sono infatti accorto che sta diventando un lavoro un po’ troppo ripetitivo, con conseguenze sul vostro interesse che sono facilmente ipotizzabili.

Prima di concludere – forse definitivamente, forse no – vorrei provarmi ad avanzare qualche osservazione che rappresenti un po’ il succo della serie. Che cosa abbiamo potuto apprendere da questa nostra lunga cavalcata nel passato più o meno remoto? (E vorrei ricordare che oltre ai centosessantuno articoli che precedono quello attuale, vanno contati anche i cento che compaiono sotto quello di Una Ahnenerbe casalinga, titolo che ho poi cambiato perché nella nostra democratica e liberissima democrazia è meglio non correre rischi con riferimenti troppo espliciti, sapete bene a che cosa).

La prima fondamentale osservazione è che questi scritti vogliono avere un preciso significato politico. Noi tendiamo a pensare che la ricerca scientifica, e quindi anche quella archeologica e storica si basino essenzialmente sui fatti accertati e che quindi convinzioni ideologiche che si vogliono imporre non vi abbiano parte. “Scientifico” è nell’immaginario comune sinonimo di oggettivo, ma le cose non stanno esattamente così.

In realtà, quella che chiamiamo scienza è in gran parte un costrutto ideologico che ha il preciso scopo di indurre nella gente le idee che fanno comodo al potere, che poi è quello che tiene in mano i cordoni della borsa da cui la ricerca scientifica dipende, e archeologia e storia non fanno certo eccezione.

Per quanto riguarda le nostre remote origini, la favola dell’origine africana, quella che nel gergo anglicizzante che va sempre più rimpiazzando le lingue nazionali europee si chiama Out of Africa, è un coltello svizzero che assolve molteplici funzioni, serve ad attenuare possibili resistenze alla sostituzione etnica che sotto forma di immigrazione si sta riversando dal Terzo Mondo sull’Europa, a impedire che gli Europei abbiano un’idea troppo elevata di sé stessi, inoltre, la cronologia corta contestualmente adottata che non concede alla nostra specie più di 50 – 100.000 anni ha lo scopo di non lasciarle il tempo di differenziarsi in razze, di cui si nega l’esistenza, sebbene essa sia evidente a chiunque sia dotato di occhi, questo nella previsione e come strumento per l’attuazione di un mondo totalmente meticcio.

E’ certamente un aspetto curioso e del tutto paradossale della questione il fatto che questa concezione che nasce sotto la bandiera dell’antirazzismo, si riveli sorprendentemente RAZZISTA nei confronti dei nostri predecessori di Neanderthal e di Denisova, che per far quadrare i conti di questa cronologia corta, vengono espulsi dalla specie umana, e per conseguenza verso di noi che non abbiamo origini subsahariane e che dell’accoppiamento dei nostri antenati con neanderthaliani e denisoviani portiamo le tracce nel nostro genoma.

Naturalmente, per il potere e per il sistema mediatico al suo servizio vale il principio orwelliano che non è vero ciò che è vero, ma ciò che si riesce a far credere alla gente che lo sia, ma i fatti parlano un linguaggio ben diverso.

Parliamo ad esempio del teschio perfettamente umano e sapiens rinvenuto nella grotta di Apidima in Grecia a cui è attribuita un’età di 150.000 anni, il che è ancora poco in confronto a quello ritrovato anch’esso in un’altra grotta greca, a Petralona, vecchio di ben 600.000, ma entrambi sono superati da ciò che è stato ritrovato ad Atapuerca in Spagna, diversi scheletri dalle caratteristiche marcatamente sapiens la cui età è stimata a poco meno di 900.000 anni. Per salvare capra e cavoli, cioè sia le loro scoperte che la loro pagnotta, gli archeologi hanno adottato l’espediente, la foglia di fico, di classificarli in una specie a parte, Homo antecessor, ma ce n’è di che avere qualcosa di molto più di un sospetto che sia la cronologia corta, sia l’Out of Africa non siano altro che “verità” di regime, cioè favole prive di riscontro nella realtà.

Un discorso assolutamente analogo si può fare per quanto riguarda le origini della civiltà, anche in questo caso ci viene raccontata una favola, sempre la stessa in tutte le salse, a base di Egitto e Medio Oriente, Mezzaluna Fertile, eccetera, un tam tam su cui rullano di continuo sia il sistema mediatico, sia quello scolastico ed “educativo”, eppure basterebbe guardarsi attorno senza avere gli occhi tappati dai pregiudizi che il potere cerca di instillarci per accorgersi che l’Europa è coperta da un capo all’altro, dalle pianure russe alle coste dell’Atlantico da grandi complessi megalitici più antichi sia delle piramidi egizie sia delle ziggurat mesopotamiche.

E non scordiamo il fatto che tutte le prove indicano essere europee e non mediorientali la scoperta dei metalli (l’ascia di rame dell’uomo del Similaun, più antica di cinquecento anni di analoghi attrezzi mediorientali), l’allevamento bovino (la cui priorità è dimostrata dalla tolleranza al lattosio, tipica delle popolazioni europee e di origine europea, e sconosciuta altrove),  l’invenzione della scrittura (le tavolette “di Tartaria” della cultura Vinca della civiltà del Danubio, di mille anni più antiche dei più antichi pittogrammi sumerici).

Bene, non è ancora tutto, perché se andiamo a visitare un sito di archeologia “controcorrente” come “L’arazzo del tempo” che fra le altre cose si avvale dei contributi di un collaboratore di prestigio come l’ingegner Felice Vinci, l’autore di Omero nel Baltico, scopriamo che sempre in Europa si trovano i più antichi insediamenti umani che possiamo definire città, Tell Yunasite in Bulgaria e Lepenski Vir nella ex Jugoslavia, primato finora attribuito alla mediorientale Gerico, in realtà più recente e molto meno estesa.

Qualcosa di molto importante è avvenuto nell’area balcanica e nell’Europa centrale in epoca preistorica, qualcosa che l’archeologia ufficiale continua a ignorare, una pagina strappata della nostra storia più remota. Vi riporto uno stralcio di un altro articolo sullo stesso sito.

La scoperta proviene direttamente dal cuore dell’Europa centrale, per l´esattezza da un perimetro che si estende dall’Austria alla Repubblica Ceca e alla Slovacchia, fino ai confini meridionali della Germania e rivoluzionerà lo studio della preistoria.

Infatti fino ad oggi si pensava che l’architettura monumentale si fosse sviluppata in Europa molto più tardi che in Mesopotamia e in Egitto.

Più di 150 giganteschi monumenti sono stati individuati grazie alle fotografie aeree effettuate in tutta l’Europa centrale, nelle città dell’odierna Germania, Austria e Slovacchia.

Furono costruiti 7.000 anni fa, tra il 4800 a.C. e il 4600 a.C.

I nostri scavi hanno rivelato ’alto grado di civilizzazione di questa civiltà. Per creare i primi complessi di terrapieni su larga scala d’Europa queste popolazioni  furono in grado di utilizzare  una  visione monumentale e sofisticata dell’insieme“, ha affermato l’archeologo Harald Staeuble del dipartimento del patrimonio del governo statale della Sassonia che ha diretto le indagini.

In tutto sono stati identificati più di 150 centri religiosi monumentali, ciascuno fino a 150 metri di diametro, costruiti su unarea di 400 miglia in quella che oggi è lAustria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e la Germania orientale”.

Io vorrei poi ricordare che, oltre alla quantità penso tutt’altro che trascurabile, di materiale che ho pubblicato in questi anni su “Ereticamente”, sono anche l’autore di due libri dedicati ciascuno a una delle due questioni, Alla ricerca delle origini, pubblicato nel 2020 dalle edizioni Ritter, riguardo alla tematica delle origini della civiltà, e Ma davvero veniamo dall’Africa?, pubblicato nel 2022 dalle Edizioni Aurora Boreale riguardo a quella delle origini della specie umana.

Venendo più vicini all’orizzonte storico, vediamo che le cose che abbiamo scoperto nell’arco di questi anni e che io vi ho puntualmente segnalato, sono non meno notevoli. Parliamo per prima cosa della nostra Italia. Sappiamo che la nostra Penisola è stata patria di grandi civiltà, in età antica quella etrusca e quella romana, e anche che la civiltà ellenica si è sviluppata per buona parte sul nostro suolo, tanto che i Greci chiamavano appunto l’Italia meridionale Magna Grecia, poi nel medioevo ancora la civiltà comunale, poi ancora il rinascimento. Tuttavia, questo sembra non essere ancora tutto.

Il fenomeno dei monumenti megalitici è noto soprattutto riguardo alle Isole Britanniche, complessi come il triplice cerchio di Stonehenge o la tomba neolitica di Newgrange in Irlanda, il più antico edificio giunto intatto fino a noi, sono universalmente noti, ma, come vi ho detto più sopra, in realtà è diffuso in ogni angolo d’Europa, e sebbene molti lo ignorino, anche l’Italia ne ha la sua buona parte. In particolare, mi sono soffermato su tre tipologie di monumenti, le mura ciclopiche che cingono alcune città dell’Italia centrale, ad esempio Narni, le piramidi-altare e le statue-stele.

Le piramidi-altare non erano monumenti funebri come quelle dell’antico Egitto, ma, potremmo dire, degli enormi basamenti sui quali presumibilmente si svolgeva qualche antico rito, o forse dalla cui sommità predicatori arringavano le folle. La più nota di esse, la piramide “etrusca” di Bomarzo è nota anche come “sasso del predicatore”. Oltre a quella di Bomarzo, abbiamo, sempre in provincia di Viterbo, altre due piramidi-altare in località Selva di Malano, un masso sagomato in forma simile alla piramide “etrusca” nel Parco Archeologico di Veio, e quella di Monte D’accoddi in Sardegna.

Le statue-stele più famose sono quelle della Lunigiana, ma in realtà si tratta di una tipologia di monumenti che si ritrova su di un’area molto più vasta, che va dalla Sardegna al Trentino, al Canton Ticino.

Notiamo anche che l’attribuzione dell’appellativo “etrusca” alla piramide di Bomarzo è in realtà impropria, si tratta verosimilmente di una costruzione anteriore all’epoca etrusca.

Tutte e tre queste tipologie ci suggeriscono la presenza nell’Italia centrale di una remota civiltà anteriore a quella degli Etruschi.

Veniamo infine all’orizzonte propriamente storico della storia documentata. Qui un esame di ciò che hanno da offrirci i siti stranieri, soprattutto anglosassoni come ad esempio “Ancient Origins”, ci fa entrare in un ordine d’idee sorprendente.

Il periodo storico che conosciamo come antichità, si può dire che sia esistito soltanto per l’ecumene greco-romano e mediterraneo. Per quanto riguarda la storiografia centro e nord-europea, abbiamo un passaggio diretto dall’Età del Ferro al Medioevo.

L’abbiamo visto più di una volta, la grande protagonista dell’età antica è stata incontestabilmente Roma, che non ha soltanto creato un impero esteso attorno a tutto il bacino mediterraneo, dalla Britannia alla Mesopotamia, vale a dire pressoché tutto il mondo allora conosciuto, ma dato ai popoli assimilati nell’ecumene romano ordine, leggi, civiltà, benessere economico, un superiore modo di vita in modo tale da garantirsene la fedeltà, e non dimentichiamo neppure le meraviglie ingegneristiche e architettoniche romane che stupiscono ancora oggi.

E’ importante sottolineare che questi riconoscimenti non vengono perlopiù da siti italiani, ma stranieri come “Ancient Origins”, “Ancient Pages”, “The Archaeology News Network”, “Archaeology Magazine”, non possono essere perciò ritenuti il frutto di un orgoglio campanilistico che potremmo provare, in quanto discendenti diretti di questa civiltà nata sul nostro suolo ed estesasi a una dimensione per allora planetaria, così come gli Ungheresi esaltano la figura di Attila, i Romeni quella di Dracula, i Mongoli quella di Gengis Khan.

Al contrario, sembra che agli Italiani di oggi il glorioso passato della nostra Penisola, di cui molti paiono non essere nemmeno consapevoli interessi assai poco, e questo sebbene in tempi relativamente recenti, per una serie casuale di circostanze, anche i media mainstream abbiano parlato molto di esso negli ultimi tempi.

Prima la scoperta nel fango del fondo della vasca votiva di San Casciano dei Bagni (Siena) di 21 eccezionali bronzetti di età etrusca e romana, poi a Roma i lavori per la realizzazione della linea C della metropolitana che hanno portato a una scoperta archeologica quasi a ogni nuovo metro scavato nel sottosuolo, poi ancora le nuove scoperte archeologiche dell’area vesuviana, fra cui forse la più notevole è quella che grazie a una nuova tecnica combinazione di scansione laser e intelligenza artificiale, è ora possibile leggere i papiri carbonizzati della Villa dei Papiri di Ercolano e recuperare testi dell’antichità finora perduti, poi ancora di nuovo nella Città Eterna, i lavori di sistemazione in vista del giubileo del 2025 che, di nuovo, hanno portato alla luce nuove scoperte, e pare proprio che la nostra capitale sia un enorme museo che dove si scava, si trova.

Tuttavia, questi sembrano non essere altro che dei fuochi di paglia. Da noi sembra mancare quella passione per il passato che ad esempio spinge molti inglesi a trascorrere i fine settimana andando in giro per le campagne con il metal detector alla ricerca delle vestigia di un passato di certo assai meno ricco del nostro.

Recentemente ha fatto molto rumore e sollevato un dibattito internazionale ben lontano dall’essere concluso, la richiesta della Grecia alla Gran Bretagna di riavere indietro i marmi del Partenone trafugati dagli Inglesi nel XIX secolo e che oggi si trovano al British Museum di Londra. Pur riconoscendo la giustezza della richiesta greca, non si può fare a meno di pensare che se per ipotesi l’Italia avanzasse richieste analoghe di riottenere le opere d’arte italiane sparse nei musei di tutto il mondo e che hanno lasciato la nostra penisola per vie perlopiù illegali, questi ultimi rimarrebbero desolatamente vuoti.

Ma tant’è. Ultimamente sono apparsi in internet gli esiti di un sondaggio a livello europeo volto a stabilire la fierezza con cui è vissuta nei vari stati del continente l’appartenenza nazionale, e, indovinate un po’, l’Italia si situa al livello più basso, con meno della metà, il 49 per cento degli Italiani fieri di essere tali, e sì che ne avremmo ben donde.

I motivi di ciò sono un discorso complesso e delicato cui ora non è possibile accennare che di sfuggita. Questa nostra Italia è rinata da un secolo e mezzo dopo un periodo decuplo di divisioni e dominazioni straniere che hanno lasciato cicatrici non sempre visibili, e nel corso di questo secolo e mezzo unitario, abbiamo avuto un unico regime durato poco più di vent’anni, dal 1922 al 1943, che ha cercato di rendere gli Italiani fieri di essere tali, poi è venuta la Seconda guerra mondiale che ha portato non solo la sconfitta militare, ma anche il disonore, il voltafaccia dell’8 settembre 1943. Si aggiunga ancora il fatto che durante la cosiddetta resistenza, spesso conducendo una guerra civile parallela non solo contro tedeschi e fascisti, ma anche contro le formazioni partigiane non comuniste, il PCI si è costruito una posizione di potere nel dopoguerra che gli ha consentito di essere il partito comunista più forte d’Europa e da qui diffondere le sue utopie internazionaliste. Sullo sfondo ancora la presenza proprio nel cuore della nostra Penisola e nella nostra capitale del Vaticano, e le utopie internazionaliste cattoliche non valgono più di quelle marxiste, specialmente oggi che riesce a reclutare i membri del clero quasi solo nel Terzo Mondo.

Far riscoprire e apprezzare la grandezza della nostra eredità storica in quanto europei e in quanto italiani, è l’impegno non solo de L’eredità degli antenati, ma il mio di tutta una vita, e potete essere certi che in una forma o nell’altra, proseguirà.

 

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