16 Novembre 2024
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La necessità di un programma antiliberale – Roberto Pecchioli

Dopo la vittoria di Donald Trump, diventa  ancora più urgente definire nuove sintesi ideali, programmatiche, etiche per un pensiero finalmente antiliberale. Ardire di essere illiberali, come scrisse Alain De Benoist, è la priorità – culturale, metapolitica – per chi si oppone al globalismo e al progressismo occidentale da posizioni non marxiste. Dovremmo dirci  populisti, rivoluzionari, persino conservatori, se ciascuna di queste definizioni non avesse in sé una contraddizione rispetto allo scenario esistente. Utilizziamo qui i termini destra – che non ci convince e non ci contiene – e sinistra – che ha perduto la sua carica antagonista – per brevità e facilità di comprensione. La verità è che la contrapposizione in atto in questa parte del mondo è tra élite (ma è più corretto dire oligarchie) e popolo. Alto contro basso, centro contrapposto a innumerevoli periferie, in termini valoriali, spaziali, di risorse economiche, di interessi concreti.  E’ urgente il confronto tra una concezione umanistica della vita e una apertamente trans e post umana. E’ il tempo in cui ci confrontiamo con l’impatto di tecnologie di potenza mai vista, dall’Intelligenza Artificiale alla robotica sino all’ impianto di apparati artificiali nel corpo umano, con tutto ciò che ne consegue in termini di sorveglianza individuale e collettiva da parte del potere. Da ciò consegue la constatazione che occorre abbandonare il dogma democratico – viviamo già in post-democrazia – e concentrare la battaglia sul concetto di libertà.

La premessa è necessaria per descrivere la cornice in cui siamo immersi. Sta a un pensiero nuovo, definitivamente liberato dalle scorie del passato (comunismo, fascismo, liberaldemocrazia) disegnare il quadro, prendendo atto della realtà, ma anche accettando la sfida di un radicale cambiamento. Del resto l’utopia  che noi stessi rimproveriamo ai sistemi di pensiero avversari – è spesso soltanto la spinta verso ciò che non è ancora avvenuto e che dobbiamo costruire. La prima presa d’atto positiva è che il crinale destra-sinistra si è capovolto. Non più i ceti bassi e medi a sinistra e quelli elevati – più ricchi di mezzi economici, posizione sociale e titoli accademici – a destra. Scricchiola anche il vecchio asse conservatori- progressisti, omologo a destra/sinistra, giacché oggi le classi “conservatrici “ sono quelle basse, estranee alla globalizzazione o vittime delle sue dinamiche, e “progressisti” sono le fasce sociali degli entusiasti della globalizzazione, delle nuove teorie sessuali (gender, omo e trans sessualismo), della rivoluzione digitale, alimentare, green, delle società multietniche e multiculturali, gli immigrazionisti ad oltranza, coloro che considerano l’aborto non una possibilità bensì un diritto universale, la famiglia un impaccio di cui liberarsi, l’ateismo pratico (divenuto indifferenza spirituale) un traguardo della civiltà finalmente liberata da superstizioni e credenze non scientifiche.

Lo sfondo progressista è la privatizzazione del mondo, la fine della dimensione nazionale e statuale, la cancellazione dell’eredità del passato perché arretrata, non all’altezza dei tempi, il fastidio – o l’aperta irrisione – per usi, costumi e tradizioni dei popoli, la convinzione che l’opinione della gente comune sia frutto di ignoranza e pregiudizio. Questo, nonostante le quotidiane professioni di fede, dimostra il fastidio per il principio democratico. La costante manipolazione dell’opinione pubblica per mezzo dell’apparato di comunicazione e intrattenimento posseduto dall’oligarchia conferma che il potere del denaro uccide anche il metodo democratico, che infine, secondo l’ultimo Norberto Bobbio, non è che una procedura per assumere decisioni collettive.

Molti nodi stanno venendo al pettine. L’analisi dei gruppi sociali che hanno votato Trump in America, i populisti in Olanda, Alternative fuer Deutschland e Bundnis Sahra Wagenknecht in Germania, il Partito della Libertà in Austria, il Rassemblement National e La France Insoumise in Francia, portato al governo Orbàn in Ungheria e Fico in Slovacchia, mostra che il pendolo delle preferenze popolari  va verso le forze ostili alla globalizzazione, alla rivendicazione dei diritti sociali rispetto all’enfatizzazione di  sedicenti diritti civili. Il voto a sinistra è prevalente nei ceti alti urbani scolarizzati, mentre si rafforza la tesi di Luca Ricolfi sulla mutazione ideologica – forse antropologica – per cui  le idee di sinistra sono migrate a destra. Un orientamento nuovo che esprime la volontà di mantenere la sovranità, le tradizioni, le differenze tra i popoli attaccate dal globalismo liberista omologante. Tutto questo è stato abbondantemente rilevato dagli analisti delle dinamiche sociali ed è confermato dalla voce della strada, da ciò che tanta gente dice e pensa sempre più apertamente. Ciò che non emerge è un vero pensiero antiliberale a destra, ovvero una elaborazione teorica organica che sappia diventare progetto e poi programma. Il punto debole – tipico delle destre di ogni tempo, luogo e colore – è il mancato approfondimento delle cause profonde dei fenomeni, perfino di quelli che favoriscono il suo successo.

Occorre una presa d’atto a partire da alcuni dati consolidati: chi si orienta a destra è oggi in maggioranza uomo, di estrazione sociale media o bassa (i perdenti della globalizzazione, ma non solo), crede  nella triade Dio, Patria, famiglia senza per questo disprezzare libertà, uguaglianza, fraternità. Non ha nulla contro le scelte individuali ma non ritiene l’omosessualità un modello sociale, esige frontiere sicure, uno Stato forte ma non invadente, vive soprattutto in città medie e piccole o in periferia, ha titoli di studio –  ma non competenze! – inferiori rispetto ai ceti che sostengono il globalismo. Soprattutto, oltre a valori divergenti, ha interessi opposti a quelli dei dominanti liberali, liberisti, libertari/libertini. Finora si rivolge a destra in senso reattivo, per mancanza di meglio, ma l’offerta politica che trova è insufficiente a costruire un’alternativa reale, un modello attrattivo che sia insieme possibile e diverso, un progetto che scaldi i cuori ed abbia la capacità, la volontà, l’ambizione di diventare egemone.

Serve una rivoluzione di cui sia protagonista il popolo con l’ obiettivo di sconfiggere il modo di pensare, agire, organizzare il mondo liberale, contestando alla radice i suoi postulati economici e finanziari. La sinistra ha perso l’anima sociale ma detta l’agenda dei nuovi valori societali; la destra si accomoda soddisfatta nella cuccia liberalcapitalista, disperdendovi la credibilità popolare faticosamente acquisita.  E’ la scelta definitiva di forze come Fratelli d’Italia, ma anche di altri movimenti in Europa, cresciuti perché considerati antagonisti, i quali, alla prova del governo (il potere è altra cosa) hanno deluso chi sperava nel cambiamento. Pur riconoscendo le difficoltà obiettive di agire in un sistema che si è fatto norma – ordoliberalismo, prevalenza ricattatoria della finanza, supremazia giuridica degli organismi transnazionali, pressione politica, mediatica, culturale del Moloch globalista – la delusione è grande.

Per questo è necessario un radicale cambio di rotta delle forze antagoniste – a destra, a sinistra e “oltre” – soprattutto nell’ambito economico e finanziario . Alcuni esempi fra tutti: l’equivoca difesa – specie a destra – della categoria di Occidente senza mai prendere atto che l’Occidente nichilista di oggi è l’esito naturale delle scelte di lungo periodo della liberaldemocrazia; l’ossessione dell’ordine, cioè del disordine costituito, senza comprendere che un ordine deve innanzitutto essere giusto; la critica dell’uguaglianza anche quando quest’ultima contesta le insopportabili diseguaglianze sociali liberali. La confusione tra l’economico e il sociale finisce per disprezzare entrambi. La dimensione pubblica e comunitaria è scambiata per collettivismo, mentre non vi è alcuno sforzo per comprendere le cause della lotta di classe, che non è un’invenzione di Marx. E ancora: l’incapacità di designare il vero nemico, il progressismo globalista liberal-liberista, e di far prevalere le idee sugli interessi individuali. Dietro il conservatore sonnecchia il borghese più preoccupato delle aliquote fiscali che dell’avvenire della civiltà, privo di curiosità per le idee altrui e perfino per l’analisi delle proprie. L’antagonismo di sinistra si attarda nella nostalgia del comunismo, avvitandosi in un antifascismo incapacitante, l’etichetta appiccicata a tutto ciò che non gli piace o non comprende. Impotenze contrarie, ma uguali.

Tuttavia, l’universo valoriale che chiamiamo destra resta per noi quello giusto; la reazione all’onda dei cosiddetti diritti individuali, l’orrore per  vedere sfigurata la propria nazione dall’immigrazione senza limiti, lo sgomento per la fine della famiglia, della comunità, la contrarietà al vuoto nichilista sono sacrosante, ma da sole non basteranno a invertire la rotta. Se i mali che lamentiamo sono prodotto della visione del mondo e della prassi liberale, libertaria, liberista, sono queste che vanno attaccate. Se l’opposizione, spesso istintiva, di pancia, a fatti che riconosciamo come pericoli mortali proviene soprattutto dalle classi popolari, è da quelle che bisogna partire, dal basso contro l’alto, dai principi che la gente comune sente propri e custodisce contro la manipolazione, l’indottrinamento, l’imposizione. Solo il popolo salva il popolo. E lo deve fare riappropriandosi di ciò che è suo, sottratto dalla voracità insaziabile delle oligarchie padrone di tutto. Serve riappropriarsi dell’idea di Stato, della dimensione pubblica, di un’economia non di rapina e di accumulo, di una finanza che serva il benessere e smetta di alimentare un ceto parassitario che fa denaro dal denaro, dal sudore popolare e dai beni comuni.

Nessun principio naturale, conservatore in senso lato, potrà essere mantenuto, difeso, rilanciato e restituito a dignità se non cambierà l’approccio verso il potere economico e finanziario  e soprattutto se non risorgerà un pensiero economico sorretto da solide basi filosofiche, morali, spirituali, estraneo al liberalismo. Una volta si chiamava terza via;  Aleksandr Dugin propone la Quarta Teoria Politica, ma si tratta della via di chi non crede nel mercato misura di tutte le cose, che intende sottrarre alla cupola finanziaria il potere di creare moneta e di agitare il ricatto del debito, che recupera la dimensione comunitaria, pubblica e statuale, che elabora una politica industriale contro la delocalizzazione, che affronta le sfide della robotica e dell’automazione in nome del primato della persona umana.

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