Finita la grande kermesse elettorale Usa, finito il tempo delle recriminazioni e delle dichiarazioni, sia a favore che avverso l’elezione del magnate americano D Trump alla Casa Bianca, dipanati i fumi dell’inebriamento e del tifo da stadio, è ora di porci davanti alla questione su cosa o non cosa, dobbiamo aspettarci da Donald Trump. Va anzitutto rammentato che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, il personaggio Trump non è affato una novità nel quadro politico statunitense o, quantomeno, non è una novità il retroterra socio-politico, che lo ha portato al soglio di Washington.
Da tempo immemorabile, la politica americana è attraversata dalla tentazione di una politica isolazionista, volta a tutelare, anzitutto, gli interessi delle classi medio basse. Questo, di contro alla rimarcata tendenza ad una politica espansiva, volta ad un massiccio sviluppo della propria sfera d’azione in ambito politico economico, ben fuori dai confini del paese, a livello globale, in tal modo favorendo quei ceti detentori del potere economico e finanziario, spesso a discapito delle classi meno abbienti. Una tendenza, quella all’isolazionismo, che trova le proprie origini culturali nelle appendici del Romanticismo nelle versioni Trascendentaliste di Ralph Waldo Emerson e di David Thoreau, animati da una visione in cui a farla da padrone, è un individuo in osmosi e comunione con una Natura espressione di un principio divino, inteso in chiave panteista. E’ il sogno dei grandi spazi e di un’”America profonda” attaccata alle proprie radici comunitarie, allergica a qualsiasi intromissione dei poteri centrali nella propria vita e gelosa custode dei propri diritti individuali.
Non per questo, il fenomeno del Populismo, inteso come modalità dell’agire politico, è cosa nuova, bensì trova le proprie origini verso la fine del 19° secolo, in tre ben diversi contesti socio politici: in Francia con la figura del Generale Boulanger ed il suo tentativo, esauritosi nell’arco di pochi anni, di coalizzare i ceti più disagiati con alcuni tra i rappresentanti della borghesia e della nobiltà, stanchi delle oligarchie che, a quel tempo dominavano la scena politica francese, in Russia con la politica del “narodnicestvo” e della “obscina/comunità” e dei suoi “narodniki, successivamente riassorbiti tra i menscevichi ed i bolscevichi ed alfine negli Usa, con il Partito del Popolo, la cui esperienza di breve durata, ebbe fine con l’assorbimento di quest’ultimo nel Partito Democratico agli inizi del 20° secolo. In comune, tutte e tre queste esperienze, possiedono l’insofferenza del popolo per le oligarchie legate ai poteri economici e finanziari del momento, congiuntamente al desiderio di realizzare una democrazia diretta e plebiscitaria, bypassando i poteri degli organi di rappresentanza politica, quali parlamento e senato vari.
Generalmente, questa tendenza politica, non ha mai trovato un concreto riscontro a livello decisionale negli Usa, anzi. Il fatto è che, tutti gli sfasci recentemente provocati dalle politiche globaliste, volte ad un’espansione senza limite alcuno dei mercati finanziari, praticamente privi di qualsivoglia freno giuridico, etico o moraòe che dir si voglia, hanno provocato sperequazioni, impoverimento ed insicurezza tali, da spingere l’intero corpo elettorale Usa alla rielezione di Donald Trump. Ora, anche qui va chiarito un altro equivoco. Nulla di più sbagliato il pensare a Donald Trump, unicamente quale spontanea espressione di “masse desideranti”, privo di ulteriori adddentellati, in questo caso rappresentati dalla volontà di una consistente parte di quei poteri “forti” a farla finita o, quantomeno, a ridimensionare significativamente le politiche globaliste.
Sicuramente Trump cercherà di togliere l’attenzione della politica estera Usa dal quadrante nord est del Vecchio Mondo (Ucraina, etc.), per privilegiare quello rappresentato dal Pacifico e dal confronto politico-economico con la Cina. Il tutto, senza assolutamente poter omettere il più che delicato quadrante medio orientale, caratterizzato dalla presenza di due stretti, Hormuz e canale di Suez, vitali per tutti i tipi di rotte commerciali, dalle materie prime a tutto il resto. I buoni rapporti con i paesi arabi “moderati” (Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti, etc.) non possono prescindere dall’inscindibile alleanza con Israele, nel ruolo di vero e proprio contrafforte geostrategico occidentale, nel sud est del Mediterraneo e le cui lobbies filosioniste dettano, tra l’altro, legge negli Usa. Secondo poi, quell’Iran che, in qualche modo, rappresenta il contraltare geo strategico agli interessi Usa nella regione, da sempre animato da una irrefrenabile tendenza all’espansione verso occidente, ora volta a realizzarsi un punto fermo in quel Libano, la cui stabilizzazione politica degli ultimi anni (contrariamente a quel che si può credere), è stata realizzata proprio da Amal/Partito di Dio di Nabih Berri, assieme alle milizie Hizbollah.
Non solo. Nell’intricato quadro rappresentato dalle guerre civili di Siria ed Iraq (democraticamente scatenate grazie alle “primavere arabe” a firma Usa…sic!), gli unici in grado di contrapporsi attivamente al terrorismo integralista dell’Isis sono state proprio le milizie sciite, coordinate e capitanate dal generale iraniano Suleymani ucciso, guarda caso, proprio su ordine di Donald Trump. E questo, per rimarcare il fatto che gli Usa, non hanno mai veramente rinunciato alla politica del doppio giuoco, consistente nell’armare la mano agli integralisti sunniti, salvo poi abbandonarli al proprio destino…E guarda caso, in Siria nella sconfitta dell’Isis è stato determinante il supporto della Federazione Russa, che non può certo lasciare agli Usa l’unico, sicuro sbocco sul Mediterraneo proprio rappresentato dallo stato siriano. Così come, lo stesso Iran, rappresenta un fondamentale partner geostrategico per la Russia di Putin, sia per quel che attiene il controllo sugli stretti, che nel contesto Brics. E per quanto Trump sia, (almeno a parole…) intenzionato ad effettuare una politica di maggior distensione con la Russia di Putin dovrà, comunque, vedersela con la presenza dei Brics, ora ulteriormente rafforzati dall’asse Russia-Cina.
In tutto questo, quel che l’Europetta di Bruxelles può guadagnare dalla nuova presidenza Usa, può essere ravvisato nel breve termine, nel senso di una maggior stabilità economica, se Trump riuscirà a porre fine al conflitto russo-ucraino. Ma se vogliamo vedere le cose in un’ottica temporale medio-lunga, il ridimensionamento delle politiche globaliste ad opera di una parte dei Poteri Forti, non comporta la fine dell’aspirazione degli Usa a comportarsi da grande potenza, ma solo un suo ricollocamento geo strategico, unicamente dovuto a motivi di pura convenienza. Le politiche globaliste hanno, anzitutto, innestato il sorgere di un generale malcontento che, nel tempo, poteva divenire sempre meno gestibile. Secondo poi, il Globalismo può portare altri soggetti economico finanziari, a sostituirsi ed a spiazzare i presenti equilibri di potere sia economico, che politico contribuendo, al sorgere di nuovi ed inaspettati fattori di instabilità globale. In tutto questo l’Europetta, continuando con questo andazzo, andrà irrimediabilmente incontro ad un destino di irrilevanza ed impotenza, volto solo a rinconfermare, in modo peggiorativo, il proprio attuale status di sudditanza economica e politica.
In questo senso, le recenti dichiarazioni dell’ideologo “trumpiano” Steve Bannon, profferite all’indirizzo di Giorgia Meloni, sembrano non lasciar dubbi. O l’Europetta abbandona le politiche da circo equestre di Bruxelles, iniziando una decisa marcia verso il recupero della sovranità dei suoi singoli Stati, o verrà, per l’appunto, abbandonata al proprio misero destino. Pertanto, l’esercizio da “trumpiani de noantri”, di certi personaggi, ci sembra cosa del tutto inutile e sterile, visto che la nuova presidenza americana tirerà diritto sulla propria strada, lasciando indietro tutti gli altri, senza fare sconti a nessuno. La sopravvivenza dell’Italia e dell’Europa, come entità di rilievo geopolitico ed economico si giocherà, negli anni a venire, su una sola parola: “Sovranità”. A questo punto, visto l’attuale quadro politico nostrano, non abbiamo, per ora, alcuna certezza, su chi riuscirà a dare adito ad un serio progetto di rivitalizzazione delle radici spirituali dell’Europa e del nostro paese, attraverso un lungo ed operoso lavoro di presa di coscienza di popoli sinora, abbandonati al proprio destino.
UMBERTO BIANCHI