Da giovane pensavo di essere troppo ignorante per comprendere l’arte contemporanea. Da vecchio, sono troppo bisbetico per non essere convinto che si tratta di un grande imbroglio. Che cosa pensare della banana di Maurizio Cattelan, il cui titolo è Comedian, ossia attore comico? Sincerità dell’artista, assai bravo a scoperchiare la menzogna dei mercanti e dei critici d’arte, nonché a trarre vantaggio dalla supponente dabbenaggine modaiola di collezionisti che non capiscono – come me – ma si adeguano alla vulgata di “color che sanno” (che cosa, poi?) e pagano fior di quattrini per esibire in salotto opere – ma la parola magica è “installazioni” – che il mondo al contrario considera espressioni artistiche.
La realizzazione di Cattelan, inizialmente venduta per centoventimila dollari, consiste in una comune banana fissata al muro con nastro adesivo. La performance artistica, informa Wikipedia, è consistita in una serie di eventi che ruotavano attorno al frutto in una fiera d’arte a Miami, luogo della prima esposizione. La banana, una volta marcita, può essere sostituita con un’ altra. O tranquillamente mangiata, ciò che avrebbe già fatto il suo ultimo acquirente, un miliardario cinese, Justin Sun, finanziere specialista in criptovaluta. Tutto si tiene: criptomoneta per criptoarte. Chissà se è virtuale anche il pagamento di oltre sei milioni di dollari.
Novanta minuti di applausi a Cattelan, capace con una banana e qualche centimetro di nastro adesivo di smascherare il nichilismo artistico, sbeffeggiare acquirenti e critici e diventare ricco. Peraltro, è anche l’autore del gigantesco dito di marmo – tecnicamente magnifico – esposto a Milano di fronte al palazzo della borsa, il cui titolo è l’acronimo LOVE (libertà, odio, vendetta, eternità) . Uno sberleffo alla finanza, o forse è la finanza che si rivolge a noi attraverso l’opera per spiegarci – esibendo il dito medio alzato – che cosa pensa delle sue vittime.
La forza del capitalismo è assorbire tutto, anche le critiche più feroci sino a metterle in vendita e guadagnarci sopra. Pensiamo all’immagine-culto di Che Guevara diventata un brand o al “no logo” (dal libro anticapitalista di Naomi Klein) trasformato a sua volta in marchio di successo. Viene voglia di applaudire chi è capace di farsi pagare dai suoi avversari. Un’arte sopraffina anch’essa.
Inutile, nel caso della banana, scomodare le definizioni di arte. Basta un aforisma dell’austriaco Karl Kraus: arte è ciò che il mondo diventerà, non ciò che il mondo è. Appunto: il mondo capovolto. Oppure una riflessione del pessimo Theodor W. Adorno in Minima Moralia: il compito attuale dell’arte è di introdurre caos nell’ordine. Missione perfettamente compiuta, a partire dal celebre orinatoio (Fontana è il nome ufficiale) di Marcel Duchamp del 1917, il primo a teorizzare che tutto può essere arte. Da allora ogni espressione di creatività può essere considerata (o spacciata) come arte.
Citiamo ancora la bibbia laica postmoderna, Wikipedia. “Fontana è un’opera ready-made (??) realizzata dall’artista Marcel Duchamp nel 1917. Non fu mai esposta al pubblico e andò successivamente perduta. Consiste in un comune orinatoio firmato R. Mutt e intitolato Fontana, e viene considerata da alcuni storici dell’arte e teorici specializzati una delle maggiori opere d’arte del ventesimo secolo. Dal 1964 esistono nel mondo sedici repliche dell’oggetto. “ Con buona pace di Walter Benjamin che teorizzò la differenza tra valore culturale e valore espositivo e scrisse un saggio su L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. E, nella fattispecie, della sua sostituzione con un’altra banana. Onore a Maurizio Cattelan, che prende in giro il circo artistico e diventa ricco. Epigono di altri artisti, da Piero Manzoni con il famoso barattolo di deiezioni sue (Merda d’artista) a Lucio Fontana che realizzò i celeberrimi “tagli” sulla tela vuota per evocare la quarta dimensione, sino alla pop art di Andy Warhol con la serie di trentadue tele sulle scatolette di fagioli Campbell.
Se io inventassi un nuovo modello di scopa, potrei rivendicare la qualifica di artista: creatività. Del resto, ho un amico che si dedica veramente alla storia delle scope. E’ l’impero dell’equivalenza in basso: non ci sono distinzioni o gerarchie, né tra gli uomini, né tra le cose. Tutto è accidentale ed ha il medesimo valore. Di conseguenza, tutto può essere arte. Iniziò il russo Malevich, astrattista, che all’inizio del Novecento dipinse – o meglio realizzò, poiché l’atto del dipingere non lo compì – il noto Quadrato nero su sfondo bianco, cui seguì il Quadrato bianco su sfondo bianco. Malevich dichiarava la pittura un pregiudizio del passato, affermando che era scoccata l’ora finale dell’arte. Siano proscritte le belle arti, concludeva. Una profezia che si è avverata, poiché non solo l’’arte contemporanea ( postmodernità e post-arte) sembra spesso l’apologia del brutto, ma perfino del deforme, dell’osceno, dei sogni, degli incubi e del perverso. Capì tutto il grande Goya nell’incisione nota come Il sonno della ragione genera mostri.
Al di là della provocazione, della trasgressione obbligatoria diventata nuovo conformismo, molti artisti – sedicenti tali – non sono che interessati analisti delle follie di quest’epoca, sicuri dell’ applauso del mondo al contrario inconsapevole della propria decadenza. Di recente hanno fatto notizia gli attentati all’”arte” compiuti da ignare addette alla pulizia di alcuni musei, che hanno gettato nel bidone dell’ immondizia certe “installazioni” esposte, a base di rifiuti, chiare allusioni alla realtà contemporanea di “creativi” ribattezzati artisti. Ignoranza crassa o saggezza popolana?
Che dire di un’altra opera, la fotografia dell’americano Andrès Serrano Piss Christ, una statuetta di Cristo Crocifisso immersa nell’urina, che ottenne anche un premio in denaro da un ente governativo statunitense ? Cattelan, peraltro, ha giocato tutta la sua carriera sul filo della provocazione e dell’happening. Nel 1999 presentò come opera vivente, intitolata A perfect day, il gallerista milanese Massimo De Carlo, appendendolo a una parete della galleria con nastro adesivo grigio. Il poveretto, stremato e privo di sensi, fu ricoverato al pronto soccorso. Giusta punizione di un addetto ai lavori ?
Abbiamo letto un articolo del giornalista progressista Luca Ciarrocca, estimatore dell’arte contemporanea, sul caso della banana milionaria. Depreca l’esagerazione del prezzo, condanna l’insulto alla povertà, parla di trumpismo rampante (il senso del ridicolo non è di casa tra i Giusti e Sapienti), pare non credere al valore artistico della banana sino a dubitare di se stesso – lorsignori, quando pensano liberamente, si sentono in colpa – ma poi si rassicura. Un amico competente – un esperto, vil razza dannata più dei cortigiani odiati da Rigoletto – lo convince. Questo lavoro, spiega, è sostanzialmente in linea con il pensiero dominante dell’autore, è una presa in giro del mercato dell’arte. Cattelan sta semplicemente spingendo i confini per vedere fino a dove può arrivare con la sua provocazione e, visto che ha trovato un compratore, sicuramente non si fermerà qui.
Esatto: non di arte si tratta (l’esperto usa il termine “lavoro”) ma di mercato. E magari di imbroglio, diciamolo una buona volta. Come aveva capito Voltaire due secoli e mezzo fa, conta “ épater le bourgeois”, stupire i borghesi, i quali, convinti da un nugolo di intellettuali a fattura, crederanno che sia arte e compreranno a caro prezzo qualsiasi “lavoro” per non fare la figura degli ignoranti e stupire a loro volta gli ospiti, invidiosi di chi possiede un’ opera famosa di cui non capiscono nulla, benché mai lo ammetteranno. Il mercato dell’arte contemporanea è una truffa, riconosce Ciarrocca, ma finisce per prendersela con l’acquirente, colpevole di incarnare il peggio del nuovo capitalismo. Vero, ma che dire dell’ assurdo di chiamare arte ciò che manifestamente non lo è, come capiscono i semplici, ma non gli intellettuali, e di attribuire a tutto il cartellino del prezzo?
Come dimenticare che il degrado – in questo e in mille altri ambiti – è figlio di un sistema che ha rovesciato ogni principio e giudizio di valore, sino a confondere la creatività – o il semplice fare – con l’arte, che esprime bellezza, elevazione, perizia, stile, trascendenza. Pensava forse Michelangelo che l’affresco della Cappella Sistina fosse un’installazione? Comodo prendersela con Justin Sun, che – consapevole o meno – ha svelato a colpi di dollari ciò che è evidente a noi poveri ignoranti, ossia che l’astuzia di autori, galleristi, critici non è altro che la sovrastruttura per giustificare un giro di denaro estraneo al concetto di arte.
La stessa estraneità delle somme assurde pagate da qualcuno per autentici capolavori ridotti a fenomeni da baraccone, da mostrare a pagamento a un pubblico armato di smartphone, intento a fotografare frettolosamente – incombe il selfie “artistico” del visitatore successivo – il frutto del genio di un Van Gogh, osservato solo perché pagato molto. Il regno della quantità, segno dei tempi. Povero Vincent, non avevi capito come vanno le cose del mondo. Meglio Cattelan, che ha realizzato vere sculture, ma è diventato celebre con le performance, le installazioni e le banane. Meditate, artisti, meditate.