di Michele Rallo
Anche se la maggior parte degli italiani non lo sa, questo nostro paese — dal luglio scorso — è diventato ufficialmente uno Stato a sovranità limitata. Non siamo più padroni, infatti, della nostra politica economica, che è adesso assoggettata ad una entità finanziaria sovranazionale; entità il cui scopo è di garantire la “stabilità” degli Stati-soci e, con essa, la continuità dei pagamenti degli interessi sui debiti contratti con la speculazione internazionale, anteponendo tale esigenza a quella delle più elementari necessità delle popolazioni. Modello Grecia, per intenderci. Questa entità è ufficialmente denominata Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) ma molti preferiscono chiamarla affettuosamente “Fondo salva-Stati”, quasi che si trattasse di una società benefica, creata per venire in soccorso agli Stati in difficoltà.
In verità, non si tratta per niente di un “meccanismo”, ma di un fondo finanziario, la cui natura — peraltro — malgrado i suoi soci siano degli Stati, è sostanzialmente privatistica. Men che meno il suo scopo è di aiutare gli Stati indebitati, bensì di aiutarli ad indebitarsi ulteriormente o — in alternativa — a massacrare le loro popolazioni con politiche di “lacrime e sangue”. Diciamo che, per certi versi, è una società fmanziaria che presta “a strozzo”, essendo lo strozzo rappresentato dale misure draconiane richieste in cambio dei prestiti; e, per altri versi, è una sorta di società di recupero crediti, cui le istituzioni europee hanno delegato il compito di “convincere” i debitori a pagare, con le buone o con le cattive.
Ma non si creda che siano soltanto gli Stati richiedenti l’aiuto del MES a rinunziare alla loro sovranità economica. La cosa riguarda potenzialmente anche tutti gli altri Stati-soci che, per il semplice fatto di avere aderito al pio sodalizio, sono tenuti «irrevocabilmente e incondizionatamente» a due obblighi: quello di corrispondere le debite quote di “capitale autorizzato” (la nostra è complessivamente di 125 miliardi di euro), e quello di versare sull’unghia le eventuali quote dovute sugli adeguamenti del predetto “capitale autorizzato”, adeguamenti che l’articolo 10 del trattato raccomanda vengano valutati «almeno ogni cinque anni».
Anche se, per questa prima tranche, potremo rateizzare il nostro dare nell’arco di un quinquennio, si tratta comunque di importi enormi (125 miliardi di euro sono cinque volte i ricavi dell’IMU, qualcosa come 250/mila miliardi delle vecchie lire), importi di cui non abbiamo la disponibilità e che saremo costretti, giustappunto, a farci prestare dalla finanza speculatrice. Quindi, invece di diminuire, il nostro debito pubblico dovrà per forza di cosa aumentare.
E se, fra cinque anni, il MES dovesse raddoppiare il “capitale autorizzato” e dovesse chiederci altri 125 miliardi? E se il nostro governo (poco importa da chi guidato) non fosse in grado di trovare quei soldi? Allora — sostengono alcuni malpensanti — ci potrebbe essere richiesto di pagare in natura quel che non siamo in grado di pagare in contanti. Che significa “in natura”? Chessò, il Colosseo, la Galleria degli Uffizi con tutti i suoi quadri, il Canal Grande con i palazzi storici prospicienti; o altre cosucce meno nobili, come — per esempio — la riserva aurea della Banca d’Italia.
Nota di Ereticamente
Ringraziamo l’Autore e il periodico Social (Settimanale indipendente di Trapani) per la gentile concessione
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