13 Gennaio 2025
Narrativa

Narrativa fantastica, una rilettura politica, trentottesima parte – Fabio Calabrese

Io vi ho già spiegato, e non mi sembra necessario tornarci ora sopra, i motivi per i quali, tra le serie di articoli che, nel corso di questi anni ho postato su “Ereticamente”, a partire dallo scorso autunno, ho ritenuto opportuno imporre a L’Eredità degli antenati, se non proprio la cessazione, quanto meno un forte diradamento.

Ciò comporta un problema. Se infatti, soprattutto negli ultimi tempi questa serie di articoli era divenuta ripetitiva al punto da stancare me per primo, è anche vero che le tematiche archeologiche mi hanno fornito un flusso di informazioni regolare in base al quale non c’era pericolo di ritrovarsi senza nuovi argomenti da affrontare per mantenere quella cadenza settimanale con la quale i miei articoli sono finora apparsi su “Ereticamente”, e che vorrei mantenere per non deludere chi, a questo riguardo, conta su di me.

Purtroppo, la creatività umana non è infinita, e quella di Fabio Calabrese meno che mai.

Cosa che non è certo un mistero, e della quale penso siate già al corrente, a lato della mia attività come saggista politico (non vorrei definirmi “ideologo”, mi sembra troppo presuntuoso), ne ho un’altra come autore di narrativa fantastica e di fantascienza.

Come soluzione “tappabuchi”, ho preso in considerazione l’idea di presentarvi sulle pagine di “Ereticamente” qualche mio scritto narrativo fra quelli più politicamente impegnati, e ho pensato in particolare a un racconto, Te li ricordi quei giorni, di cui vi dirò tra poco.

Il guaio è che, come la maggior parte ormai della mia produzione narrativa, non si tratta di un’opera inedita. “Ereticamente” lascia molta libertà di esprimersi ai collaboratori, mette assai pochi paletti, ma uno, assolutamente ferreo e irremovibile, è l’inediticità di tutto quanto vi viene pubblicato, che non deve essere comparso da nessuna altra parte in nessun’altra forma, anche se, ho pensato, trattandosi in questo caso di narrativa e non di saggistica, magari si poteva fare un’eccezione.

Nelle more della questione, mi è venuto in mente che la genesi di questo racconto ha una storia interessante, non meno del racconto stesso, e che come tematica, rientra pienamente nella nostra rilettura politica della narrativa fantastica, e a raccontarvela non violo in alcun modo il principio dell’inediticità che gli scritti destinati a comparire su “Ereticamente” devono rispettare. Se finora mi sono astenuto dal parlarvene, è perché riguarda me in prima persona, e non vorrei dare l’impressione di volermi mettere troppo in luce, di ritenermi qualcosa di più di un semplice militante dell’idea, che combatte con la parola non avendo altre armi.

L’inizio di questa storia, del resto, non è dipeso da me, ma da una persona di ben altra levatura, Gianfranco De Turris. Suppongo che tutti voi conosciate De Turris come presidente dell’Associazione Julius Evola, ma forse vi è meno noto che ha anche alle spalle una vastissima attività nel campo della letteratura fantastica, come autore, saggista, traduttore, curatore di collane (in questo c’è forse un parallelismo con la mia stessa cifra esistenziale). Purtroppo, negli ultimi tempi l’età e gravi problemi di salute, soprattutto alla vista, l’hanno costretto a ridurre drasticamente la sua attività, e questa è una grave perdita per tutti noi, in entrambi i settori, quello politico e quello fantastico.

Nel 2002 De Turris si occupò di dare vita a un’antologia per la Vallecchi, allo scopo di contribuire al rilancio di questa un tempo prestigiosa casa editrice fiorentina. La tematica scelta per questa antologia era l’ucronia centrata sulla storia italiana.

L’ucronia (termine che significa non-tempo, così come utopia significa non-luogo) è la “storia scritta con i se”, cosa sarebbe accaduto se la seconda guerra mondiale fosse andata in un altro modo, se la guerra civile americana fosse stata vinta dai sudisti, se Colombo per il suo viaggio di scoperta che l’avrebbe portato nel Nuovo Mondo si fosse rivolto ai Veneziani invece che agli Spagnoli, se la guerra dei Cent’anni fosse stata vinta dagli Inglesi, se l’impero romano non fosse mai caduto, o addirittura se l’asteroide che 66 milioni di anni fa cadde sul nostro pianeta portando all’estinzione i dinosauri, non vi si fosse mai abbattuto e oggi l’umanità convivesse con una razza di sauri intelligenti, le possibilità sono infinite.

Dopo una gestazione piuttosto lunga, l’antologia uscì nel 2005 con il titolo Se l’Italia. Nell’introduzione che ha assunto la dimensione di un saggio piuttosto corposo, De Turris spiega un concetto importante: nell’ucronia, che è nata come genere collaterale alla fantascienza, in genere gli autori italiani ottengono risultati migliori degli americani non soltanto in ragione di una migliore conoscenza della storia, cosa che indubbiamente ha la sua parte, ma perché negli USA l’ucronia svolge una funzione rassicuratoria, mostrando che qualsiasi alternativa sarebbe stata meno piacevole della fortunata catena di circostanze che li ha portati a essere la prima potenza mondiale, e finisce per sfociare nell’utopia negativa. Al contrario noi usciamo da una storia davvero sfortunata di quindici secoli di divisioni, invasioni e dominazioni straniere, e possiamo facilmente considerare alternative migliori per la nostra Penisola.

De Turris consultò anche me per la realizzazione dell’antologia. Scrivere su commissione riguardo a un tema prefissato, è impegnativo, ma proprio per questo è una sfida interessante, e venirne a capo, lo considero una prova di raggiunto professionismo, sia pure in un campo come la fantascienza italiana, dove nessuno è un professionista nel senso di poter vivere di questo.

Nel racconto che scrissi, Te li ricordi quei giorni, ho immaginato che l’Unione Sovietica non sia caduta (accenno anche a un cardinale che i comunisti avrebbero fucilato in Polonia, un certo Carol Woytila) e che il compromesso storico abbia portato l’Italia dritto sotto un regime comunista. L’Italia diventata comunista era “l’ultimo teschio aggiunto alla collana della dea Kalì”.

In questo contesto,un militante di destra, figlio di un milite e di un’ausiliaria della RSI uccisi dai partigiani, e a sua volta costretto a fuggire all’estero, torna in Italia in incognito per vendicarsi di un ex partigiano responsabile della morte dei genitori e di un amico.

Il titolo del racconto l’ho pensato ispirato ai versi di una canzone – proibitissima dal regime – che ho immaginato girasse in questo cupo mondo alternativo.

Te li ricordi quei giorni folli,

quei giorni strani,

sembrava di toccare il cielo

con le mani.

Il riferimento è alla generazione della contestazione. Il ’68 fu certo un fenomeno manovrato dall’Unione Sovietica nel tentativo di sostituire un’espansione militare resa impossibile dal deterrente atomico della NATO con una conquista ideologica, ma l’ansia di rinnovare il mondo, di farne uno migliore, di certo non esclusiva della sinistra, ma propria anche dei militanti della sponda opposta, era un fenomeno genuino.

La reazione di De Turris mi sorprese, giudicò il racconto troppo politico per i fini dell’antologia. Dovetti così ripiegare su qualcos’altro. Un paio di anni prima avevo pubblicato un altro racconto, Il tempo di Giano nell’antologia Le ali dell’impero edita da Il Cerchio di Rimini. Si trattava di una delle antologie che Adolfo Morganti allestiva annualmente sulla base dei dieci racconti finalisti del premio San Marino, e qui questo mio racconto aveva ottenuto un lusinghiero terzo posto.

Il racconto è basato sull’idea che da qualche parte in una località sperduta del Lazio esista una piccola comunità di discendenti dei seguaci di Remo allontanatisi dagli altri dopo l’uccisione di quest’ultimo da parte di Romolo. Un giovane archeologo che non sa di essere la reincarnazione di Remo, viene mentalmente inviato indietro nel tempo allo scopo di evitare il fratricidio, con un viaggio che cambierà il destino di Roma e l’intero corso della storia mondiale.

Anche questo racconto incontrò il diniego di De Turris, perché nell’antologia non dovevano comparire opere già edite. Mi rimisi al lavoro, ma questa volta non completamente partendo da zero, infatti riscrissi completamente il racconto facendo ben più di una semplice revisione, ma modificando proprio l’idea di base. Se infatti Il tempo di Giano è la storia di un viaggio nel tempo, sia pure mentale, il nuovo racconto che scrissi, Primavera sacra parte sin da principio nella realtà alternativa che avevo concepito, è una vera ucronia. Primavera sacra fu finalmente accettato, e dato che nell’antologia i racconti sono disposti in ordine cronologico “da Romolo a Berlusconi”, è proprio quello cui è toccato l’onore di aprire il volume. Nel 2016 Primavera sacra è stato ripubblicato dalle Edizioni Scudo in un’antologia che prende il nome proprio da questo racconto, Primavera sacra e altri incantesimi.

Scusate, ma riuscire a scrivere due racconti sostanzialmente diversi partendo dalla stessa idea di base, la considero un’altra prova di raggiunto professionismo nell’arte dello scrivere.

C’è un aspetto di questa storia che non ho mai raccontato, come è nata l’ispirazione che ha dato origine a Il tempo di Giano e Primavera sacra. Stavo guardando la televisione, dove davano un programma di intrattenimento, uno di quelli dove è possibile per gli spettatori chiamare in studio. A un certo punto arriva una telefonata di un tale che dice, o almeno così mi è parso di sentire: “Chiamo da Rema in provincia di Roma”.

E questo ha messo in moto tutto quanto. Ma successive ricerche non mi hanno permesso di accertare l’esistenza di una località chiamata Rema né in provincia di Roma né altrove. Mistero!

Qualche tempo dopo che Primavera sacra era stato inserito nel sommario di Se l’Italia, ricevetti un messaggio di De Turris. Sebbene non l’avesse trovato adatto per la sua antologia, non voleva che nemmeno Te li ricordi quei giorni andasse sprecato. Mi chiese il permesso di girarlo a Errico Passaro, che stava anche lui preparando un’antologia, ma dal taglio più politico. Naturalmente, fui ben lieto di acconsentire.

L’antologia di Passaro, che fu edita dall’Editoriale Pantheon aveva un’impostazione chiaramente anti-illuminista già nel titolo: Il sonno della ragione non genera mostri, che capovolgeva il senso della famosa frase di Goya.

Anche Errico Passaro, uno dei molti che oggi purtroppo non sono più fra noi, come De Turris e me, abbinava l’interesse per la letteratura fantastica a un preciso impegno politico. Ricordo di averlo conosciuto a una convention a San Marino. Cercava racconti di heroic fantasy per la pagina letteraria del “Secolo d’Italia” di cui era collaboratore, e mi avvicinò a questo scopo.

Con molta delicatezza mi chiese se per me era un problema collaborare con un giornale politico. Gli risposi che per mio conto la cosa non era affatto un problema, lo sarebbe stato invece se una simile richiesta mi fosse venuta da un giornalista dell’“Unità”.

Il racconto che gli feci avere, Il cavaliere senza nome, non dovrei dirlo io che ne sono l’autore, ma ha perlomeno un grosso pregio, quello di essere ispirato alle tradizioni germaniche, in particolare alla Hildebrandsage, la leggenda di Hildebrand, che fa parte del ciclo dei Nibelungi, piuttosto che alle pseudo-tradizioni anglosassoni che ormai nella heroic fantasy ce le ritroviamo dappertutto, fritte e rifritte in tutte le salse.

Il cavaliere senza nome fu pubblicato sulla pagina letteraria di un numero del “Secolo d’Italia” del 1999.

Ricordo che il giorno previsto per l’uscita del giornale con il mio racconto, mi recai all’edicola sotto casa per acquistare una copia del “Secolo”.

L’edicolante, con cui non avevo mai parlato di politica, mi guardò in una maniera strana, e mi disse che ero fortunato, perché in effetti ne aveva una copia, però, se volevo, aveva anche una decina di copie dell’“Unità”.

Non raccolsi la provocazione e non dissi nulla, poiché non vedevo alcuna utilità nel battibeccare con quella persona, francamente, di cosa pensasse, non me ne importava un fico.

Credo che stavolta raccogliere le fila del discorso sarà un po’ complicato, forse proprio perché stavolta ha una forte componente autobiografica.

Noi abbiamo visto altre volte che i grandi autori del fantastico sono generalmente invisi alla sinistra, basta fare i nomi di Orwell, di Borges, di Lovecraft, di Tolkien, anche se in particolare su quest’ultimo abbiamo assistito a un atteggiamento ondivago da parte dei “compagni” che di volta in volta, nel tempo hanno alternato momenti di feroce ostilità a tentativi piuttosto risibili di annessione ideologica, di fronte al successo da lui incontrato presso generazioni di lettori.

Resta innegabile, però, che Tolkien, come gli altri che ho nominato, è lontano mille miglia dalla loro mentalità.

La stessa cosa, direi, accade, su un piano più modesto, per molta parte degli operatori italiani nel campo del fantastico. Persone come Gianfranco De Turris, Adolfo Morganti, Errico Passaro, e se permettete, anche il sottoscritto, hanno alternato o fuso l’interesse per la letteratura fantastica con un impegno politico non certo di sinistra.

In fondo è logico che sia così, il fantastico, la fantasy, l’ucronia sono una scuola di esercizio della libertà immaginativa che mal si concilia con il plumbeo e oppressivo dogmatismo del politicamente corretto democratico.

NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra Se l’Italia, antologia curata da Gianfranco De Turris, al centro, La valle dello zodiaco, romanzo di Errico Passaro a quattro mani con Claudio Asciuti, a sinistra la mia antologia di fantascienza sociologica I mondi di domani, pubblicata dalle Edizioni Scudo.

1 Comment

  • Golf 13 Gennaio 2025

    Incidentalmente, negli USA Tolkien era associato alla contro-cultura sul genere degli “hippie” e dei “figli dei fiori”. In Italia divenne “destra” solo per il consueto e triste meccanismo che la “pseudo-destra” italiana si fa dire cosa dire e cosa fare dalla “sinistra” e siccome la “sinistra” rigettava Tolkien come farloccate borghesi inutili anzi controproducenti alla costituzione della “coscienza di classe”, eccoci a “Tolkien-destra”.
    Tolkien-destra, con la “destra” intesa come prosecuzione del F-ismo, è un ovvio assurdo perché la retorica F-ista era mutuata dalla propaganda della Grande Guerra e quindi del Risorgimento, tutto intriso di neoclassicismo illuminista di matrice francese, col retrogusto meccanico, stile “Flash Gordon” dei Futuristi. Il mondo degli Elfi non è compatibile ne col revival neoclassico ne col razionalismo-positivismo futurista, è volutamente collocato in un contesto “druidico”, tra il “barbarico” celtico-germanico e il proto-classicismo dell’Iliade e dell’Odissea.

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