10 Ottobre 2024
Controstoria

“Nei confronti degli Afrikaner”

di Joe Fallisi


Il paragone Afrikaner/ebrei sionisti-razzisti è per molti versi sballato e ingiusto – nei confronti degli Afrikaner. Ecco le date rispettive: 1652 (insediamento degli olandesi nell’Africa del Sud), 1948 (fondazione dell’entità sionista). Da una parte 342 anni (il dominio dei bianchi finì nel 1994), dall’altra 65. Il primo arco temporale comportava e giustificava un eventuale jus soli (accanto a quello dei nativi) secondo il concetto insuperato della giustizia romana, tenendo in considerazione il fatto che i boeri 1) furono grandi lavoratori e amanti della terra in cui erano emigrati; 2) all’inizio della loro impresa “riuscirono a stabilire rapporti pacifici con le popolazioni locali” (http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_del_Capo_di_Buona_Speranza); 3) lottarono da eroi contro i peggiori imperialisti del mondo, quelli albionici al compasso e cazzuola; 4) contribuirono enormemente allo sviluppo del Sudafrica? Credo proprio di sì. D’altronde gli Afrikaner, neppure nel periodo più buio del loro percorso, durante l’apartheid (istituito formalmente proprio nell’infausto 1948), concepirono, né, tanto meno, attuarono una politica di espulsione e pulizia etnica. Tattica-strategia genocidaria che viceversa connota la storia dell’entità sin dalla sua origine. Si ascoltino le parole del sudafricano John Dugard (v. http://en.wikipedia.org/wiki/John_Dugard), professore universitario di diritto internazionale e relatore speciale dell’ONU sui diritti umani nella Palestina occupata:

“Dunque, qual è la differenza principale? La differenza principale che riscontro tra il sistema di apartheid sudafricano e quello che prevale nei Territori palestinesi Occupati è che in Sud Africa il regime era più onesto. Avevamo un sistema legale rigido, che prescriveva con grande esattezza come dovesse avvenire la discriminazione, e come implementarla. C’era un’ossessione per i dettagli e la legalità, in un modo molto simile a come avveniva nella Germania nazista. Nel caso di Israele, lo si nasconde. C’è una bellissima storia narrata da Shulamit Aloni, ex ministro dell’Istruzione in Israele, di un confronto con un soldato dell’IDF (letteralmente: Forze Israeliane di Difesa) mentre arrestava un palestinese e gli confiscava la carta [di identità], perché aveva guidato su una strada riservata ai coloni. Lei aveva obiettato: ‘Ma come può sapere che questa è una strada ad uso esclusivo dei coloni? Non vi è indicato in alcun modo’. E lui: ‘Certo che i palestinesi lo sanno, o che dovrebbero saperlo’. Aveva aggiunto: ‘Cosa vuole che facciamo? Vuole che mettiamo cartelli ad indicare ‘solo palestinesi’, ‘solo coloni’? In modo che tutti dicano che siamo uno stato di apartheid come il Sud Africa?’ [Cfr. http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/70406] Così, c’è questo nascondere la discriminazione; esistono quindi differenze.
Immagino che mi chiederete qual è il regime peggiore. Come bianco sudafricano, trovo difficile rispondere: pur avendo vissuto in Sud Africa per tutto il periodo dell’apartheid, non ero ovviamente soggetto alle leggi discriminatorie, rivolte e dirette contro i neri. Ma quel che è interessante è che ogni nero sudafricano che aveva visto i territori palestinesi e a cui ho parlato era inorridito; hanno tutti sostenuto senza esitare che il sistema adottato in Palestina è peggiore. E questo per un certo numero di motivi.
Prima di tutto credo che si possa dire che vi sono caratteristiche del regime israeliano nei territori occupati che ai sudafricani erano sconosciute. Non abbiamo mai avuto un muro a separare i neri dai bianchi. So che viene chiamato il Muro dell’apartheid, ma è davvero un termine improprio: in Sud Africa non c’era alcun muro di quel genere. E, come ho detto, non vi erano strade separate. Queste sono caratteristiche nuove, proprie del regime di apartheid israeliano.
In secondo luogo, le imposizioni sono molto più rigide. In Cisgiordania, per non parlare di Gaza, ci sono ripetute incursioni militari. Gaza tende ad attirare una maggiore attenzione, ma vi sono in Cisgiordania continui raid condotti dalle forze dell’IDF; si compiono arresti, si spara ai palestinesi e li si uccidono. Quello che è interessante è che in Sud Africa gli attivisti politici erano processati dai tribunali penali regolari del territorio, con dibattimenti pubblici. In Israele, invece, i palestinesi sono processati da tribunali militari, basati su norme e regolamenti di emergenza ereditati dai britannici, che non sono tribunali in senso proprio.
Forse la differenza più importante è che l’apartheid israeliano non ha caratteristiche p
ositive. Il regime di apartheid sudafricano aveva davvero provato a pacificare la maggioranza nera offrendo benefici materiali. Così, erano state costruite scuole e università; il regime aveva costruito anche ospedali e ambulatori. Nelle aree nere erano state costruite fabbriche speciali, per incoraggiare gli operai a lavorare nelle zone africane. Così vi era un aspetto molto positivo dell’ordinamento dell’apartheid, anche se solo materialistico. Invece, nei Territori Occupati, Israele praticamente non contribuisce affatto ad assistere la popolazione palestinese: lascia tutto alla comunità dei donatori. Naturalmente questo solleva il problema, dibattuto molto vigorosamente in Palestina, se sia saggio che i Paesi donatori tolgano ad Israele le castagne dal fuoco; se non sia meglio ritirarsi, lasciando che tutto il mondo veda la cattiveria degli israeliani in Palestina. Ma è una questione separata.
Vorrei concludere commentando sulla reazione della comunità internazionale, perché qui c’è un’altra grande differenza. Vi ricorderete che il regime di apartheid era vituperato internazionalmente, negli Stati Uniti, nell’Occidente e in tutto il mondo. Gli Stati avevano applicato sanzioni al regime d’apartheid. Le Nazioni Unite erano attive, pure imponendo alcune sanzioni al Sud Africa. La comunità internazionale considerava l’apartheid un regime illegale, ritenendo che si dovesse fare di tutto per sbarazzarsene. Invece, nel caso di Israele, sebbene vi siano serie e palesi violazioni del diritto internazionale, sappiamo che i Paesi occidentali o la comunità internazionale non prendono alcuna iniziativa. Sappiamo tutti qual è il motivo. Posso supporre che diciate che, in ultima analisi, negli Stati Uniti è la forza dell’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) e la lobby evangelica; penso però che in Occidente, in genere, sia il senso di colpa per lo sterminio egli ebrei, come se ne fossero responsabili i palestinesi anziché l’Europa. E così vediamo applicare nei confronti di Israele la politica ‘due pesi, due misure’. Secondo me, questo ha gravi implicazioni per il futuro. Si possono comprendere le affermazioni del Presidente [sudanese], [Omar] al-Bashir: ‘Va bene sottopormi a un mandato d’arresto, ma che dire di Gaza?’ Ed è l’appello che si ode ripetutamente, nel mondo in via di sviluppo. Ci si chiede di agire contro il Sudan, lo Zimbabwe e Burma, per le violazioni dei diritti umani, ed io ritengo che lo si debba fare. Ma i Paesi in via di sviluppo hanno replicato: ‘Perché dobbiamo intraprendere delle azioni contro questi Stati, quando voi stessi siete impegnati a difendere Israele’.” (Cfr. http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/70407)

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