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18 Marzo 2025
Filosofia Storia delle scienze

Adam Weishaupt – Gianfranco V. Strazzanti

 

 

La mitologia del progresso è ormai vecchia.

Se essa riesce ancora a mantenere, in taluni casi, i tratti esteriori della novità, ciò accade solo perché continua ad agganciarsi alla mutevolezza delle forme quale sua unica realtà di riferimento. Come il virus non può vivere senza un organismo da parassitare, così anche il progresso, e la scienza che lo ha espresso, non ha mai potuto fare a meno dei tessuti e delle reazioni, imprevedibili o previste, della cosiddetta “materia”; complesso di connessioni organiche e percettive al quale trasmettere stimoli e infliggere l’ennesimo taglio, l’inevitabile cesura.

Ecco perché molti scienziati hanno, ancora oggi, orrore dell’invisibile e di tutto ciò che è autenticamente intellettuale. Perché per loro si può astrarre fin quando e dove si vuole, ma a condizione che prima o poi si torni al tangibile, che ogni discussione venga ricondotta al materico.

Proprio in tale forzato ritorno al tangibile consiste, da secoli, la ragione ultima di tutte le mistificazioni della scienza progressista.

In realtà, non tutto iniziò in termini tanto brutali.

Tra Sette e Ottocento, in palio doveva esserci nient’altro che la liberazione da ogni mistero devozionale e dogmatico. Allora molti studiosi presero a promuovere il raziocinio come unico strumento, tra quelli insiti nell’uomo, capace di comprendere qualsiasi cosa. La scricchiolante caracca della ragione venne dunque lanciata alla conquista delle Indie dei misteri spirituali, per rivelarne tutti i fuochi quali fuochi fatui.

In questo senso, pochi filosofi sono stati più sottovalutati di Adam Weishaput.

Passato alla storia per i suoi tentativi di sovversione politica, il professore di Ingolstadt si occupò in realtà di ben altre sovversioni.

La Rivoluzione francese non fu che una di queste, dal momento che Weishaput fu tra quei promotori che, agendo da posizioni appartate, propagarono l’humus intellettuale che nutrì e innescò la dinamica rivoluzionaria.

Ben noto con il nome di Spartacus quale fondatore dei cosiddetti Illuminati di Baviera, Weishaupt si dedicò alla stesura di impegnativi saggi filosofici, rimasti ad oggi poco diffusi e ancora meno tradotti. Che un tale prolungato silenzio sul pensatore bavarese sia stato in qualche maniera architettato, o da egli stesso auspicato, in favore del sovversivo, dell’attivista, non può essere escluso; né stupisce che la sua opera sia stata negli ultimi decenni ripresa per iniziativa di vari circoli massonici: da coloro che a torto o ragione si dichiarano suoi eredi e fratelli.

Weishaupt, prima ancora che un illuminato, fu infatti un frammassone.

Quest’ultimo è certamente un elemento importate per ricostruire il suo profilo e il suo ruolo storico-culturale, ma non quanto la sua opera filosofica.

Solo un’attenta lettura degli scritti di questo ombroso professore di diritto canonico permette infatti di uscire da quella nebulosa di mezze prove e fantasiose deduzioni che, nel suo complesso, costituisce le varie teorie della cospirazione relative alla società dei Perfettibili, denominazione ufficiale degli Illuminati.

Ciò perché la riflessione teorica di Weishaupt porta alle estreme conseguenze le conclusioni dei molti filosofi illuministi del tempo, i quali intesero applicare la ragione a tutti gli ambiti del conoscibile. Un’impresa, va ricordato, fallita da molti; compreso il capostipite dell’Illuminismo: quel Rousseau, da sempre celebrato dai cantori del progressismo, le cui teorie sulla volontà generale e il legislatore ideale diedero vita a una sorta di mistica dello stato, la quale pur non essendo propriamente razionale, rassomigliava già a quella demagogia artificialmente legalizzata che viene ancora oggi erroneamente denominata democrazia[1].

E Spartacus? Riuscì egli nell’impresa di applicare il metodo razionale a tutto lo scibile?

Il razionalismo di Weishaupt, va subito notato, ha natura piuttosto composita.

Il professore bavarese si scaglia innanzitutto contro il Materialismo, che egli distingue in due tipologie ben precise: il Materialismo «grossolano» («größer») e quello sottile («feiner»).

Il primo «ha considerato il corpo stesso come fondamento di tutti i cambiamenti spirituali» mentre «ha tralasciato senza ulteriori riflessioni di spiegare l’idea di una forza pensante del tutto separata dal corpo»[2].

Mentre, nel secondo tipo di Materialismo, rientra la tradizione religiosa e, nel complesso, il flusso principale del pensiero cristiano occidentale. Infatti,

«anche i Padri della Chiesa immaginavano la natura di Dio, gli angeli e le anime umane come corporea. Per tutta l’antichità, con tutte le sue religioni e scuole di filosofi, il raffinato e corrente concetto della pura immaterialità era strano e ignoto, almeno fino all’epoca di Cartesio e Leibniz. In base alle varie scuole e sistemi, l’anima era o la più sottile ed eterea forma di fuoco, respiro, entelechia oppure un numero, un’armonia»[3].

Contro questi due opposti materialismi, Weishaupt intraprende la descrizione del suo personale sistema idealista.

La teoria che prende forma in Über Materialismus und Idealismus è in effetti piuttosto articolata; ma, in compenso, può essere sintetizzata abbastanza agevolmente a partire dalla concezione di materia di Spartacus.

Egli sostiene infatti che la materia, di per sé, non è infinitamente divisibile, ma che, in fondo a tutte le varie ripartizioni che essa può subire, risiede la forza pensante della materia ovvero «der Denkkraft der Materie»[4].

Tale forza – in ciò consiste l’aspetto interessante – dev’essere contenuta nell’atomo; atomo che Weishaupt concepisce secondo un modello in parte debitore della concezione antica legata agli atomi, ovvero quella di «parti che non contengono altre parti» («Theilen die keine weitere Theile enthalten»)[5]; allo stesso tempo, tale modello atomico è in parte mutuato dalle teorie di Spinoza e, soprattutto, dal concetto di monade di Leibniz.

L’uomo, secondo Spartacus, è egli stesso composto materico, il quale possiede però in sé degli “atomi pensanti”, quella «Denkkraft der Materie» che costituisce il cuore pulsante della sua Ragione. Ragione che pertanto egli non ha motivo di cercare altrove, in un aldilà più o meno sublimato.

****

Sbaglia chi cerca nella filosofia dell’illuminato professore bavarese un esplicito e aggressivo distacco dalla fede e dalla devozione di tipo religioso. Egli è infatti molto più avveduto e sottile a tal riguardo di quanto i suoi più convinti detrattori abbiano saputo comprendere.

Weishaupt scrive infatti molto apertamente:

«Confesso prontamente che [il sistema idealista] non è adatto all’uomo qualunque il quale può sempre consolarsi con i principi della religione, la quale offre l’essenziale e ciononostante sottostimato servizio che viene in aiuto delle più ampie masse e offre molti principi riguardanti lo stesso oggetto e che sono più adatte alle loro capacità come anche alla loro comprensione complessiva»[6].

Ecco come riguardo alle masse, ai popoli, la visione di Weishaupt si apre a un tono missionario, caritatevole, le cui intenzioni possono anche essere rifiutate in toto, ma non prima di averle comprese. Le finalità ultime di Spartacus hanno infatti molto, moltissimo a che vedere con i destini collettivi dei tempi presenti e convergono, tutte, verso quel Nuovo Ordine Mondiale, detestato da alcuni e agognato da altri, che fu al centro della visione e della proposta degli stessi Illuminati di Baviera.

L’incomprensione rispetto ai temi sollevati da Weishaupt a questo riguardo è probabilmente sorta per via di un approccio che si potrebbe definire “scandalistico” da parte di coloro che lo avversarono in vita. Perché le opere del bavarese contengono, in realtà, ben chiari riferimenti a una sorta di palingenesi sociale, basata sulle premesse del suo pensiero idealista e degli impulsi progressisti e antimonarchici che questo era fatalmente destinato a veicolare sul piano politico.

Ma, se i teorici della cospirazione lo hanno accusato di ateismo e acerrima inimicizia «contro l’altare e il trono»[7], bisogna anche rilevare come tali accuse si nutrirono spesso di una descrizione piuttosto inesatta delle teorie di Spartacus.

Le opere di Weishaupt raramente, se non mai, contengono infatti un’esplicita avversione contro le istituzioni, civili o religiose che siano. Tutt’all’opposto, egli proclama la via della “perfettibilità”, tanto per gli individui quanto per le istituzioni stesse. Inequivocabili sono, a questo riguardo, molte sue affermazioni, tra cui la seguente:

«Per almeno quattro secoli, per quanto si possa andare indietro nella storia, noi umani abbiamo, su questa terra, pensato, agito, creduto, insegnato e governato. Nonostante tutto ciò, si crede diffusamente e generalmente che noi rimaniamo immutati e mai migliorati, neanche di uno iota. Se questa convinzione ha un fondamento, allora pensare, credere, insegnare e governare sono le cose più innecessarie del mondo»[8].

Lungo tutto Die Leuchte des Diogenes, Weishaupt avanza in effetti le ragioni del progressismo come necessarie, imputando a qualsiasi conservatorismo un’assoluta cecità rispetto alle stesse dinamiche storiche. Tale necessità del progresso Weishaupt non la applica solo alla sfera politica e sociale ma, con insistenza, anche alla sua visione sulla religione tradizionale e alla sua interpretazione del pensiero antico. Tutto ciò trasuda con ogni evidenza una ben chiara istanza progressista, creduta con illuminato trasporto la sola meritevole di essere perseguita.

Il Nuovo Ordine Mondiale auspicato da Weishaupt ha peraltro un carattere che è già quello del globalismo che di recente ha preso piede tra le istituzioni occidentali. Weishaupt si chiede infatti, con tono accorato:

«perché tutti i popoli non possono formare una sola nazione, parlare una sola lingua, vivere sotto un unico sistema di leggi e di morale e avere una sola religione?»[9].

Ciò che colpisce nelle argomentazioni di Weishaupt è la mancanza di seri dubbi e cautele rispetto a una tale planetaria uniformazione legale, morale e religiosa. Egli ovvero non si chiede mai se l’imperio necessario per concretizzare un obiettivo così grandioso e terribile non rischi di essere ben più autoritario e gravoso di quello monarchico da lui combattuto.

I problemi legati a un’omologazione legale, morale e religiosa non sembrano riguardarlo. Weishaupt torna sempre e insistentemente alla mancanza di raziocinio e alla necessità di promuovere quanto più possibile una visione razionale dell’esistente; infatti

«se la vera ragione può essere cercata solo lì dove esista un contesto o connessioni universali e generali tra idee e desideri, mentre, della gente, non resta da dire che ha ragione qualora abbia la saggezza di comprendere la sublimazione dello scopo e quindi agisca e desideri di conseguenza, ebbene, allora, se così è, sfortunatamente c’è molta, molta poca ragione»[10].

Un tale stato di cose va combattuto per Weishaupt. Nelle sue parole, infatti, «la ragione sola»[11] è in grado di concepire e comprendere qualsiasi cosa, dalla fratellanza universale all’immortalità dell’anima: un’idea di ragione ampia ed elevata di ragione che, paradossalmente, nella Francia rivoluzionaria non avrebbe tardato a dare esiti idolatrici nel culto della ragione che i giacobini tributarono alla Déesse Raison, appunto.

D’altro canto, le conclusioni di Weishaupt in materia di religione rasentano spesso la bizzarria. A partire dalla sua convinzione che gli antichi fossero «materialisti», per quanto dei «materialisti sottili», perché rappresentavano «la natura di Dio, gli angeli e le anime umane» in termini corporei. Ciò in realtà è tutt’altro che pacifico, dal momento che l’immateriale può essere rappresentato, per analogia o per metafora, attraverso immagini corporee; e ciò senza che una tale rappresentazione intenda “materializzare l’immateriale”, come vorrebbe Spartacus.

Servirsi di un linguaggio simbolico e immaginifico, in luogo di uno puramente razionale, non significa infatti disconoscere i concetti più elevati.

In questo senso, basterà rileggere con attenzione quanto il monito evangelico sui tesori celesti immuni al morso della ruggine e della tignola[12] per rendersi conto di come l’antichità non seppe solo concepire un’immaterialità pura, ma anche accennare ai limiti della materialità stessa[13].

Ma – e questo è il punto – Weishaupt è irremovibile nella sua convinzione che l’intellezione delle idee più elevate sia esposta essa stessa a un processo di evoluzione e progresso dal momento che:

«l’umanità è innegabilmente, nel suo stato presente, una creazione piuttosto imperfetta e deficiente; ma è imperfetta di modo che possa divenire perfetta»[14].

Per Weishaupt, tale perfezionamento passa innanzitutto per il riconoscimento della ragione quale principale mezzo di emancipazione. Già in questo emergono chiaramente quei sommovimenti intellettuali che portarono a quel “triomphe de la Raison” che fu il culto di tutto il Settecento rivoluzionario.

Quella di Weishaupt è dunque sì una campagna filosofica in favore della dignità della ragione umana ma che, allo stesso tempo, intende promuovere una nuova e precisa concezione dell’individuo quale ideale vettore di un inesauribile miglioramento e progressione conoscitiva.

Weishaupt si dedica molto alla definizione della natura del pensiero, quindi, al tipo di conoscenza a cui tale natura possa e debba ambire.

In tal senso, queste sue parole vanno attentamente meditate:

«Se ogni anno di ogni vita umana fosse riunito in una singola vita, ancora questa vita non sarebbe sufficiente a raggiungere la chiarezza.  Tutta l’umana attività si arresterebbe proprio su questa eterna, inquieta esplorazione e meraviglia.

Ognuno, desiderando perdersi in una tale disamina, si tramuterebbe per metamorfosi in una mente creata per l’attività, in un essere quasi del tutto perso nella pura osservazione, se a tale inquieta ragione non venisse dato un punto di stasi e un dito indicante la via di fronte alla quale essa deve fermarsi e temporeggiare, almeno fino a quando non suoni l’ora in cui le tende verranno sollevate oppure non le verrà dato il segnale di inoltrarsi nell’interiorità di un tale territorio.

Attraverso questi due punti, il Sommo e l’Ultimo, il cerchio viene dunque tracciato racchiudendo il campo coltivato ed elaborato dall’umana conoscenza. Ciò che si trova all’interno di questo cerchio è conoscibile per noi ed è qualcosa di cui gli umani non possono, più o meno, privarsi. Ciò che invece si trova oltre esso è per noi in parte inutile e in parte dannoso»[15].

La conoscenza, per come viene qui intesa, riguarda innanzitutto la necessità di una delimitazione del conoscibile, infatti, senza una tale delimitazione l’uomo, rischierebbe di cadere in un abisso privo di riferimenti del quale tutto e nulla può essere affermato.

A ben vedere, la conclusione di Weishaupt secondo cui ciò che rimane fuori dall’ambito del conoscibile non potrà che essere «inutile o dannoso» nasconde qualche trappola. Per chi ha fondato l’inarrestabile perfettibilità della condizione umana sulla ragione, definire il limite della conoscenza razionale deve necessariamente richiedere una laboriosa operazione teorica[16].

E l’impressione generale è che Weishaupt abbia caricato le facoltà razionali umane di un peso eccessivo: un atteggiamento filosofico piuttosto diffuso ai suoi tempi.

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Ben oltre l’approccio razionale di Weishaupt, nella sapienza antica possiamo trovare preziosi accenni ai limiti della conoscenza imposti agli uomini e, da lì, ai limiti stessi dell’essere[17]. Ovviamente il modo di approcciare la questione da parte degli antichi era di tutt’altra natura, dato che non nutrivano affatto una smisurata fiducia nella facoltà razionale e si affidavano, ben più volentieri, alla facoltà intuitiva. Affinché la differenza tra queste due facoltà non rimanga sul piano astratto, possiamo trovare una chiara traccia di ciò che s’intende per facoltà intuitiva in Eraclito di Efeso, il quale, come noto, non si espresse con articolate trattazioni filosofiche, ma con brevi scritti, a tratti simili a oracoli.

Ecco quanto Eraclito ebbe a dire sui limiti dell’intelligenza, ancor più che del conoscibile:

«Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima, così profondo è il suo Logos»[18].

Eraclito non sembra voler qui circoscrivere i limiti dell’essere e del conoscibile, ma piuttosto alludere al paradosso di un cammino verso dei limiti che vengono costantemente travalicati, pur non conducendo a un limite ultimo che sarebbe, in buona sostanza, illusorio.

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Tanto Weishaupt quanto gli altri illuminati settecenteschi intesero perseguire e propagandare l’entusiasmante visione di una ragione umana capace di camminare infine sui suoi piedi, e di ergersi a sola guida dell’individuo. Innescarono così una rivoluzione di pensiero ben più duratura di ogni sollevazione di piazza, la quale però presentava, allora come ora, il ben grave difetto di distorcere quanto di prezioso può giungere dalla memoria spirituale e filosofica antica.

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Progresso, evoluzione, perfettibilità sono tutti concetti su cui negli ultimi secoli si sono scritte tonnellate di libri. La fiducia nel miglioramento del genere umano dev’essere nata da questa semplice constatazione: da un punto di vista tanto collettivo quanto individuale, gli esseri umani tendono spontaneamente ad affinare l’efficacia delle proprie qualità e dei propri mezzi e pertanto, nella loro intima natura, deve operare l’inarrestabile dinamica di un processo evolutivo che li ha determinati quindi preceduti.

Una tale ipotesi sembra fondata, e fondata su argomentazioni validissime. Nonostante ciò, essa è falsa.

Non esiste infatti un’evoluzione, come non esiste un progresso che possa dirsi “neutro”, che si dia cioè come tale, in natura. Ogni idea di evoluzione e di progresso, in effetti, vengono – oggi come nel Settecento – instillate nella società. Non si contano più le associazioni, le organizzazioni che si dicono fautrici di un qualche progresso: tutti i partiti politici, gli ordini professionali, le fondazioni filantropiche proclamano, da secoli, la necessità di un qualche progresso. Ed è tramite l’insistente propaganda di tali innumerevoli enti-terminali che si è giunti a ritenere il progresso un dogma indiscutibile.

Di riflesso, gran parte della società si è irreparabilmente convinta che l’intera organizzazione sociale punti a un avanzamento che è per così dire “scritto nella storia” e che l’avanzamento scientifico sia la più diretta conseguenza del tanto celebrato “progresso”. In pochi si rendono però conto che in tale dinamica non vi è assolutamente nulla di spontaneo, o a qualche titolo naturale.

Perché chi, in accordo con la natura, giungerebbe mai a clonare bambini, vivisezionare, potenziare virus, creare ordigni atomici, cambiare i tratti estetici o la connotazione sessuale di una persona?

Eppure, da molti questo è ritenuto un inevitabile “progresso”.

Si tende spesso a pensare che l’origine dell’ossessione progressista sia in qualche maniera oscura e inafferrabile. Di contro, di tale storia si può tracciare la storia più recente e, volendo, in maniera dettagliata.

Non è necessario cercare cospirazioni in fondo a polverosi scaffali, consumarsi gli occhi leggendo curiosità storiche fino a tarda notte. La cospirazione è insita nel pensiero che mira a instaurare la grande illusione del progresso, instillarlo lentamente ma costantemente nella mente collettiva; prima in maniera sotterranea, capovolgendo gradualmente valori e consuetudini che avevano superato i secoli, dopo, proclamando in maniera sempre più scoperta la necessità del progresso.

I Perfettibilisti di Adam Weishaupt concorsero grandemente all’immissione dell’entusiasmo per l’avanzamento razionalista e scientifico nella società. Già nel loro Settecento, infatti, l’idea di un progresso illimitato e privato di ogni remora etica o biologica era divenuto tanto pervasivo che molti iniziarono a concepirlo come un caposaldo del nuovo sapere quindi a tributare un vero e proprio culto alla già menzionata “dea” Raison.

Certo, un po’ di dogmatismo s’insinuò anche nella pseudo-religione che ne scaturì. Comune a tutte le ideologie moderne è infatti la curiosa inclinazione a somigliare in maniera via via più accentuata a ciò che le stesse ideologie si proponevano inizialmente di combattere.

 

 

NOTE

 

[1] Si veda a tal proposito il Contratto Sociale.

[2] A. Weishaupt, On Materialism and Idealism, a cura di J. Wagäs, traduzione di J. Singh-Anand e P. Ferguson, Malta Minerval Editors, Floriana, Malta; Fate, Texas US, 2018, pp. 33 e 121: «Man betrachtete an den Körper selbst als den Grund unsrer geistigen Veränderungen, und man verwarf ohne weiters jede von dem Körper ganz unterschiedene denkende Kraft». Le traduzioni in italiano dei passi di Weishaupt sono state effettuate dall’autore sulla base dell’originale tedesco e delle traduzioni in inglese disponibili.

[3] Ibidem, p. 34. «L’anima», «die Seele» nell’originale tedesco, viene stranamente reso con «the mind» nella versione inglese di Singh-Anand e Ferguson.

[4] Ibidem, pp. 40 e 128.

[5] Ivi.

[6] Ibidem, pp. 47 e 135-136.

[7] Cfr. J. Robison, Proofs of a Conspiracy against all the Religions and Governments of Europe, carried on in the secret meetings of Freemasons, Illuminati and Reading Societies, per la prima volta pubblicato nel 1797; A. Barruel, Mémoires pour servir à l’histoire du jacobinisme, anch’esso edito a partire dal 1797.

[8] A. Weishaupt, Diogenes’ Lamp, or, an Examination of Our Present-Day Morality and Enlightenment, traduzione di A. Gill, a cura di A. Swanlund, The Masonic Book Club, Bloomington, Illinois, 2008, p. 28.

[9] Ibidem, p. 51.

[10] Ivi. L’espressione «Unterordnung des Zwecks» dell’originale viene resa da Amelia Gill con «sublimation of the end», ovvero «sublimazione dello scopo» o «della fine». L’espressione è però di difficile traduzione. Unterordnung significa in realtà più subordinazione che sublimazione.

[11] Weishaupt, On Materialism and Idealism, cit., p. 47; originale tedesco: «Die Bloßen Vernunft» (p. 135).

[12] Matteo, 16, 19-24.

[13] In realtà si tratta di una questione controversa, perché non è ben chiaro il parere di Weishaupt sui Vangeli; pare infatti che gli Illuminati considerassero Gesù il primo dei loro maestri, per quanto la loro interpretazione doveva vedervi un libero pensatore, più che una figura spirituale.

[14] Weishaupt, Diogenes’ Lamp, cit., p. 100.

[15] Ibidem, p. 175.

[16] Si leggano le conclusioni contenute in On Materialism and Idealism, cit., pp. 97 sgg.

[17] Un libro ben rappresentativo della sapienza antica come il Qohélet, o Ecclesiaste, ha molto da dire a questo riguardo.

[18] Frammento 45, secondo la numerazione Diels-Kranz.

 

In copertina: Ritratto di Adam Weishaupt, opera di Friedrich Rossmassler, 1799.

 

 

 

Adam Weishaupt è tratto da Geografia medievale e smarrimento contemporaneo.

L’opera integrale è gratuitamente disponibile al seguente link:

https://www.academia.edu/126814164/geografia_medievale_e_smarrimento_contemporaneo

oppure

Geografia medievale e smarrimento contemporaneo

 

 

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