7 Ottobre 2024
Julius Evola Libreria

L’individuo e il divenire del mondo

La filosofia all’opera di Julius Evola

 

di Giovanni Sessa

 

Più volte ci è capitato di parlare del pensiero evoliano quale momento rilevante della filosofia europea del secolo XX. Julius Evola non è stato semplicemente il terzo grande nome della speculazione italiana del Novecento, come con lungimiranza e coraggio riconobbe Franco Volpi nell’introduzione ai Saggi sull’idealismo magico, in quanto il tratto eccentrico ed originale (la definizione è del pensatore padovano) che contraddistingue le sue posizioni, lo colloca davvero nel cuore pulsante delle problematiche filosofiche continentali.

   La cosa la si evince dalla lettura de L’individuo e il divenire del mondo da poco edito dalle Mediterranee (per ordini:

Individuo e Divenire ordinipv@edizionimediterranee.net 06/3235433, euro 17,50), una sorta di condensato delle tesi speculative del pensatore romano, che raccoglie due conferenze tenute nel 1925 per la Lega Teosofica Indipendente di Roma e poi uscite, con varie revisioni, su testate del tempo. Il libro è completato da testi “…in assoluto poco o nulla conosciuti che fanno ben comprendere gli interessi del giovane scrittore in quel periodo” (p. 8), come ricorda Gianfranco de Turris nella Nota editoriale. Gli scritti sono collegati alle tematiche affrontate nelle due conferenze, sia in termini cronologici che contenutistici. Si tratta di saggi e articoli comparsi, tra il 1924 e il 1927, sulle riviste Ultra, Logos, Atanòr, Ignis e 900, tutte più o meno legate agli ambienti dell’esoterismo-occultismo italiano ed europeo di quel frangente storico. Il volume è, inoltre, impreziosito dall’Appendice di Luca Siniscalco, mirata a ricostruire l’ambiente in cui Evola si trovò ad operare negli anni Venti e a ripercorrere la storia editoriale del testo stesso, piuttosto complessa, e soprattutto dal saggio introduttivo del prof. Romano Gasparotti, docente a Brera e curatore con Massimo Donà dell’opera di Andrea Emo, che compie una esegesi puntuale ed organica della filosofia evoliana.

    L’assunto da cui muove Gasparotti è la constatazione di una necessità ermeneutica improrogabile “far uscire dall’ombra o dal fraintendimento il pensiero di questo autore” (p. 11): allo scopo la lettura delle opere teoretiche, ed in particolare de L’individuo, risulta dirimente. Da essa si trae contezza che, per Evola, la filosofia è tale solo quando viene messa all’opera. Punto d’avvio dell’indagine evoliana è rappresentato dall’idealismo dialettico, in particolare la sua radicalizzazione in Gentile. Purtroppo questi, pur facendosi latore della necessità di superare la distinzione di conoscenza e prassi, finì per ridurre l’atto a “…discorso”, a rinnovata teoria, in quanto la presunta compiutezza prassista dell’attualismo, si sviluppa comunque all’interno del logo-centrismo speculativo. Il soggetto resta in posizione meramente passiva nei confronti della realtà, della natura, che esperisce come Altro da sé. Ciò accade, suggerisce Gasparotti, in quanto mentre l’essenza è pensabile e costruibile attraverso i concetti, l’io penso, l’esistenza la patisco, la subisco, in quanto oggetto della volontà. Evola fornisce una soluzione: è necessario considerare le opposizioni logiche, e quindi anche quella di essenza e di esistenza, non come fondate sulla “differenza di natura, bensì come una semplice differenza di grado”(p. 13). L’asserto lascia cadere l’alterità, la distinzione logico-identitaria. Il mondo è affermazione più intensa della potenza, che già è in azione nell’idea semplicemente pensata. Il reale risulta essere un’immagine più potente ed intensa di quella meramente pensata, ma la natura del pensiero e dell’Altro da sé, è la medesima. Il principio è la potenza-libertà.

    Evola compie un passo ulteriore rispetto a Bergson ed Heidegger in tema di possibilità, lasciandosi, lungo questo iter, Gentile alle spalle. L’individuo è libero quando diventa se stesso “al di là di ciò che egli è”, pertanto, prosegue lo studioso, “ciò che è sempre possibile è l’impossibilità del possibile stesso” (p. 16). In questo contesto, Evola è indubbiamente uno dei filosofi moderni nei quali, con maggior forza, è tornata a farsi sentire la voce di Dioniso. In queste pagine egli ri-scopre un Dioniso non più contrapposto ad Apollo, ma a questi complementare,  quale suo sfondo abissale. Il dio della luce e dell’individuazione è maschera della potenza abissale. La prova di Dioniso cui Evola rinvia il lettore, è il superamento di ogni identità, tanto che l’Io “in ogni singolo momento del suo processuale esistere, deve poter non essere mai stato ciò che è stato…dovrà poter non essere ancora ciò che è già stato” (p. 17), commenta Gasparotti. L’Io mai identico a se stesso, di fatto si svincola da qualsiasi azione finalizzata, desiderativa e vincolante: realizza di fatto l’agire senza agire. In ciò la prossimità tra la filosofia all’opera e Vie iniziatiche. E’ un Io che non si enfatizza nella nozione personalistica della persona di matrice romantica, cuore vitale dell’attuale senso comune, costruito attorno all’esaltazione univoca dei diritti dell’uomo, ma dis-vela nel mondo la libera potenza, il suo libero ritmo, come fece l’avanguardia dadaista di cui Evola fu insigne rappresentante.

   Qui entriamo nella parte più rilevante, a nostro parere, tanto dell’analisi di Gasparotti che delle stesse posizioni evoliane. Certamente per il pensatore romano, la filosofia ha senso se produce, come nel mondo classico, vita filosofica. Egli ebbe contezza che in fondo il pensiero è inappropriabile infinita energia che si instaura in noi seguendo ritmi e misure date. Evola “riscopre e sviluppa…una delle vene più rimosse e sotterranee della vicenda filosofica occidentale…la questione dell’intelletto distinto” (p. 21), problematica aristotelico-averroista, senza riproporre alcuna idea di trascendenza separata. La “tradizione” per Gasparotti si mostrerebbe pertanto quale “capacità di essere attivamente fedeli alla chiamata proveniente dal non-luogo di una profondità e da un’altezza che travalica e sovrasta ciò che è soltanto umano, individualistico, immediato, utilitaristico” (p. 22). Essa per Evola, almeno in questa fase, non si riferisce a qualcosa di posto alle nostre spalle, non è il passato, ma l’origine. Ciò ha reso il filosofo immune dal rischio onto-teo-logico anche nell’ambito politico, in quanto comprese con chiarezza come il dominio della tecno-scienza non possa essere l’ultima istanza della modernità e, al medesimo tempo, prese le distanze dall’isomorfismo teologico-politico di Carl Schmitt.

    Per questo, il pensierodi Evola può divenire proficuo terreno d’incontro per quanti, pur muovendo da esperienze di vita e di pensiero diverse, convengono nella necessità di un Nuovo Inizio europeo.

 

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