di Mario M. Merlino
Gli amici di Ereticamente mi dicono che vengo anch’io accumunato all’accusa di essere anacronistico. Suppongo che ciò non dipenda dall’ostinazione di portare i capelli lunghi, ormai bianchi. Da un vestire e un andamento giovanilistico che stride con l’anagrafe. Potrei rispondere magari mettendo le dita ad imbuto e lasciar partire un prrrrrrrr… prolungato finchè mi sostiene il fiato. Non sarebbe, però, elegante anche se in linea con un certo spirito libertario che mi porto dietro fin dall’infanzia. Potrei, allora, esercitare i ‘privilegi’ d’aver insegnato filosofia e discettare sull’idea del tempo e se tempo e noi ci confrontiamo ci contestiamo siamo altro o la medesima essenza. Bah, mi piace ormai raccontare storie, autentiche o quasi.
Avevo sedici anni e frequentavo da poco la sezione del M.S.I. del Colle Oppio, non lontano da casa mia. E trovavo in Mario Giuliana l’amicizia il cameratismo e un orizzonte culturale a me del tutto sconosciuto. Egli era un profugo dalmata di pochi anni più grande, ospite di parenti, non sempre gradito, e la famiglia dispersa, forse infoibata. Immancabilmente con un maglione nero di cui, a sera, lavava collo e polsi e lasciava asciugare sul termosifone. Mi parlava di Filippo Tomaso Marinetti dei pittori, di cui era appassionato, quali Boccioni e Sironi. E, a proposito del futurismo, un pomeriggio mi portò un libricino con le poesie di un russo, Vladimir Majakovskij, leggendone dei versi a voce alta.
‘Senti…’, commentava, ‘che potenza quando parla di Lenin e dei treni militari, che sfrecciano nelle sterminate pianure innevate, dipinti dai futuristi. E le bandiere rosse che sventolano nelle strade… – battete in piazza il calpestio delle rivolte -…’. Al grido roco e inferocito di ‘merde’ e ‘partigiani’ una gran botta di giubbotto di pelle arrotolato di cui Zambo stava usando a mo’ di clava ci arrivò contro. Ci defilammo di corsa, aspettando che si sbollentasse prima di farci vedere di nuovo.
Non ho mai saputo il suo nome vero. Era stato bersagliere in Russia, ritornato con i piedi malconci dal gelo, ricciuto scurissimo i tratti marcati, un armadio e una forza bruta della natura. Con una bomba a mano in tasca s’era portato fino al Colle Oppio un’enorme busto del Duce in bronzo, sorreggendolo con una mano sola sulla spalla. Dormiva sulle panchine e, soltanto quando era particolarmente freddo, in sezione sul biliardo. Una notte lo vidi che si lavava la testa sporca di sangue alla fontanella dopo uno scontro con i compagni. Rideva. Ricordo due sue foto con il volto rigato dalle lacrime, chino sulla bara di Mussolini quando era stato riconsegnato a donna Rachele a Predappio. Era un giornale svedese e lo citava come ‘il gigante buono piange il suo Duce’…
Sono passati oltre cinquant’anni. Va bene, lo so, tempo e circostanze sono la prigione di ognuno di noi. E so anche quanta acqua è passata sotto i ponti ma, come amava ripetere un amico, ‘i proverbi sono la saggezza dei fessi’… Quante le strade che l’uomo farà prima di trovare nel vento risposta, cantava Bob Dylan, e noi ci abbiamo provato. L’altra mattina ho incontrato un senatore PDL che conosco da quando eravamo ragazzotti di pretese tante e troppe speranze. Io stavo seduto al bar ed è venuto a salutarmi. All’occhiello della giacca porto un drakkar, la nave vichinga, lui l’ha confusa con il vecchio distintivo della Caravella. E’ emblematico, chissà. Le tre caravelle, salpate dal porto di Palos, hanno regalato alla storia un nuovo continente, ma non l’isola dei nostri sogni. E la Destra istituzionale, dimentica della guerra del sangue contro l’oro, s’è messa al riparo della bandiera a stelle e strisce. In una Berlino spettrale tragica ed eroica la prua con la testa del drago, spinta a largo, porta per l’ultimo viaggio Baldr, figlio di Odino e simbolo solare. Il crepuscolo degli dei… E’ questo l’inattuale insegnatoci da Nietzsche a pensare ed amare? Mi piace crederlo.
‘Le scorribande notturne nella città dormiente erano un must, oggetto anche di narrazioni affidate alla tradizione orale. Si raccontava di quando Tonino, impegnato solo soletto (lui era fatto così) a tappezzare le vie del centro, si imbattè in un gruppetto di compagni (tra i quali i due figli del senatore comunista Scionti) che gli intimarono minacciosi: ‘Sei solo. Noi siamo in sei. Molla tutto se non vuoi buscarle…’, al che Tonino rispose, flemmatico: ‘Non sono solo. Siamo in quattro: io, il secchio, il pennello e la scala’. Così detto infilò il secchio sulla testa di uno, ‘spennellò’ di colla un altro, ‘infilzò’ con la scala il terzo e assestò un paio di ceffoni al quarto. Degli altri due… non pervenuti’. Riporto l’episodio nel prossimo libro di racconti, titolo Ai confini del nero, uscita prevista inizio maggio, dedicato proprio all’amico e camerata Tonino Fiore. Era eravamo così e, forse, un po’ ‘stronzi’.
Anni fa, andando a vedere il film Tierra y Libertad di Loach, tratto dal libro di George Orwell Omaggio alla Catalogna, sulla guerra civile spagnola e sullo scontro, tutto all’interno al fronte repubblicano, tra i militanti del P.O.U.M. e i commissari politici al servizio di Mosca, pensavo di trovarmi tra barbe lunghe eskimo e sciarpe rosse. Mi sbagliavo. Giovani dalla camicia ben stirata, giacca, cellulare e La Repubblica in tasca. L’equivalente delle camicie azzurre, cravatta a righe e distintivo Forza Italia all’occhiello. Tornato a casa mi sono guardato allo specchio: già, decisamente inossidabile orgoglioso altro… forse un po’ ‘stronzo’. E mi sono ritrovato a biascicare i versi del poeta futurista russo Majakovskij: ‘Battete in piazza il calpestio delle rivolte…’.
Quando soffieranno forte i venti del cambiamento, mi sembra parafrasare il già citato Bob Dylan, sarà opportuno avere solide fondamenta (leggasi identità) e, aggiungo, unire a quel calpestio il rullo dei tamburi con passo sicuro e compatto. Allora che serviranno quelle camicie inamidate, la cravatta il cellulare le p
iccole ambizioni da politica come mestiere? Saranno retroguardia, inutile spazzatura, tracimati dalla storia e rottamati nei cassonetti dell’immondizia. Mentre noi… anacronistici inattuali forse un po’ ‘stronzi’…
iccole ambizioni da politica come mestiere? Saranno retroguardia, inutile spazzatura, tracimati dalla storia e rottamati nei cassonetti dell’immondizia. Mentre noi… anacronistici inattuali forse un po’ ‘stronzi’…