di Giandomenico Casalino
È del tutto evidente che la rivelazione, il riconoscimento del Sè, la meravigliosa (thaumàzein) “scoperta” che la nostra autentica natura non è la singolarità atomistica (ammesso, e non è così, che l’atomo sia… “atomistico”, cioè staccato, separato dal contesto sia macro sia microfisico: spazio esterno o campo gravitazionale), né la presenza esterna al Mondo, sia quello cosiddetto fuori di noi sia quello interno a noi; è evidente pertanto che la dottrina del Sé, per tutto quello che implica in termini di tappe di un percorso di esperienza dello Spirito, significa, in buona sostanza, l’introduzione alla acquisizione della consapevolezza della Verità dell’Intero: l’Intero è l’unica realtà e il Vero è l’Intero. La dottrina del Sé, infatti, immediatamente, introduce alla coscienza dell’Intero.
Tutte le Tradizioni, nella loro dimensione teosofico-sapienziale, non sono altro che percorsi di realizzazione del Sé e cioè Risveglio alla coscienza, che deve essere consapevolezza, che dire “Io” è mero suono senza significato, senza contenuto che sia concreto, se non illusione di un momento (l’intera vita di un dormiente…) nella frattura più dolorosa che è la modernità come dualità categoriale dello Spirito.
La malattia dell’Io è conseguenza della caduta, dell’errore metafisico primordiale, è lo stato di falsa conoscenza del Mondo in quanto guardato come esterno, estraneo, diverso dall’Io, con lo stesso Io che guarda il “proprio” corpo con la medesima falsa convinzione con cui si guarda “qualcosa” di estraneo se non di nemico o “animale” da domare e addomesticare; tutto ciò, come la migliore Tradizione filosofico-sapienziale occidentale, che è quella Platonica sino ad Hegel, ha ben compreso, è la vera natura della catastrofe dell’uomo, in quanto discesa nella animalità egoica e quindi astratta che, autentica generatrice di fantasmi, crea la fictio dell’Io, che è l’Oblio come degenerazione fantastica, in quanto irreale, della suprema sublimazione dell’Essere nella universalità dello Spirito. Il destino dell’uomo, al cui rispetto Apollo lo sollecita, consiste nel non illudersi, restando schiavo dell’astrattezza dell’Io, che è contro la natura-phýsis, sia come bios che come zoè quanto come Anima del Mondo, bensì nell’iniziare a comprendere che deve acquisire il Sapere che egli è composto di sole due realtà, che non sono “sue”: la superiore, la luminosa, la Universale, vera in quanto è, che è il Sé, oggettivo, che sarebbe come dire sovraindividuale e la inferiore, falsa in quanto non è, altrettanto “oggettiva” ed anch’essa in un certo senso “universale” o, rectius, generale che è la sottoindividuale.
In mezzo fluttua l’illusione dell’Io; fumoso vapore, spessa nebbia che non solo non protegge l’involucro medesimo dai miasmi e dai veleni, dalle oscure tenebre che dal basso non trattenute e rischiarate da niente (in quanto l’Io è niente) giungono ad indossare la maschera stessa della funzione storico-sociale di una “personalità” sedicente tale; ma lo stato stesso di sonno e di limitata e quindi falsa coscienza, nel quale consiste il credere di essere Io, ci impedisce di conoscere ciò che per Natura noi siamo da sempre, cioè Spirito, Universalità e quindi Eternità, che è processo di assimilazione al Divino, in quanto acquisita consapevolezza di esserLo da sempre. Quando Plotino insegna che all’Uno, sovraformale, sovraindividuale, Oggettivo, Indefinibile, Ineffabile ed Invisibile (pur essendo l’unica Realtà visibile…!); Luce purissima che è dýnamis infinita, corrisponde nella profondità oscura degli abissi (che sono e dell’uomo e del Mondo), la tenebra del non-essere e del sottoformale, nonché sottoindividuale, oscurità altrettanto infinita (anche se la Luce, se pur fioca, quasi impercettibile, giunge financo lì…), non sta enunciando, in termini di Dottrina, nulla di diverso. In mezzo, tra le due realtà, il velo dell’Io deve essere spazzato via, come le prime luci dell’alba di una giornata di incipiente primavera cacciano via la nebbia della notte e il tutto appare per quello che è; e se ciò non accade, quell’illusione, quel falso punto di riferimento trascinerà, perché non potrà e non vorrà resistere, l’intero involucro dell’uomo, ivi compresa l’Anima come principio del movimento in quanto discesa nel Mondo, alla identificazione con le tenebre e non con la Luce universale che è il Sé.
L’uomo, conclude Plotino, ha davanti alla sua natura complessa due Vie: o quella del ritorno al Padre che è egli stesso in quanto Sé, ascensione destinale (da destino) e identificante non solo con l’Anima nella sua superiore realtà di Intelletto ma con il medesimo, cioè con l’Uno, da solo a solo, nella Rivelazione che Egli è il Sé, oppure la discesa definitiva negli abissi della “sua” complessità, nella terminale identificazione con l’informe, con il non-essere. O verso il sovraformale che è l‘oltreformale o verso il subformale che, come chiarisce l’insegnamento di Evola, è sempre l’informale, cioè il privo di Forma nel significato di Essere. Sia l’una che l’altra Via sono uscite dalla illusione dell’Io e della frattura, della divisione e della dualità, ma l’una è l’ascesi, è la sublimazione, è il destino del Dio che, comunque, è nell’uomo, l’altra è la discesa, è il riconoscersi della stessa natura delle Tenebre, l’essere il non-essere, quelli che Guénon chiama “i santi di Satana”!
Ambedue le Vie, introducono alla consapevolezza dell’Intero ma, come crediamo sia evidente, alle due dimensioni del tutto differenti se non polari dello stesso: una è la Natura Luminosa dell’Intero e l’altra è quella oscura, a cui corrispondono due stati ontologici della coscienza, due modalità opposte di conoscenza dello stesso Mondo che sono anche due stati dell’Essere. Evola, infatti, afferma di preferire il sano e stupido “materialista” – che vive, pensa ed esperimenta il Mondo nell’illusione grossolana di cui è pervaso, che, comunque, lo protegge da qualsiasi esperienza spirituale pericolosa – all’altrettanto stupido ed in questo caso temerariamente arrogante “spiritualista”, che, senza alcuna autentica conoscenza di ciò che è l’Invisibile, nella sua duplice ambiguità, senza alcuna difesa (in quanto l’unica difesa è sempre il Sapere; Apollo, in quella invocazione rivolta all’uomo, non lo esorta a fare altro se non a “Conoscere”, a “Sapere” che cosa egli veramente è!) nei confronti dello stesso, si avventura in vicende ed eventi che non sono altro che un aprire la porta, lasciandola incustodita, così da consentire alle potenze dell’Indeterminato di conquistare il “determinato” ancorché fittizio, di cui ardentemente hanno bisogno, indossando così la maschera e l’abito dell’Io, sì da realizzare non la Identificazione con l’Alto, che è attiva ed ascetica sublimazione di ciò che “era” Io, ma la possessione che è passiva resa a quelle Potenze di un residuo di Io storico-sociale come volontà e pensiero ancora presenti; nello stesso modo in cui è l’Acqua del mare che ti possiede e ti avvolge, prendendoti quando vi entri con tutto il tuo essere.
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Da un certo punto o tappa del percorso che stiamo conducendo, dovrà scomparire, anzi abbandonerà queste pagine, “sua sponte”, in virtù della radicalità conseguenziale di tutto il Logos che tentiamo di esplicitare, ogni e qualsiasi accenno o riferimento o tematica sull’uomo o avanzata dall’uomo; ogni e qualsiasi parvenza di antropologia filosofica si dileguerà, per la semplice ragione che dal quel momento ricomparirà all’orizzonte della visione, la natura più autentica della Sapienza Pagana Greco-Romana, in senso lato, cioè l’assenza totale e non problematica, in quanto logicamente motivata, di qualsiasi presenza di antropocentrismo. La concezione che verrà, sarà inevitabilmente quella che afferma esserci la pioggia o il Sole, la notte o il giorno, tanto per il più piccolo degli insetti, tanto per la gracidante rana, come per ogni e qualsiasi uomo o donna: né più, né meno!
Non piove o arde il Sole, solo per te, arrogante e stupido essere, gonfio di nulla! Bensì per l’Intero di cui tu, insieme a piante, uccelli, pesci ed altri animali nonché Demoni e Dei, sei solo una parte. È la consapevolezza che è effetto dell’uscita dall’egoismo antropocentrico cristiano (Platone nei Dialoghi non dice mai “io” ma sempre eméis, cioè “noi”) intrinsecamente falso, poiché, lungi dal rendere quell’Io “signore” di qualcosa, non fa altro che intossicarlo con l’illusione, gravida di violenza e di ingiustizia, di essere “il padrone del creato”, “colui che ne possiede l’essenza, la forza, la vita, poiché ne possiede il nome”, con tutto quello che nel mondo moderno ne è derivato in termini di catastrofe ecologica e di sterminio di popoli e civiltà etnocentriche e di intere specie animali e vegetali; nonché di concezione cristiano-moderna della Tecnica come utilizzo e sfruttamento della Natura che il cristianesimo considera “qualcosa” di non Divino e quindi di non vivente e che, come ci rammenta Heidegger, è di conseguenza solo un ripostiglio, un giacimento, un accantonamento, una sorta di riserva da cui prendere ciò che aggrada a questo sedicente “centro del Mondo”. Affinché l’uomo acquisti o riacquisti l’autentica coscienza intima, profonda e vissuta della Potenza, nel senso di capacità di essere e sentire se stesso nel concreto Virtus universale, Forza cosmica della natura, Soggetto Vivente sovraindividuale e sovrapersonale nell’Unità identificante dell’Intelletto Universale e, in virtù della Via analogica che è la Via dell’Ordo Amoris, sia assolutamente simile ai cicloni ed ai terremoti, alle albe ed ai tramonti, ai venti e alle correnti marine ed a tutti i Viventi, cioè allo stesso Mondo, anzi allo stesso Cosmo, è necessario che muoia come uomo-individuo, come Io storico-sociale, come grumo di passioni, sentimenti, convinzioni ed ideologie, cioè come involucro che la morte dello stesso ne decreterà la fine in qualità di composto. Tale processo spirituale può essere espresso o in termini religioso-penitenziali e si dirà che tutto ciò è stato ucciso o annullato o “messo da parte” o in termini filosofico-sapienziali e cioè iniziatici e si dirà che Egli si è svegliato, che Egli è lo Svegliato, che l’Io ha “ricordato” (ecco il significato autentico della Reminiscenza Platonica) di essere il Sé da sempre e per sempre e così, in tale guisa, da Potenza o Forza della Natura, in tutti i suoi gradi e livelli, stati ontologici sia della Coscienza che dell’Essere quanto del Sapere, in virtù del Viaggio come esperienza faticosa e reale dello Spirito che conduce dalla certezza sensibile della forma animale di base, via via attraverso la centralità nervosa sempre più complessa dei Viventi, passando dalla trama delle sensazioni e dei “sentimenti” primordiali alle forme più alte, vivendo, conoscendo ed essendo quindi tutto l’essere del Mondo, l’essere venti e maree, freddo e caldo, Sole e Luna, sino a quelli che Hegel definisce i gradini più alti del Pensiero-Essere: la Divinità, il Bello ed il Sapere; riconoscerà che egli è il Sé, ed in qualità di Spirito, non negherà l’intero percorso e gli stati della Coscienza, che sono corrisposti ad altrettanto simili stati dell’Essere, ma sarà ciò che è, che è sempre stato e cioè Spirito, che significa consapevolezza di essere nella sua più autentica essenza, l’intero Mondo, di essere microcosmo nonché Uomo cosmico, Uomo Divino, reso simile al Divino, poiché Svegliarsi è l’Essere, cioè Riconoscersi, simile al Divino!
Il geocentrismo di Dante come quello degli Antichi non è assolutamente tronfio antropocentrismo: tutt’altro! La terra è al centro dell’Universo non perché sia abitata dall’arrogante e stupido (hýbris), Io storico-sociale e cioè dal transeunte individuo, ma perché ospita la specie Vivente, come Idea, che, unica nel Mondo, è, per natura, solare, cioè simile al Sole, solo che tale specie deve rammentarlo, essendo stata travolta dall’Oblio; e così, esotericamente, si ha lo stesso principio dell’eliocentrismo, sotto il profilo astronomico, dove il Sole al “centro del Mondo” è però quello vero cioè l’Invisibile Astro dello Spirito, che è dell’uomo come del Mondo, essendo il Medesimo.
L’universo dantesco rammenta a noi stessi, confermando l’intero discorso che stiamo esponendo, che solo nel momento in cui l’uomo-soggetto o Io storico-sociale scompare, anche nel linguaggio, poiché si è riconosciuto Essere Universale, il Sé, in quell’istante è l’Intero e da quell’istante l’Intero parlerà di Sé a Sé stesso!
Parlerà tutte le sue lingue, ma quella del Sapere Assoluto e della Conoscenza suprema è solo quella del Sé che tutte le contiene, le comprende e le parla (come è dato riconoscere nell’esperienza sciamanica…), per la semplice ragione che il Sé è il Risultato-Verità, ma è anche l’Intero processo come stati e livelli di Anima/Coscienza/Essere, la Verità sta già nella prima e basale conoscenza sensibile come nello spirare del vento, li c’è già lo Spirito, solo che non ne ha ancora consapevolezza, quindi è Anima del Mondo, quale sonno dello Spirito. Crediamo che sia del tutto evidente che stiamo avviando il tentativo, alquanto difficoltoso, di “esprimere” la coscienza dell’Intero, oseremmo dire il suo sentimento; il tentativo, forse esperito per la prima volta nella scrittura filosofica, di far parlare il Mondo da sé, senza alcuna traccia né tanto meno presenza di “qualcosa” o “qualcuno” estraneo o esterno ad esso.