Il concetto di tradizione può essere definito a più di un livello e in diversi modi: fra questi, quello di fedeltà alla propria identità, alla propria terra, ai propri antenati, è forse quello più intuitivo, anche se non ne esaurisce il significato. Accettato ciò, però, non è che tutti i problemi siano risolti, infatti gli antenati hanno avuto diverse consuetudini, pensato cose diverse, creduto cose diverse e in conflitto fra loro, la tradizione non esenta da un approccio critico nel senso etimologico della parola, che significa “scelta”, ma semmai lo richiede.
Se noi guardiamo indietro a quelli che sono stati i nostri antenati, li possiamo dividere approssimativamente in tre gruppi: quelli che in epoca pre-cristiana hanno costruito la più avanzata civiltà del mondo antico ed esteso l’ “imperium romanum” pressappoco all’intero mondo allora conosciuto, e non solo politicamente, ma esportando i suoi modi di vita, le sue leggi, i suoi dei, la sua lingua, la sua cultura, la sua civiltà; quelli che IN CONSEGUENZA DEL CRISTIANESIMO sono crollati da tale posizione fino a diventare “un volgo disperso che nome non ha”, stranieri e schiavi in casa propria, quelli che, TROVANDO NELLA CHIESA CATTOLICA UN’IRRIDUCIBILE OPPOSIZIONE hanno ridato all’Italia unità politica e dignità di nazione.
Naturalmente, se noi andiamo a vedere le cose più da vicino, ci accorgiamo che anche la lunghissima “età di mezzo” che va per noi dal 476 al 1861 non sono mancati momenti gloriosi e tentativi di far rinascere la grandezza passata, dal ghibellinismo medievale che ebbe la sua guida ideale nella figura di Federico II, a Machiavelli, alla sua invocazione di un “Principe” che guidasse l’Italia a rinascita, e tutti questi momenti e tentativi si sono posti sotto il segno di una comprensibile avversione se non necessariamente verso il cristianesimo, quanto meno verso la Chiesa cattolica e il potere clericale.
Quindi, proprio il concetto di tradizione inteso come “mos maiorum” ci dice una cosa molto chiara: noi non potremmo essere cristiani e meno che mai cattolici senza tradire quest’idea di tradizione, di continuità con gli avi, nemmeno se lo volessimo (e, chiaramente, non lo vogliamo).
Non sono concetti complessi: se tutti li avessero sufficientemente chiari, si sarebbe realizzata da un pezzo l’invocazione del grande Arturo Reghini:
“Quando si smetterà di inginocchiarsi davanti al genio distruttore del cristianesimo per rendere finalmente omaggio al genio creatore di Roma?”
Poiché, come insegnava Max Weber, “Le istituzioni tendono a creare uomini che credono in esse, ecco che sciaguratamente esistono anche i sostenitori dell’acqua asciutta, ovvero di quell’ossimoro che è chiamato “tradizionalismo cattolico”. Fra costoro, una figura che pare avere una certa importanza è tale Mario Polia, un personaggio –in effetti –degno di essere messo in compagnia di alcuni esemplari della stessa risma di cui mi sono occupato in passato: don Curzio Nitoglia, Adolfo Morganti (lo psicologo, ve lo ricordate, che malediva “le sette” senza accorgersi che di “una setta” il cristianesimo ha tutte le caratteristiche), eccetera, eccetera.
In uno scritto di alcuni anni fa, Polia affermava:
“ Una tradizione, del resto, non può essere definita solo in senso negativo, come opposizione ad un’anti-tradizione, ma richiede di essere definita principalmente in senso pos
itivo nei riguardi del messaggio che essa tramanda e dal quale trae il motivo e la legittimazione della propria esistenza”. (Mario Polia: “Che cos’è la tradizione”, “Minas Tirith” n. 13, Società Tolkieniana Italiana, Udine 2005).
itivo nei riguardi del messaggio che essa tramanda e dal quale trae il motivo e la legittimazione della propria esistenza”. (Mario Polia: “Che cos’è la tradizione”, “Minas Tirith” n. 13, Società Tolkieniana Italiana, Udine 2005).
Quale sia questo messaggio, per Polia è – evidentemente – quello cristiano-cattolico. Poiché a questo mondo ognuno è libero di credere anche le più lampanti assurdità, avrei in tutta franchezza evitato di occuparmi di lui se in un suo recente articolo non fosse comparso un attacco durissimo contro “il paganesimo”.
L’articolo in questione, apparso ultimamente sul sito “Forum giovani” e intitolato “L’equivoco del neo-paganesimo” è in realtà un estratto di un suo libro, “Il seme e la pienezza”.
Quando, come in questo caso, si tratta di un estratto da un testo più ampio, si può avanzare il dubbio che frasi citate fuori contesto possano travisare il pensiero dell’autore, ma un’eventualità di questo genere è qua impossibile, tanto i concetti sono espressi “a muso duro” e sarà il caso di rispondere altrettanto “a muso duro”.
Polia ci va giù pesante subito:
“Accennando alle perniciose conseguenze del sincretismo religioso, fra le tendenze e le mode del neo-spiritualismo moderno occorre menzionare le recenti posizioni di certo neo-paganesimo costruito “a tavolino” da intellettuali e studiosi d’oltralpe e nostrani. Questi negano al pensiero ed alla tradizione cattolica un legittimo posto nella storia d’Europa e ricercano le radici culturali e spirituali dell’Europa prima, oltre e contro il cattolicesimo”.
Quando si va giù con accuse così pesanti, sarebbe bene non restare nel vago e far capire subito a cosa ci si riferisce. In ogni caso, Polia ha perso un’occasione splendida per starsene zitto; sarà anche un antropologo, ma la storia delle religioni non la conosce ed è andato a toccare un tasto sul quale avrebbe fatto molto meglio a sorvolare; se c’è infatti una RELIGIONE COSTRUITA A TAVOLINO, infatti, questa è proprio il cattolicesimo. Fino al concilio di Nicea voluto e presieduto dall’imperatore romano rinnegato Costantino, difatti, non esisteva il cattolicesimo, e neppure – possiamo dire – “il” cristianesimo, bensì una varietà di cristianesimi in conflitto, alcuni dei quali piuttosto divergenti gli uni dagli altri. PER MOTIVI POLITICI, Costantino decise che il concilio avrebbe creato una religione KATHOLIKE’, ossia “universale” nel senso che sarebbe dovuta andare bene per amore o per forza, volenti o nolenti, a tutti i sudditi dell’impero. Fu dato qualche contentino ai pagani: la nascita del presunto redentore fu fissata arbitrariamente al 25 dicembre già “compleanno” del dio Mitra e del Sol Invictus di Aureliano, fu inventato un episodio come l’Ultima Cena per introdurre la teofagia (mangiare simbolicamente la carne e il sangue del redentore) come avveniva nei misteri orfici. Dei molti vangeli, e ciascuna comunità pare avesse il suo, frutto di narrazioni orali di cui possiamo immaginare l’accuratezza, furono scelti, sempre in base a criteri politici, quattro che furono ampiamente rimaneggiati, mentre gli altri furono dichiarati apocrifi, cioè–più che falsi –non conformi ideologicamente.
Un esempio delle molte manomissioni contenute nei vangeli: l’episodio del Getsemani. Il racconto che ne abbiamo è una lampante assurdità: davvero occorreva scomodare un’intera coorte romana per arrestare un gruppetto di innocui predicatori? E’ molto più ragionevole supporre che essa sia stata impiegata per reprimere una rivolta, ma i vangeli sono stati purgati in modo da cancellare tutto ciò che poteva collegare il cristianesimo al messianismo insurrezionale antiromano degli Ebrei dei primi secoli. Insomma si è trattato non solo di una religione costruita a tavolino, ma della più grande truffa e confisca di verità di tutti i tempi, montata con l’inganno e imposta con la violenza.
Leggendo lo scritto di Polia, fortunatamente breve, occorre possedere una buona dose di autocontrollo, e viene di continuo il dubbio – che capita spesso quando ci si accosta agli scritti dei tradizionalisti cattolici – ma ci è o ci fa? Possibile che sia così palesemente disinformato, o non sarà piuttosto in malafede?
Vi cito ad esempio questo inciso:
“Non si “sceglie” in base a criteri sentimentali o intellettuali la tradizione, il mos maiorum cui appartenere e in base al quale operare le proprie scelte di vita: lo si accetta e lo si segue per un dovere di fedeltà verso i propri antenati (i maiores) e nei confronti della propria tradizione e della propria Patria, intesa come comunione di Terra, Sangue e Spirito.”
Queste parole che in bocca a chiunque non fosse un cattolico militante, esprimerebbero una verità sacrosanta, non possono non provocare irritazione e anche indignazione in bocca a uno di costoro. Forse che non è stato il cristianesimo a demolire l’impero romano? Forse che non è stato Costantino a smantellarlo per creare coi suoi cocci la tirannide sacrale bizantina basata sul cristianesimo e in pretto stile orientale? Forse che questo non ci è costato quindici secoli di disgregazione nazionale e invasioni straniere? Forse che i papi non sono stati sempre pronti a richiamare in Italia nuovi invasori e dominatori pur di salvaguardare il loro miserabile Stato della Chiesa? Forse che la Chiesa non ha combattuto con tutte le sue forze contro il movimento di rinascita nazionale dell’età risorgimentale? Forse che l’Italia non porta ancora oggi i segni evidenti, le cicatrici devastanti di questo passato di divisioni? Forse che la Chiesa oggi non è dalla parte dell’immigrazione e del mondialismo? Se Polia capisse o non facesse finta di non capire quello che scrive, gli sarebbe chiaro perché non possiamo essere cristiani né tanto meno credere a un Dio così parziale nei confronti della nostra Patria.
Ma il bello arriva poche righe più sotto.
“Orbene, quando la tradizione sacerdotale è stata interrotta; quando le forme liturgiche, che obbediscono a norme precise fissate dalla tradizione, sono anch’esse dimenticate e scomparse; quando i riti sono stati smessi da secoli e da secoli obliate le norme che presiedono alla loro esecuzione; quando le divinità oggetto di culto, forme appartenenti alle tradizioni pre-cristiane, hanno cessato di essere adorate e sono state private dei culti loro tribuiti (…) chi, fra gli uomini, avrà il potere di aprire di nuovo il Cammino interrotto, di attingere alla Fonte da cui promanano tutte le tradizioni?”
Noi, naturalmente, sappiamo bene CHI e COME ha costretto i culti degli dei dei nostri antenati a un abbandono secolare, distrutto i templi, soppresso i sacerdoti, perseguitato nei modi più atroci coloro che volevano persistere negli antichi culti e nelle credenze dei padri. La verità storica è che il cristianesimo si è pochissimo diffuso in Europa attraverso le conversioni spontanee, ed enormemente di più con la violenza: le persecuzioni dei dissidenti e dei cosiddetti eretici, le campagne di sterminio come quelle di Carlo Magno contro i Sassoni e dei cavalieri teutonici contro gli Slavi. Nel XIII secolo fu indetta addirittura una crociata che devastò la Francia meridionale per sradicare il movimento cataro.
L’ho spiegato più volte nei miei articoli, e forse ora non è necessario insistervi troppo, ma sintetizziamo il discorso di Polia:
“Dovete per forza appoggiarvi alla nostra tradizione, perché tutte le altre sono estinte, perché NOI ABBIAMO ESTINTO tutte le altre”.
In poche parole, un ricatto in perfetto stile mafioso.
Il problema che Polia solleva per assicurarci che non c’è via d’uscita, è un problema che io mi sono posto e suppongo anche voi vi siate posti molte volte. Ricostruire, le credenze, gli usi, i riti non basta a renderli vivi, non è sufficiente un’adesione intellettuale, ma le cose non stanno in questi termini: l’esigenza di ritrovare un approccio spirituale che vada oltre il ricatto cristiano, l’esigenza di porsi di fronte al Divino non inginocchiati e col capo chino e le mani giunte alla maniera semitica, ma in piedi con le braccia spalancate, da veri Ari indoeuropei, di una religione che non sia somministrata da ministri così ipocriti e “preteschi” per definizione, quella non l’abbiamo dovuta riscoprire o inventare, è nata con noi, ce la portiamo dentro da sempre.
E’ un’idea tipicamente abramitica che l’uomo non possa essere attivo ma solamente passivo nei confronti del sacro, che tutto dipenda dalla manifestazione arbitraria di un Dio del tutto privo di senso della giustizia, che concede la rivelazione e la grazia ad alcuni e condanna altri a suo capriccio, che “elegge” un popolo, un’insignificante tribù del deserto, ne da in pasto altri a quella stessa tribù (leggetevi l’Antico Testamento e constatate quanta ferocia e sciovinismo etnico contiene!), ne condanna un altro (noi!) a una schiavitù di quindici secoli.
Ma il paganesimo è poi estinto? Sono mai riusciti davvero a estinguerlo? Forse che non è giunto fino a noi in mille rivoli che sfuggivano all’attenzione della cultura dominante? Nelle tradizioni popolari, nei gruppi esoterici, incrostato in mille modi nella stessa cultura della religione divenuta dominatrice come oro misto al fango, nella ricorrente ribellione di alcuni grandi intellettuali: Federico II, Machiavelli, Filelfo, Nietzsche, Reghini, Evola, per redigere un elenco non certo esaustivo.
L’anima europea, ha detto qualcuno, è “naturaliter pagana”, e l’unico modo per far scomparire davvero il paganesimo, sarebbe quello di sopprimere gli Europei, cosa però che con la decadenza demografica, l’immigrazione, il meticciato, non è poi tanto lontana dal realizzarsi.
Polia non fa che ribadire il concetto di mos maiorum, ma naturalmente non ha idea di che cosa significhi, è un concetto forse più ampio di quello di tradizione, tutto ciò che i nostri antenati ci hanno trasmesso come cultura, valori etici, modi e stili di vita, e sicuramente non si limita alla consuetudine di andare in chiesa la domenica e far finta di ascoltare il prete come se fosse una persona autorevole e avesse qualcosa di importante da dire.
Per comprenderlo appieno, forse la cosa migliore è fare il confronto con chi, per evidenti ragioni il nostro mos maiorum non ce l’ha, non lo capisce e verosimilmente lo disprezza. Basta rifarsi a un esempio di cronaca recente: il comportamento degli immigrati in massima parte islamici nei campi di sfollati formatisi in seguito al terremoto dell’Emilia. Di episodi ce ne sono stati moltissimi: abbiamo visto questa gente buttare nel fango le razioni cibo ricevute dalla Protezione Civile, se contenevano carne di maiale, infischiandosene altamente del fatto che sarebbero tornate buone per gli sfollati nativi, mostrare ovunque un atteggiamento di arrogante supponenza, dileggiare i soccorritori soprattutto se donne. Quanto basta, se ce ne fosse stato bisogno, per rimarcare la differenza fra noi e loro. E pensiamo ai nostri centri storici, le viuzze e gli angoli medievali di città come Firenze il cui centro storico è un grande museo a celo aperto, le logge e le statue trasformate in immondezzai e orinatoi. Silvano Lorenzoni parla dell’insensibilità delle popolazioni semitiche per le arti visive come un fatto prima percettivo che estetico, e credo abbia ragione da vendere.
Il rispetto per il cibo che è costato fatica procurare, il rispetto per il lavoro, il senso della gratitudine, il senso dell’obbligazione contratta nei confronti di chi ti ospita, l’amore per l’arte, la cultura, la tradizione; tutte cose ben presenti nel nostro mos maiorum e assenti in quello semitico-mediorientale, lo sapevano bene anche i Romani: “Punica fides”.
Ora, è chiaro che tutto ciò non solo non ha nulla a che fare con il cristianesimo, è un deposito antico che è sopravvissuto, un retaggio che ci è pervenuto nonostante il cristianesimo, ma è qualcosa che la Chiesa, schierata a favore dell’immigrazione, del mondialismo, del meticciato, dell’ “accoglienza” a chi non vuole integrarsi con noi ma soppiantarci, fa di tutto per compromettere.
Io devo ammettere di non aver letto il libro di Polia, “Il seme e la pienezza”da cui questo articolo è tratto (cosa volete, l’idea di dare soldi a questa gente non è che mi sorrida: basta già la truffa dell’otto per mille e dell’IMU che dobbiamo pagare anche al posto degli enti ecclesiastici), tuttavia mi sembra che già il titolo rimandi a un ordine d’idee comune tra i cattolici tradizionalisti: l’idea delle culture, delle religioni, delle spiritualità antiche come “barlume aurorale” di ciò che “la rivelazione cristiana”avrebbe manifestato in tutta la sua pienezza. Questa affermazione di un’incredibile arroganza intellettuale che vorrebbe cooptare e fagocitare tutto quanto la cultura antica ha prodotto, svela nel momento in cui vorrebbe nasconderlo, un fatto essenziale: il cristianesimo è stato rottura violenta dell’ordine preesistente già ben prima che cominciassero le crociate e i roghi degli eretici. Il mos maiorum dei nostri antenati non poteva che esprimersi, e di fatto si espresse, a favore delle antiche fedeltà e contro la “nova religio” importata a forza dall’Oriente. Due millenni possono aver cambiato le cose? Il tempo agisce sulle vicende umane, non sui principi e gli ideali.
Quanto tempo occorre perché la sovversione diventi tradizione? Lo stesso tempo che serve ripetere una menzogna perché diventi verità, cioè non può succedere mai.
Sarebbe inutile – penso – interrogare Mario Polia sulle contraddizioni del monoteismo: l’origine del male in un mondo che si suppone opera di un creatore onnipotente, onnisciente e immensamente buono, o il dogma trinitario in palese contrasto con l’assunto di fondo monoteista. Polia è un antropologo. Questo significa che ha un tipo di “cultura professionale”che non solo non inclina alle problematiche filosofiche, ma è un ostacolo alla loro comprensione. La pseudo-scienza antropologica oggi in voga tende a mettere sullo stesso piano il pensiero razionale (che – gravissima colpa – è insito nella cultura europea) e il balbettio superstizioso delle “culture” che la political correctness oggi in voga non consente più di chiamare primitive. Vi rimando a questo riguardo al mio scritto “Il fantasma dello stregone”su “Ereticamente”.
Il cristianesimo ha tolto al mondo gran parte della sua sacralità. Si avrebbe quasi voglia di invitare i cristiani a fare l’ultimo passo, sbarazzandosi del loro ultimo unico Dio, e rivelarsi per perfetti atei. Non è un’astrazione, si può essere atei e rimanere pienamente, perfettamente abramitici. Milioni di uomini l’hanno fatto: Karl Marx e tutti i suoi seguaci.
Il marxismo non è altro che cristianesimo spinto alle sue estreme conseguenze: una verità del genere che i tradizionalisti cattolici preferiscono ignorare.
Ma la verità ignorata rimane sempre tale.
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