Kolberg, oggi Kolobrzeg in polacco, si affaccia sul Baltico nella Pomeraria occidentale. Punto di scambio del sale già nell’Alto Medioevo, poi divenuta città libera dalla metà del XIII secolo. Città fortificata appartenente all’Ordine dei cavalieri teutonici, al regno di Prussia dopo la conversione al luteranesimo del gran maestro Alberto di Hohenzollern e dei suoi successori. Resa famosa, tanto da assurgere a simbolo tenente colonnello, conte della coscienza collettiva tedesca della difesa della propria identità territoriale, durante le guerre napoleoniche. Infatti, dall’aprile al luglio 1807, seppe fortunatamente resistere all’assedio francese, merito soprattutto del borgomastro Joachim Nettelbeck.(Il grande giurista Carl Schmitt nella Teoria del partigiano non cita direttamente l’episodio, ma furono i riformatori dello stato maggiore prussiano, quali Scharnhorst e Gneisenau, alla cui fonte si abbeverò il giovane von Clausewitz, che indicarono la strada per la costituzione di una milizia territoriale, Landsturm, e ispirarono l’editto reale del 21 aprile 1813. E’ vero che, poco dopo, ci furono significativi ripensamenti e modifiche sostanziali. Rimane, però, l’invito ad armarsi di ‘scuri, forconi, falci fienaie e schioppi’. All’ombra di Kolberg e della sua resistenza vittoriosa).
Con il titolo Cittadella degli eroi, voluto espressamente da Joseph Goebbels, fu girato un film, a colori, fra i più costosi della produzione cinematografica sotto il nazismo. Esso nasceva anche per rispondere all’attentato del 20 luglio del ’44 quando il tenente colonnello, conte Klaus von Stauffenberg, depose sotto il tavolo di Hitler e dei suoi generali una borsa con dentro un ordigno esplosivo a Rastenburg. Nel complotto vi erano implicati alti ufficiali dell’aristocratica élite militare prussiana che aveva sempre avversato Hitler ed ora, volgendo al peggio le sorti del conflitto, ritenevano di poter arrivare ad una pace con gli alleati, eliminando ‘il caporale’… Con rapida e chirurgica reazione tutti coloro che vi furono implicati vennero eliminati. Lo scrittore Ernst Juenger, capitano a Parigi, venne depennato direttamente per mano dello stesso Hitler che era rimasto affascinato dal suo libro Tempeste d’acciaio.
Fu allora che anche nell’esercito divenne obbligatorio il saluto a braccio teso per esprimere, anche in modo visibile, l’unità d’intenti tra il Fuhrer il popolo e i suoi soldati. E fu costituita la Volksturm, una milizia popolare di giovanetti ed anziani male armati, impossibilitati a respingere l’invasione rossa ma capaci, questo sì, di saper ben morire nel difendere il suolo della patria, Blut und Boden…
Il film fu proiettato a Berlino, ormai sotto le bombe, il 30 gennaio del ’45, il giorno stesso in cui Hitler tenne l’ultimo suo radio-messaggio. Fu anche l’ultimo film proiettato in assoluto. Rinnovare il sentimento della difesa del territorio germanico ormai invaso dalle orde sovietiche. E forse non è casuale che, poco dopo, tra il 24 febbraio e il 18 marzo la stessa città di Kolberg venne assediata. In quella disperata e apparentemente vana resistenza, però, fu possibile ad oltre settantamila civili, donne bambini e vecchi, di fuggire per via mare e lungo la costa e sottrarsi così agli orrori allo stupro allo sterminio alla rapina dell’invasore.
Fra gli estremi difensori per tenere aperto quel varco verso occidente, fra le rovine di quella città, fortezza ormai fantasma, vi furono i volontari francesi della divisione Charlemagne. Paradossi della storia, forse. Nel 1807 erano gli assedianti, soldati dell’imperatore borghese alla conquista continentale e in nome dell’egemonia della Francia, nel ’45 a proteggere le macerie, casa per casa, lasciando la gran parte di loro insepolte ossa carne e sangue, perché i suoi abitanti potessero mettersi in salvo. Sarà così a Berlino. Un’altra volta, chissà, mi verrà a mente di raccontare l’attraversamento del muro, eretto pochi anni prima, alla ricerca dei luoghi ove si svolse la battaglia per l’Europa, portandomi come guida il libro I leoni morti di Saint-Paulien.
Fra costoro, involontario sopravvissuto, Robert L., piccolo di statura e minuto nel corpo, due occhi ora ironici ora glaciali dietro un paio di occhiali tondi e montatura di metallo. Si muove di continuo e con sicurezza, sempre in piedi e vigile. Mi ricorda una molla pronta a scattare. Ogni minuto di vita guadagnato è una vita, la sua è per quelli che non hanno avuto la medesima fortuna. Aveva cantato Brasillach: ‘Dietro qualche bastione/ nel profondo dei sobborghi della città/ vicino ai muri nascosti,/ i fucili delle Guardie mobili/ massacrano in un gioco spaventoso/ i fratelli della guerra civile’. Secondo stime attendibili e approssimative, per difetto, furono circa centomila coloro che vennero abbattuti in un ripulisti liberatorio per le troppe compromissioni di Vichy e con Vichy. La Francia del generale de Gaulle si imponeva legittima e vincitrice sulla Germania mentre, nel 1940, era stato il parlamento nella sua quasi unanimità ad affidare i pieni poteri decisionali al maresciallo Petain. La vittoria, unica dea realmente esistente, santifica l’arbitrio e ne fa diritto.
Robert parla rapido e lo seguo a fatica. Non si tira, però, indietro di fronte a noi e a quell’’aria di rivoluzione’, per dirla con Franco Battiato, che illusi pensavamo di respirare… E’ suo tramite che ebbi contatti con l’ambasciata cinese di Berna e con riviste italiane d’impostazione marxista-leninista che si rifacevano al Mao-pensiero, libretto rosso compreso da sbandierare durante gli inutili e noiosi cortei. Queste ultime con furore ideologiche, noi – e i cinesi ne erano consapevoli – perché, citando il padre di Zarathustra, volevamo dal caos veder sorgere ‘una stella danzante’…
Mario M. Merlino