Mi sono preoccupato di trascrivere a computer quanto vergato a matita su di un foglio bianco. Dalla certezza sono passato all’incertezza. Nel senso che materialmente non posso piegare in quattro lo schermo e ripormelo in tasca. Se poi presso lo scatolotto, ovvero il computer, non ottengo un libro, ma solo la perdita di ogni dato.
Sono poi entrato in Internet. Un po’ come entrare in casa propria. Invece di girare la chiave nella toppa, oppure suonare il campanello per farsi aprire, si digita la password. E noi tutti siamo certi che la nostra vita privata, ma in tale caso la nostra posta privata, lo sia veramente.
Internet è un sistema di comunicazione militare, americano, dato in pasto ai civili affinché ci giochino. In pratica si è trattato di una eccezionale operazione commerciale e politica: schedare la gente a costo zero.
Ma tutto ciò non bastava. Servizi segreti israeliani e qualche frangia, o frangetta, di quelli statunitensi, creano il mefistofelico libro-faccia.
Facebook.
Altro che giovincello pieno d’inventiva che in un attimo diventa ricco per la trovata comunicativa!
Su libro-faccia molti scrivono persino i pruriti più intimi. Alla base di tutto vi è un computerone che elabora. Ecco il secondo livello di schedatura, ovvero quello più intimo.
Nulla di nuovo sotto il fantastico nostro Sole, che non ci chiede mai gabelle per poter sorgere la mattina. Una volta si scriveva su carta e si spediva il tutto in busta chiusa che, all’occorrenza, poteva essere tranquillamente aperta e non certo dal solo destinatario.
Ora, visto e compreso che la privacy non esiste, né sulla carta né tantomeno sul virtuale, per quale motivo si riscontra una certa riluttanza o renitènza nell’apporre il proprio nome e cognome al di sotto di un pensiero, di una frase, di un articolo, gettati allo sbaraglio sui sistemi informatici di comunicazione?
Il burattinaio, quello che tiene in mano il “computerone”, per intenderci, se vuole vede immediatamente chi è l’autore dello scritto. Quindi? A che serve non firmare?
Scatta birbante il quesito: come mai vi sono talune persone le quali scrivono un pensiero e non lo firmano? Peggio, come mai vi sono persone che, letto un altrui scritto, gli rispondono firmandosi «anonimo»? Generalmente sono coloro che più inappropriatamente o più velenosamente d’altri commentano tale scritto.
Mi verrebbe quasi da denotarvi un ché di patologico, ma passo oltre. In ogni caso l’amletico pensiero permane, ovvero: «perché»?
Forse che taluni si trascinano appresso, quasi ancestralmente, il “vezzo” alla pasquinata? In pratica, negli ultimi cinquecento anni di storia romana papale, taluni avevano il vezzo d’appendere ad una statua mutila chiamata Pasquino, situata a Roma in un angolo di Palazzo Braschi, scritte e disegni a denuncia del malcostume del papa, della Chiesa o d’altri personaggi. Il tutto era chiaramente anonimo. Già, ci mancava solo che l’ardimentoso si firmasse, così la destinazione in galera o sul patibolo era assicurata.
Ma per coloro che «anonimo» si firmano, mi viene più utilmente alla memoria qualche fatto del recente passato: coloro i quali, in abiti civili, che sparavano alle spalle di un militare in divisa. Oppure mettevano bombe ammazzando civili e militari in un unico botto. E poi tornavano a nascondersi. Tanto, chissenefregava se poi la legge militare chiedeva, per ogni militare morto ammazzato a tradimento, la vita di dieci civili (undici per gl’Inglesi).
Il paragone è senz’altro esagerato, ma solo per mettere in risalto che se si desidera un dialogo, od uno scontro, ci si deve necessariamente palesare. Non celare. Tentare lo scredito o lo scompiglio con una frasetta gettata allo sbaraglio sa di agit-prop, da personaggio che lavora nell’ombra.
Ma, forse, anche ciò non è azzeccato, perché sarebbe come dargli un ruolo, o un’importanza, che nel bene o nel male comunque sono incapaci d’avere, quelli che non si firmano.
E qui devo tirare in ballo il Sommo, ovvero Dante Alighieri. Una volta di più, nonostante a scuola facessi veramente fatica a leggerlo, somaro qual’ero, mi tocca dargli ragione. Difatti egli colloca gli ignavi persin fuori dall’Inferno, in un dedicato vestibolo: «anime triste di color che visser senza infamia e senza lodo».
Costoro che pontificano, dileggiano, criticano, amaramente o ironicamente motteggiano e non si firmano, sono fantasmi che operano in quanto tali. Figure evanescenti incapaci di sostenere il peso di una propria eventuale consistenza, scelgono il lato comodo della stupidità umana: quella che desidera un’affermazione, ma essendo orfani di capacità si limitano al punzecchio. Anonimo, ovviamente.