Il 4 settembre, alle ore 12,30, nel pensionato dove s’era ritirato a vivere, s’è spento l’amico giornalista scrittore Ugo Franzolin, già corrispondente di guerra della X Mas. Aveva novantadue anni. In gran parte vissuti a Roma, pur conservando l’accento veneto delle sue origini. Era nato, infatti, in un paesino, Villa del Bosco, in provincia di Padova. Un’infanzia modesta e con modesti studi, confortata però dal calore di una famiglia unita e serena. Nel 1936 il fratello più grande era partito per l’Africa Orientale, dove ‘l’Italia proletaria e fascista’ sognava di costruire un Impero e dare terra alle troppe braccia della sua gente. Vi era restato, fra i caduti di quella conquista, ed è d’allora sepolto nel cimitero italiano di Addis Abeba.
Il Fascismo non s’era dimenticato del suo sacrificio, del fatto che rappresentasse un contributo già per il sostentamento della famiglia. Aveva offerto alla sorella Bianca un posto all’ufficio postale di Viadana, provincia di Mantova, e un alloggio per tutta la famiglia. Senza le becere pretese di una ideologia radiosa e liberatoria dell’intera umanità, senza sventolio di bandiere rosse al vento e proclami di fallimentari piani quinquennali. Un socialismo fatto di azioni concrete con l’intento di trasformare un popolo, derelitto ed emarginato, ostile ed estraneo in nazione.
Ugo portava le immagini delle corse lungo il grande fiume, delle sue acque ora grigie e gonfie ora verdi e placide nel loro scorrere. Della barca dove i ragazzi dell’oratorio facevano gite e guardavano con occhi stupiti l’altra riva tanto lontana. Le partite di pallone con stracci e carta legati fra loro. E quell’innata tentazione verso i libri, quelli di scuola della biblioteca comunale della parrocchia.
Mi aveva confidato: ‘Vengo dal nulla. Da una famiglia poverissima e ho fatto studi poco più delle elementari. Avevo un sogno, però, quello di diventare uno scrittore. I miei libri… Sì, sono stato fortunato…’.
Lo scoppio della guerra, arruolatosi in marina, nella contraerea a Derna sulla Quarta Sponda – il suo primo libro I giorni di El Alamein ne è vivida testimonianza -, poi negli uffici delle intercettazioni a Roma. Il 25 luglio prima, l’8 settembre poi.
‘La sera dell’8 settembre, il comunicato – abbiamo chiesto l’armistizio senza condizioni ed è stato accettato – da quel momento nella stanza delle intercettazioni, un grande salone, ci saranno state cinquanta-sessanta telescriventi che comunicavano con i comandi, le navi, i porti… dopo pochi minuti che l’EIAR ha trasmesso la notizia dell’armistizio, questi apparecchi cominciano a ticchettare… un’ossessione… tutti insieme, chiedevano che cosa dovevano fare… nessuno rispondeva perché nessuno sapeva più che cosa dire…’.
La Repubblica Sociale. Da Viadana, dove è tornato fortunosamente, prende un treno, direzione La Spezia, e si arruola nella X Mas. Corrispondente di guerra sul fronte di Anzio, a Verona con i bersaglieri del btg. Mameli, ovunque sia necessario raccontare di quei giovani e giovanissimi che si sono ribellati alla vergogna, al disonore al tradimento… Poi il crollo, la fine.
Il 25 aprile è in una stanza d’albergo a Milano. Attende. Intuisce che verranno a prenderlo. Due ragazzini con le armi spianate, un furgoncino, l’esecuzione annunciata. Il caso o il destino? Il più grande è di Viadana, suo padre, caduto in Russia, è stato suo amico. E’ la sua salvezza. Lo portano a San Vittore, in quella sorta di bolgia dantesca ove sono raccolti in tanti, pigiati in celle sporche, con i pidocchi, il bugliolo che trasuda escrementi, il cibo dove spesso i partigiani ci orinano dentro.
Si sentirono delle raffiche, in lontananza. Erano raffiche corte, che si ripeterono dopo brevi silenzi.
– Cosa succederà fuori? – disse Vito.
–Uccidono i nostri – risposi. – Me l’ha detto l’avvocato. Volevo tacere, non dirvi nulla. Li trovano, il mattino, sui marciapiedi delle strade, dentro le fabbriche, lungo i fossati -.
Il ritorno a casa, un capo partigiano che lo invita ad andarsene, per evitare guai a sé e alla famiglia. Roma che accoglie, in quei tempi malvagi, decine di migliaia di ‘esuli in patria’. Il giornalismo, a Il meridiano d’Italia e responsabile della terza pagina de Il secolo. I libri…
Quando scompare una persona a noi cara, accanto al dolore si accavallano ricordi immagini sensazioni esperienze di vita vissuta e condivisa. Le brevi passeggiate nei pressi di Fontana di Trevi, il tavolino del bar all’angolo per una tazza di tè, le conversazioni, la viva memoria, il tono garbato e, al contempo, la costante rivendicazione delle scelte fatte. Quella dignità già, un valore obsoleto forse oggi, che aveva spinto lui e tanti altri a decidere, pur consapevoli dell’imminente, inesorabile sconfitta, di collocarsi dalla ‘parte sbagliata’ perché sovente vale la pena stare con il ‘male assoluto’ che con un ‘bene’(!) insipido facile cialtrone…
Ugo è morto quattro giorni prima della ricorrenza dell’8 settembre. Una sfida, se si vuole. Il suo estremo, disperato e fiero, ‘no!’.
Ne La memoria bruciata Mario Castellacci, l’autore della canzone Le donne non ci vogliono più bene, scrive: ‘Su tutte le cose aleggia il colore grigio della vergogna’, riferendosi alle scene di quell’8 settembre a Roma. Scrive Mishima Yukio ne La voce degli spiriti eroici: ‘Il governo dell’Imperatore fu tinto da rosso sangue fino al termine della guerra; successivamente iniziò l’epoca del grigio cenere’.
A noi piacciono i colori forti, ad esempio, il nero della camicia, il rosso del sangue, il bianco delle cime…
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