Marco Tagliaferri è il nome di un pittore che non esiste, che non è mai esistito, se non nell’immaginario fantastico di un romanzo intitolato “Il Segno del Comando”. dunque il “mitico” Tagliaferri è in realtà l’epitome di ciò che vogliamo analizzare, ovvero che un’Arte senza Mistero non è Arte. Egli dunque incarna il modello dell’Artista che penetra e convive con il Mistero.
Pochi campi come l’arte pittorica sono infatti altrettanto colmi di ombre e segreti. Misteri che a volte sono e restano tali perché impossibili a divenire manifesti; oppure altri, più lievi, il cui velo viene sollevato dagli storici del campo dopo uno studio accurato.
Abbiamo esempi a tutti noti, mentre altri ancora attendono una luce radente che li illumini per un breve tratto, risollevandoli dalle polverose tenebre dei musei o delle chiese dove sono custoditi.
Ne valga uno per tanti, estremamente conosciuto anche se troppo e male: “L’ultima cena” di Leonardo.
L’affresco nel refettorio dipinto dal Maestro di Vinci è stato soggetto a numerosi danni durante i secoli, i più gravi nel nostro ultimo scorso, prima sotto i bombardamenti poi martoriato dalla burocrazia dei restauratori, smembrato, e infine divorato dai “dotti” contemporanei fino agli scrittorucoli d’oltreoceano in cerca di pruriginose vicende tra Cristo e Maria di Magdala.
Eppure sarebbe bastato un minimo di cultura, non necessariamente simbolica e tradizionale, sarebbe stato sufficiente leggere il Vangelo per evitare di scrivere certe sciocchezze.
L’iconografia della Coena Domini è semplice, perfetta, nel suo rigore assoluto, non ci sono enigmi con Giovanni che diventa Maria Maddalena, non ci sono intrecci ideali che formano strani simboli parafemministi ante litteram.
Vi è, au contraire, nell’affresco di Messer Leonardo, tutta l’assoluta competenza metafisica e spirituale di un simile intelletto che riuscì così a far coincidere il messaggio cristiano con il sogno neoplatonico.
Una struttura semplice dunque: Gesù, il Cristo, il Figlio Unigenito di Dio, è posto come axis mundi al centro del Cosmo che è la sala stessa ove si svolge il Rito Pasquale e intorno a lui ruotano i Dodici Mondi rappresentati dagli Apostoli.
Troppo lungo sarebbe, in questa sede, analizzare le strutture geometriche che costruiscono tutto l’edificio pittorico, ma che sono il messaggio “ermetico” che Leonardo ha racchiuso nell’opera e che proviene dalle remote leggi prima pitagoriche e poi cristiane. In quel “non luogo” atemporale, Cristo Rex et Sacerdos spezza il pane in eterno, mutando il Tempo in Spazio. Questo è il “Mistero” che Leonardo ha voluto rappresentare, in totale ossequienza alla Tradizione. Alla Chiesa Cattolica Apostolica Romana e ad una Tradizione Universale che riconosce in Gesù Cristo l’Unico Dio.
Giovanni, il discepolo preferito dal Signore, che è il depositario della Sapienza Ermetica di Gesù, diventerà il Presbitero Giovanni, il Prete Gianni delle leggende del Medio Evo, e a sua volta ama il Signore di Amore vero, purissimo ed assoluto perché in lui vede il Padre e ne comprende l’Infinità dello Spirito. E Giovanni di Patmos è giovane e bellissimo come una fanciulla in quanto in lui si verifica quella Coincidentia Oppositorum che è l’Androgino Universale, la figura dipinta nella quale alcuni si ostinano pervicacemente a volervi vedere Maryam di Magdala.
Ma è alla Maddalena che il Cristo Glorioso, risorto, si presenterà per primo, prima ancora che al discepolo prediletto e a tutti gli altri apostoli, di lì a tre giorni. Questo adombra certo che a tale donna è stato lasciato un legato segreto, iniziatico, ma che nulla ha a che vedere con linee di sangue reali e merovinge.
La cena è per i dodici prescelti. Anche per Giuda è la cena.
Nessun mistero allora? No al contrario, molti misteri, concentrici gli uni agli altri, ma non certo quei deliri che si sono voluti distribuire a un pubblico ignorante e facilone, bramoso di pettegolezzi da trivio con romanzi e film costruiti secondo un preciso progetto distruttivo per tacere dei programmi televisivi a carattere “esoterico”.
Quella di Leonardo è una composizione originale anche se inserita nel solco della tradizione iconografica: gli apostoli sono divisi a gruppi di tre; discutono del Cristo e nel contempo ne sono distanti. Gesù è già solo.
Alla sua destra e alla sua sinistra esiste soltanto il limpido cielo prefigurazione dei Cieli.
L’Iscariota poi non sta dall’altra parte del tavolo, ma insieme con gli altri suoi confratelli, isolandosi da loro grazie a una torsione del busto, si distacca così, come a prendere le distanze da tutti nell’illusione egotica di essere lui “il solo”.
L’armonia, l’indagine “psicologica”, la raffigurazione delle espressioni e dei caratteri che compongono il Cenacolo sono il vero Grande Mistero in esso contenuto, il Graal che è presente senza essere stato dipinto, perché Cristo stesso è il Graal.
Eppure i misteri nei dipinti esistono, eccome!
Non pensiamo alle nubi o alle comete fiammeggianti dove altri visionari poco vedenti hanno voluto individuare navi spaziali o insoliti velivoli anacronistici.
Basti porre il pensiero alle opere di Paolo Uccello, al secolo Paolo di Dono, che dipinse una delle più insolite opere dell’autunno del Medio Evo: la “Battaglia di San Romano”.
Il dipinto riproduce un episodio storicamente avvenuto, ovvero la vittoria dei fiorentini sui senesi ed è composto di tre pannelli dei quali uno al Louvre, il secondo è da noi agli Uffizi e il terzo alla National Gallery di Londra. Chiunque osservi la scena dello scontro non può sottrarsi al sottile senso di straniamento che l’opera induce e non avvertire che la scena ivi rappresentata sia a dir poco irreale con i suoi cavalli scarlatti e azzurri nell’immobilità gelida di una battaglia che sembra bloccata da un incantesimo. Cavalieri d’ombra e senza volto ci fanno pensare ad armature vuote animate per magia, mentre ogni cosa illuminata a giorno è posta in un mondo crepuscolare , come in un sogno. Ed il sogno è Mistero.
Lasciamo da parte alcune discutibili, quando non risibili, interpretazioni di danse macabre dove si vuole trovare, a tutti i costi, l’operato demoniaco o un criptico messaggio di denuncia contro la Chiesa di allora!
O ancora il pensiero corre al cinquecentesco pittore che fu amico di scorribande di Benvenuto Cellini: il Rosso Fiorentino.
Nella “Deposizione” di Sansepolcro, dipinta appunto dal Rosso, assieme al Cristo esiste un personaggio del quale i Vangeli non fanno accenno. Eppure è lì, immobile ed estraneo, creatura indecifrabile, demoniaca, dal viso simiano che osserva la scena con un inquietante sogghigno.
Chi, o cosa, è costui? Mistero. Il misterium iniquitatis che adombra la vita del Cristo e si manifesta nel deserto e nelle ultime ore della sua passione. È forse colui che ha molti nomi, uno dei quali “scimmia di Dio”? Il “Plagiario”? Prima di Rosso Fiorentino soltanto Hieronymus Bosch aveva osato tanto, raffigurando ben due volte il “Re di questo mondo” che guata il “Re del Mondo”. Ecco che ancora una volta il Mistero è ciò che rimane.
Già il Vasari scriveva che Rosso dipingeva “con leggiadra maniera e terribilità cose stravaganti”.
Il “codice” del Mistero lo ritroviamo nelle tavole di Bosch, in così grande copia che centinaia di libri sul tema non lo esaurirebbero, poi nelle opere di Brueghel, di Petrus Christus e di Van Eyck. Bosch e Van Eyck due artisti che sono Il Mistero stesso. Come Marco Tagliaferri il loro nome è leggenda, ma a differenza del pittore romano loro sono realmente esistiti.
E ancora Albrecht Dürer, il già nominato Cellini e Sebastiano Dal Piombo, Giorgione e molti altri fino a un Gustave Moureau o un Edward Burne Jones hanno fatto del Mistero la cifra cabalistica che permette di comprendere le loro opere.
Non basterebbe un’intera summa enciclopedica per ricordare tutti gli Artisti che hanno lasciato una traccia di colore con i loro pennelli nel campo affascinante del Mistero, quello altissimo e perennemente da ricercarsi nelle cattedrali gotiche, scolpito nei rosoni e tra le guglie, si annida leggero sui pavimenti cosmateschi delle nostre basiliche, giocando a nascondino tra i marmi e le pietre dure. Esso chiama ed affascina, ma avvicinarlo è “periglioso” perché dal suo contatto non si può far ritorno immutati in quanto le opere d’arte sono spesso “porte” verso altri mondi, vie che conducono “altrove” coloro che non hanno paura di compiere un balzo di là dal dipinto con uno slancio del cuore e della mente. Il Mistero nell’Arte è come il volto gorgoneo che pietrifica chi non sa come guardarlo, il soffio ardente del Drago posto a custodia del “Vello d’oro”.
Perché tutto intorno a chi sa ben vedere, tutto in questa nostra vita quotidiana che troppo spesso lasciamo scorrere e fuggire via senza viverla, nascosto nei particolari, mimetizzato tra infiniti dettagli dentro altri dettagli, reca l’ineffabile ma splendente sigillo del Mistero di Dio.