La NATO – Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico – ha certamente avuto un ruolo importantissimo quando il mondo cosiddetto libero doveva fronteggiare l’espansionismo comunista (ma non era stato il mondo cosiddetto libero a regalare mezza Europa alla Russia?). Ha invece cessato di avere un ruolo quando il comunismo è finito, quando l’Unione Sovietica si è sciolta, quando è caduto il muro di Berlino.
In verità, la NATO avrebbe potuto mantenere una propria ragione di vita, sol che si fosse data nuovi obiettivi, in linea con le esigenze di difesa dei suoi membri. Preso atto che non esisteva più un pericolo sovietico – dunque – avrebbe dovuto attrezzarsi per contrastare il nuovo nemico che si profilava all’orizzonte, cioè un fondamentalismo musulmano che – era chiaro fin dall’inizio – aveva come obiettivo l’espansione dell’Islam a nord (verso l’Europa mediterranea) e a sud (verso l’Africa subsahariana). L’America settentrionale – uno dei due poli del complesso geopolitico del Nord Atlantico – era chiaramente al riparo dai pericoli del dopo-muro-di-Berlino, dovendo fronteggiare la sola minaccia di uno ius soli concesso talora con troppa superficialità.
Era chiaramente l’altra riva atlantica, quella europea, ad essere pesantemente minacciata, e quindi una ipotizzabile nuova NATO post-comunista avrebbe dovuto – necessariamente – essere riprogrammata in chiave eurocentrica.
Invece è avvenuto l’esatto contrario, talché la NATO di oggi è chiaramente una sovrastruttura coloniale degli Stati Uniti, strumento della loro politica aggressivamente espansionista (parlo naturalmente di espansione economica) e degli interessi dei suoi alleati mediorientali (Israele, Turchia, Arabia Saudita e vari satelliti petroliferi). Interessi – questi – che non coincidono assolutamente con quelli degli alleati europei degli USA e che, anzi, sono del tutto contrastanti. Si pensi all’interesse di Israele a ridisegnare le frontiere del Medio Oriente (con gli inevitabili effetti collaterali, migrazioni comprese); si pensi all’interesse della Turchia ad assumere un ruolo egemone nell’area (a danno dell’Iran e della Russia); si pensi, soprattutto, all’interesse dell’Arabia Saudita a diffondere in tutto il mondo islamico – a suon di petrodollari – la sua visione rigorista dell’integralismo sunnita (il wahabismo), in contrasto con le tendenze del mondo musulmano non ostili all’Europa (laici, sunniti-moderati, sciiti).
Dalla fine dell’Unione Sovietica in poi, la NATO – direttamente o tramite “coalizioni” fiancheggiatrici – ha quindi svolto una politica nettamente contraria agli interessi dell’Europa, osteggiando una Russia non più nemica, aggredendo i regimi arabi filoeuropei e, soprattutto, non contrastando adeguatamente una entità pericolosissima – l’ISIS – che si giova di misteriosi finanziamenti miliardari e che vuol creare un vero e proprio Stato terrorista, mettendo insieme un pezzo di Iraq e un pezzo di Siria; per tacere delle “province separate” del Califfato, in Libia, in Nigeria e altrove.
Dopo avere distrutto i due paesi che facevano da “tappo” contro il dilagare dello jihadismo (l’Iraq di Saddam Hussein e la Libia di Gheddafi), i brillanti strateghi della NATO e/o degli USA (non fa differenza) hanno preso di mira la Siria di Assad, altra nazione retta da un regime laico-nazionalista amico dell’Europa, con la scusa che tale regime fosse una dittatura. E i governanti europei hanno mostrato di crederci, fingendo di ignorare che in Medio Oriente quasi tutte le nazioni sono rette da sistemi fortemente autoritari: monarchie assolute, dittature dichiarate, o quasi-dittature malamente mimetizzate. La democrazia parlamentare di matrice anglosassone, infatti, non è un sistema di governo universale, ma limitato – praticamente – al solo “nord del mondo”: Europa, Stati Uniti, ex dominions britannici, più il Giappone (perché costretto alla democrazia dal trattato di pace), Israele e pochi altri. Immaginatevi, dunque, cosa succederebbe se questi Paesi decidessero veramente di “esportare” la democrazia nel resto del mondo: una guerra continua, lunga secoli e causa di sconvolgimenti inimmaginabili.
Così, in realtà, non è mai stato. Anzi, più certi Stati hanno dichiarato di voler fare guerre per “difendere la democrazia”, più questi Stati hanno agito per scopi mercantilistici di basso profilo. Incominciando dall’intervento degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale: ufficialmente giustificato da nobilissimi ideali, ma nei fatti diretto ad assicurar loro il libero accesso ai mercati europei. Da allora è stato un continuum di “arrivano i nostri” (dalla Seconda guerra mondiale al Vietnam, dalla Somalia all’Iraq), fino alle ultime “perle”: la distruzione della Libia, la sanguinosa provocazione anti-russa in Ukraina e la sporca guerra contro la Siria, condotta in oggettiva comunanza d’intenti da un “esercito di liberazione” organizzato dalla CIA e dai tagliagole dell’ISIS.
Poi c’è stato il minuetto della guerra contro il Califfato in Siria e in Iraq. Una guerra che, se fosse stata condotta come si conviene, avrebbe risolto radicalmente la questione in pochi mesi. Invece non ha risolto un bel niente; o, forse, è stata addirittura un paravento per mascherare azioni anti-Assad (e quindi più o meno volutamente pro-ISIS). Fatto sta che, da quando sono iniziate le operazioni della “coalizione” a guida americana, l’esercito del Califfato ha guadagnato terreno, mentre sono venuti fuori alcuni fatti molto strani. Come quello delle “regole d’ingaggio” che praticamente impediscono ai piloti USA di intervenire in modo efficace e tempestivo contro i reparti del cosiddetto Stato Islamico.
Alla fine, quando è stato chiaro che l’ISIS non sarebbe stato fermato, Putin ha rotto gli indugi ed ha deciso di intervenire direttamente nel conflitto. Sùbito si sono levati i lamenti della NATO, allarmata perché l’intervento della Russia in Siria minacciava di “destabilizzare” la situazione. Quale situazione avrebbe potuto mai destabilizzare? Quella della strada spianata all’ISIS per portare la guerra fino alle frontiere dell’Europa? E, poi, con quale coraggio parlano di destabilizzazione proprio loro, americani e soci, responsabili diretti o indiretti del caos in cui è caduto l’intero Medio Oriente e il Nordafrica, responsabili delle guerre, delle distruzioni e – non ultimo – dell’ondata migratoria che è una bomba a orologeria piazzata nel cuore dell’Europa?
Ben venga Putin, dunque. Vedrete che la pratica ISIS la sbrigherà lui, e che – dopo – anche gli americani saranno costretti a fare qualcosina in più. Nelle more, sarebbe opportuno che avessero almeno il buon gusto di tacere i responsabili di quella politica disastrosa, dissennata, cieca, surreale che ha causato la distruzione del Medio Oriente e messo in pericolo la sicurezza degli stessi Stati europei.
In tutto ciò, desta stupore la mastodontica esercitazione NATO Trident Juncture, che è iniziata in questi giorni (e che durerà fino a novembre), annunziata con grandi squilli di tromba come «la più grande esercitazione della NATO dalla fine della guerra fredda». Una pacchiana esibizione di muscoli che, chiaramente, vorrebbe intimidire Putin. Gli europei partecipano con entusiasmo, contenti di spendere un patrimonio per giocare ai soldatini insieme agli americani. Un patrimonio, perché la NATO (e le sue esercitazioni) non la pagano gli americani, ma tutti i suoi membri. Gli americani hanno una sola prerogativa in più: danno gli ordini. Gli europei, invece, obbediscono. E pagano. Perché – come ha detto Obama in tour pro-F35 – «la libertà non è gratis».
A proposito: quanto costerà ad ogni singolo Stato-membro questo spropositato sberleffo a Putin? Non si sa, perché il costo della maxi-esercitazione è rigorosamente segreto.
E, mentre siamo in tema di soldini, ecco un’altra notizia underground, di quelle che si conoscono ma che non è “politicamente corretto” far sapere al grande pubblico: l’ex Segretario generale della NATO, il danese Anders Fogh Rasmussen, è stato assunto dalla Goldman Sachs, la “madre di tutte le banche d’affari” americane, in passato datrice di lavoro – fra gli altri – dell’attuale governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi. Quali i punti di contatto – si chiederanno i lettori – tra la sfera militare e quella finanziaria? Ci sono, ci sono questi punti di contatto. E ne avremo conferma fra qualche mese, probabilmente in Libia.
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