Riprendiamo il nostro discorso sulle origini. Forse è il caso di ripartire da una precisazione che sembrerà ovvia: questa Ahnenerbe non ha a sua disposizione i mezzi che aveva la Ahnenerbe del Terzo Reich, è un lavoro fatto non solamente da un’unica persona, ma una persona che per gran parte del tempo deve dedicarsi ad altre cose per procurarsi i mezzi per sopravvivere e mantenere la propria famiglia. Si tratta di un lavoro, come è facile da capire, molto vincolato a quel che fornisce il web; eppure, scavando con attenzione, come abbiamo visto, quel che salta fuori è davvero notevole, e ogni volta si aggiunge nuovo materiale. Ars longa, vita brevis, dicevano gli antichi: la vita umana è necessariamente limitata nello spazio e nel tempo, mentre il cammino della conoscenza sembra non avere mai fine, e la conoscenza di noi stessi sembra non essere un argomento più facile dello studio delle particelle elementari o delle lontane galassie. Ci rimettiamo quindi all’opera con umiltà, ma anche con volontà e la speranza di raggiungere risultati significativi che non siano pura erudizione ma ci aiutino a orizzontarci nel tempo presente.
Cominciamo con il citare una ricerca molto interessante pubblicata da Francesco Tartarini nel gruppo facebook “Etnografia, glottologia, genetica ed europeistica” in data 27 settembre 2015. Una ricerca, lo dico subito, che a mio parere meriterebbe di essere pubblicata non su un gruppo facebook, ma su di una rivista scientifica di prestigio (questo sempre nell’ipotesi che certi argomenti fossero posti nella giusta luce invece di essere più o meno tabù, cioè se non vivessimo in una democrazia che vuole la gente sempre più ignorante e incapace di pensare): sembrerebbe esistere una forte correlazione fra gli aplogruppi umani e i gruppi linguistici.
Gli aplogruppi sono i diversi gruppi umani caratterizzati ciascuno da una propria mutazione del DNA del cromosoma Y.
E’ forse il caso di ricordare che, dato che il genoma umano è enormemente complesso, come quello di quasi tutti gli esseri viventi eccetto i batteri, i ricercatori preferiscono studiare gli aplogruppi del cromosoma Y che si trasmette esclusivamente per via paterna oppure il DNA mitocondriale che si trasmette esclusivamente per via materna.
Un altro concetto importante da tenere presente è quello di gradiente. Se noi prendiamo un qualsiasi gruppo umano abbastanza ampio, vi troveremo un campionario praticamente di tutto il genoma umano, ed è di ciò che gli “studiosi” democratici e antifascisti (che per la verità trovano solo quello che cercano) si servono per negare l’esistenza delle razze, ma noi dobbiamo appunto tenere presente il concetto di gradiente, cioè la differenza di diffusione di un dato gene o carattere nelle diverse comunità umane: se un dato gene è diffuso nel 99% della popolazione A e presente solo nell’1% della popolazione B, è legittimo dire che è tipico della popolazione A.
L’elenco delle correlazioni fra aplogruppi e gruppi linguistici tracciato da Tartarini è impressionante: L’aplogruppo N corrisponde alle lingue del ceppo uralico, quello H alle lingue dravidiche (India meridionale), HG Q all’amerindio (Americhe), HG G al khartvelico (Anatolia, Caucaso), HG J all’afroasiatico (popolazioni semitiche e camitiche) e l’aplogruppo R alla diffusione delle lingue indoeuropee (fra le varie mappe riportate, riprendo nell’intestazione di questo articolo quella relativa all’aplogruppo R indoeuropeo). L’elenco non è completo, infatti non ci dice nulla dell’estremo oriente né degli aborigeni australiani, tuttavia per quanto riguarda gli esempi portati, estremamente persuasivo.
Cosa significa questa evidente correlazione tra aplogruppi e gruppi linguistici? Se vi ricordate, vi avevo già accennato a un’ammissione di Luigi Luca Cavalli Sforza circa la “sorprendente” somiglianza tra l’albero genealogico delle lingue umane e quello costruito sulla base della genetica.
Perché sorprendente? Questo ci apre uno spiraglio sulla mentalità democratica, sul suo “pensare” le culture su un’assenza di correlazione fra cultura e genetica, con il genoma sparso a casaccio in tutte le culture umane che dipenderebbero esclusivamente da fattori genetici-acquisiti; un’assurda aspettativa di multietnicità di tutte le società umane, viste secondo il “modello” oggi rappresentato dagli USA e di ciò che vogliono far diventare l’Europa, salvo ammettere a malincuore che le cose non sono così, salvo dover ammettere che “Etnia e razza sono praticamente la stessa cosa” (la frase è sempre di Cavalli Sforza), il che ci permette di buttare senza problemi nel bidone delle immondizie che meritano, decenni di speculazioni dell’ “antropologia culturale” di Claude Levi Strauss e discepoli, intesa a persuaderci che l’etnia dipende esclusivamente da fattori culturali-ambientali-acquisiti e non ha nulla a che fare con genetica e razza.
Come si spiega questa coincidenza fra lingua e affinità/differenza genetica? E’ probabile che la differenza linguistica fra due comunità umane geograficamente vicine costituisca un ostacolo allo scambio genetico come se si trattasse di un ostacolo fisico (il che non significa, ovviamente, un impedimento totale), e questo è in ultima analisi il motivo per cui la lingua è un buon indicatore – non assoluto, però – della nazionalità.
Qui vediamo l’influenza di un fattore culturale, la lingua, sulla genetica. All’errore dei democratici e antifascisti che vorrebbero negare ogni importanza alla genetica, ai fattori ereditari, noi non dobbiamo reagire, io penso, con l’errore opposto e simmetrico di negare ogni importanza alla cultura, anche se a volte la tentazione sarebbe forte, ma con l’obiettività e l’intelligenza.
Ciò che fa di noi ciò che noi siamo, è un equilibrio di fattori genetici, culturali e ambientali o, detto in altre parole SANGUE, SUOLO E SPIRITO, più che il semplice dato biologico inteso in senso materialistico, anche se rimane prioritaria l’eredità genetica, il “buon sangue” che “non mente”. Tutte le società del passato sono state caratterizzate dall’equilibrio fra eredità biologica, “ghenos”, cultura e collocazione geografica, sangue, suolo e spirito, ed è precisamente questo equilibrio, questa armonia che la moderna democrazia (DEMONIOcrazia l’ha definita qualcuno) cosmopolita e mondialista sta distruggendo per lasciare un mondo di sradicati ridotti al livello animico e alla consapevolezza di sé più bassi possibile.
Noi oggi stiamo subendo le conseguenze della vittoria della democrazia, cioè del TRIONFO DEL MALE nella seconda guerra mondiale, conseguenze che il lungo stallo della Guerra Fredda ha tenute in sospeso per mezzo secolo, con il potere mondialista che favorisce e IMPONE l’immigrazione al preciso scopo di cancellare i popoli europei, perché deve essere chiaro che nel 1945 non è stata sconfitta l’Asse ma l’Europa, comprese le potenze europee uscite teoricamente vincitrici.
LA PROPAGANDA DI REGIME della democrazia, votata alla distruzione dei popoli che la subiscono e dove la cosiddetta libertà di espressione è una menzogna ridicola, fa di tutto per “indorare la pillola”, per persuaderci alla rassegnazione al destino di morte che ci hanno preparato. Un articolo de “Il primato nazionale” del 17 settembre fa il punto su quello che possiamo chiamare il RAZZISMO DI REGIME, inteso a non soltanto a indurci a uno spirito di rassegnazione, ma a convincerci della desiderabilità della nostra sparizione come etnia attraverso il meticciato, presentando i cosiddetti migranti come la nuova “razza superiore”; questo testo fa riferimento a un pezzo de “L’Espresso” (e te pareva!) intitolato I figli degli immigrati? Tra i più bravi a scuola! Questa idiozia di regime, a sua volta fa riferimento a una “ricerca” della fondazione ISMU, “Istituto per lo Studio della Multietnicità”, e già pensare che una fondazione siffatta non sia affetta da pregiudizi xenofili equivale all’aspettativa di vedere gli asini spiccare il volo.
Disgrazia vuole che io sia un insegnante e la situazione della nostra scuola la conosca molto bene, lavorando per di più in una scuola con un’alta percentuale di figli di immigrati. “Immigrati”, naturalmente, è un termine molto generico. La mia esperienza mi ha permesso di constatare che ragazzi di origine polacca, ucraina o serba, una volta superato l’ostacolo della lingua, in genere, si inseriscono senza problemi e hanno rendimenti scolastici in linea con quelli dei loro coetanei italiani. Al contrario, neri, colombiani, magrebini sono REGOLARMENTE soggetti problematici, sia per il profitto sia per la disciplina; frequentemente sono portatori di ritardo mentale, dislessia o (la nuova grande trovata del nostro ministero della pubblica istruzione) affetti da BES (Bisogni Educativi Speciali), hanno quindi accesso a una corsia privilegiata che permette loro l’accesso senza sforzo al diploma o all’attestato di frequenza. Figli di immigrati, adottati o anche figli di coppie miste, in genere non fa molta differenza.
In più, c’è quello che io chiamerei l’effetto Prentice, con riferimento al dottor Prentice, il personaggio di colore di Indovina chi viene a cena, che confessa candidamente il fatto di essere stato molto aiutato nella sua carriera, di essere stato costantemente sopravvalutato per il fatto che tantissime persone si erano astenute dal pronunciare giudizi negativi su di lui per la paura di sembrare razziste, un effetto Prentice che nella scuola italiana SUCCUBE DELLA SINISTRA risulta particolarmente amplificato. Si tratta, in sostanza di una forma di RAZZISMO ANTI-BIANCO.
Ecco spiegata la deformazione statistica che sta alla base dei dati della “ricerca” dell’ISMU, che in effetti danno un quadro che è l’esatto contrario della realtà.
Altre statistiche provenienti da fonti meno prevenute ci danno un quadro ben diverso: il 50% di tutti i reati che avvengono in Italia sono commessi da immigrati, e dato che costoro costituiscono attualmente circa il 5% della popolazione residente, questo vuol dire una propensione a delinquere dieci volte maggiore rispetto agli Italiani nativi. Parliamo di alcune categorie di reati. Gli extracomunitari sono responsabili dell’80% degli stupri, e non parliamo dello spaccio di stupefacenti, dove detengono un monopolio quasi assoluto.
A smentire le FARNETICAZIONI DI REGIME riprese da altri organi di disinformazione, (“La Stampa” dopo “l’Espresso” secondo la prassi dittatoriale della nostra sedicente democrazia), nemmeno a farlo apposta, il giorno dopo, 18 settembre, pubblicata su “Riscatto nazionale” è arrivata una ricerca dell’associazione tedesca di psichiatria “Dietrich Munz” che rivela che il 40% degli immigrati soffre di turbe psichiche che possono indurre a comportamenti violenti (vi ricordate di Kabobo? Non è stato e non sarà il solo).
In compenso, c’è almeno una categoria di reati che è esclusivamente nostra e che gli extracomunitari non commetteranno mai, i reati di opinione, perché in un sistema oppressivo come la nostra cosiddetta democrazia, DIRE LA VERITA’ E’ UN REATO.
Parliamo di un ordine di fatti che a prima vista può sembrare lontano da tutto ciò. Voi probabilmente saprete che negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi intesi a collegare certi comportamenti a determinate aree del cervello, creando una serie di connessioni sempre più dirette fra psicologia e fisiologia del sistema nervoso centrale. Proprio ultimamente, uno dei miei corrispondenti (a cui devo sempre riconoscere un grande merito, perché senza di loro questa rubrica probabilmente non esisterebbe) mi ha segnalato un articolo apparso su VoxNews in data 27 agosto, Una spiegazione biologica al buonismo, che riferisce di una ricerca condotta dalla dottoressa Shelley Taylor dell’Università di Los Angeles.
La capacità di distinguere gli appartenenti al nostro gruppo, “i nostri” dagli estranei, verso i quali è sempre bene mantenere la diffidenza perché potrebbero essere anche malintenzionati, è un carattere essenziale per la sopravvivenza che si è evoluto nella specie umana. La ricerca della dottoressa Taylor collega questa capacità con un’area del cervello nota come insula anteriore. Quest’area tende a degenerare negli anziani, e questo potrebbe darci una spiegazione biologica dal fatto che le persone anziane tendono così facilmente a essere vittime di truffe da parte di malintenzionati che riescono a carpire la loro fiducia con raggiri di varia natura.
Questo però non è tutto: esiste una vera e propria patologia psichiatrica, la sindrome di Willis, nella quale si verificherebbe una degenerazione precoce dell’insula anteriore. Le persone che ne sono affette sono incapaci di distinguere i familiari dagli estranei. Le cause di questa sindrome non sono chiare, ma sembra che possano essere ricondotte alla diffusione nell’ambiente dei pesticidi e/o all’inquinamento elettromagnetico.
Il buonismo esasperato di tanti sinistrorsi, non solo l’incapacità di distinguere fra “i nostri” e gli stranieri, ma la preferenza accordata a questi ultimi a discapito dei propri connazionali, potrebbe essere una variante della sindrome di Willis. L’articolo presenta un accattivante raffronto fra le caratteristiche fisiognomiche tipiche della sindrome e quelle di un noto esponente xenofilo. Si tratta di una spiegazione degna di interesse ma sulla quale non giurerei. In ogni caso, il risultato non cambia. Che l’esasperata xenofilia che caratterizza i democratici-cristiani-marxisti-antifascisti sia dovuta a una patologia psichiatrica connessa a una degenerazione cerebrale, o sia esclusivamente il risultato delle lenti deformanti culturali cristiane e marxiste, siamo ugualmente nel campo della patologia del pensiero.
A noi, in ogni caso, che sappiamo bene che dalle predicazioni bugiarde del “Discorso della Montagna” e del rabbino di Treviri (in arte Karl Marx) non possono scaturire altro che disastri, spetta l’onere di difendere il futuro nostro e dei nostri figli e nipoti.
In questi giorni, precisamente il 9 ottobre, il nostro infaticabile Luigi Leonini mi segnala un articolo di Maurizio Blondet anch’esso riguardante la genetica, pubblicato il 13 gennaio 2014 sul sito Effe DiEffe: Nel DNA c’è una seconda lingua (fermate Monsanto).
La scoperta è importante ma forse non così sorprendente come sembrerebbe a prima vista, da molto tempo si sospettava che esistesse, per così dire, un doppio livello nel DNA: tutte le cellule di un organismo hanno lo stesso DNA che decide se questo organismo è un uomo o una cavalletta, una primula o una sequoia, ma ci dev’essere oltre a ciò “qualcos’altro” che dice ad alcune cellule embrionali di diventare ossa, muscoli, pelle, polmoni o cervello, oppure tronco, radici, foglie, a seconda della specie.
Ora, sembra che questo “secondo livello”, i geni che regolano il funzionamento degli altri geni, sia stato individuato da un team di genetisti della University of Washington guidato dal professor John Stamatoyannopulos che ha commentato “Adesso sappiamo che quando leggevamo il genoma umano, ci perdevamo la metà del testo”.
Naturalmente, quel che interessa di più a Blondet (e a noi) non è tanto il dato strettamente scientifico, quanto le implicazioni socio-politiche che sottintende. Per prima cosa, un punto su cui Blondet ha pienamente ragione è il fatto che finora la complessità del DNA è stata enormemente sottovalutata, e coloro che si dedicano a manipolarlo nel finora lucroso esercizio dell’ingegneria genetica al servizio delle grosse multinazionali come Monsanto, sono apprendisti stregoni che giocano col fuoco, e potrebbero mettere in pericolo la vita su questo pianeta.
E’ tuttavia il solito discorso di sempre su Blondet; riesce a essere estremamente persuasivo finché non spunta fuori il cattolico creazionista; ovviamente, la scoperta viene usata per avanzare dubbi sulla teoria dell’evoluzione perché il DNA sarebbe “troppo complesso”, un vestito nuovo per un vecchio argomento che non tiene conto dell’effetto di miliardi di anni di selezione su innumerevoli miliardi di esistenze, quanto basta per spiegare qualsiasi complessità del vivente. Alla base c’è l’errore di ritenere l’evoluzionismo una cosa “di sinistra” come “i compagni” hanno sempre cercato di farci credere. Di sinistra il concetto di selezione? Di sinistra la tendenza a preservare nelle generazioni future Il PROPRIO genoma in competizione con altri? Ma questo è l’esatto contrario di quel che la sinistra da sempre predica e vuol farci credere!
Da parte nostra si è sempre rimproverato ai “compagni” di accettare il darwinismo biologico e non quello sociale, ma accettare il darwinismo sociale e non quello biologico, l’inevitabile base naturalistica su cui esso si fonda, è un’incoerenza ancora maggiore.
Ancora più alla base, proprio al fondo di questo errore, c’è una menzogna raccontata dallo stesso Marx e da tutti accettata acriticamente, che il suo pseudo-socialismo, la concezione di sinistra sia “scientifica”; da qui la tendenza da parte nostra a reagire facendo appello a spiritualismi, vuoi cristiani, vuoi esoterici (magari l’islam come “ultima ratio”: Guenon, Mutti e Buttafuoco insegnano). Bene, è precisamente questo l’errore o la mistificazione. L’abbiamo visto più volte: dalla leggenda rousseauiana del “buon selvaggio” alla psicanalisi, all’antropologia culturale, e ovviamente il marxismo stesso, la “scienza si sinistra” di scientifico non ha niente, è solo fuffa, fumo negli occhi. Ci sono due fantasmi che percorrono la scienza biologica e che la sinistra non riesce a esorcizzare, quelli di Konrad Lorenz e di Robert Ardrey, la dura lezione della lotta per la vita, che è l’esatto contrario del buonismo sinistrorso, mentre è proprio quest’ultimo come inevitabile nemesi, a portare ai massacri della Vandea e ai gulag.
C’è anche un terzo fantasma, fuori dal campo scientifico ma che è ancora più difficile da esorcizzare e più coriaceo: è insensato negare il fatto della trasformazione delle specie viventi nel tempo, ma appiccicarci un giudizio di valore per cui essa debba necessariamente essere concepita come miglioramento, la confusione fra conoscenza ed etica, è un tipo vizio abramitico. La comparsa nel vivente di forme man mano più complesse, può ugualmente bene essere interpretata come il decadere sul piano materiale di forme superiori. Si, stiamo parlando proprio di lui, il barone Julius Evola, con cui dobbiamo fare i conti, e la fine del computo non uscirà di certo a favore del pensiero cristiano, o islamico, o abramitico in una qualsiasi forma.
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