18 Luglio 2024
Marzola

In principio erat “mithos”

Spiega Alain de Benoist nel suo saggio “L’Impero Interiore” che “mythos” e “logos” significano entrambi “parola” ma mentre il “Logos” può essere vero o falso il “mythos” supera le categorie della smentita e della conferma.
Il mito non è una favola meravigliosa priva di verità intrinseca ma piuttosto un racconto che ci svela il mondo nella sua totalità in forma allegorica e perciò stesso suscettibile di diversi livelli interpretativi e quindi anche esoterici. E’  il  paradigma  di  ogni  atto umano significativo.
Il mito, spiega poi Mircea Eliade, si richiama alle origini, al tempo favoloso degli inizi i quali sono due volte primi: in ordine di importanza e per successione cronologica.
La parola “arché” possiede infatti questo doppio significato nel quale antichità ed autorità procedono di pari passo: “arcaico” è ciò che comanda in virtù della sua antichità. Dunque rifarsi al “mito” significa ricongiungersi non già al “sorpassato” ma all’”insorpassabile”.
Con il cristianesimo il mito sfatato cioè ridotto a mera fantasia quando non addirittura confinato nel campo della menzogna.
Il dio della Bibbia si rivela storicamente e il mito viene sostituito da questa “storia sacra” che, a parte il monoteismo, in due punti fondamentali si distingue dalla tradizione mitologica classica.
Concezione non ciclica ma lineare della storia: il senso delle cose non proviene più dall’origine ma da al contrario da un avvenire completamente diverso da ciò che lo ha preceduto. La storia è un lungo cammino verso questo punto omega: Creazione, Peccato Originale, Rivelazione, Redenzione, Giudizio Universale, etc.;
Concezione non cosmica ma dualista: la divinità non è immanente al mondo perché questo è una creatura e quindi cessa di essere il luogo del sacro. La relazione non è più quella dell’uomo con la totalità ma una relazione con una divinità trascendente che associa dei soggetti ormai separati (anima individuale/salvezza individuale).L’uomo diventa estraneo al mondo ma contiguo all’”altro”. Il mondo è ormai diventato muto perché in quest’ottica solo la “rivelazione” acquista significato anche se è una “rivelazione” che si esprime per dogmi e comandamenti. La morale della Bibbia è infatti fondamentalmente induttiva. Essa deriva esclusivamente dalla volontà di Jahvé e dalle interdizioni da lui pronunziate laddove quella pagana era invece dedotta dallo spettacolo del mondo sensibile e dall’esperienza concreta in qualche modo recepita dalla teologia cattolica che si riappropria della speculazione classica.
La fede spontanea infine non può che essere riferita ad un dio ignoto più che ad un dio rivelato, il dio cioè che sentiamo in noi e intorno a noi e che amiamo profondamente e in modo disinteressato… l’altra fede è addomesticata e scaturisce spesso da mero utilitarismo.  (R.M.)

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