Stimiamo Marina Berlusconi per le sue capacità imprenditoriali e per il sostegno al padre Silvio, simile a Stefania Craxi, custode della memoria di Bettino. La sua intervista al Corriere della Sera, tuttavia, ci ha indotto a una riflessione sul concetto di libertà. E’ importante l’affermazione che sui temi “civili” (ovvero sui nuovi diritti individuali) Marina si sente più vicina alla sinistra. Nessuno stupore: è il destino della libertà liberale, il cui centro è la neutralità assiologica, ovvero l’idea di libertà sganciata da qualsiasi morale condivisa. Indifferenza che dà via libera alla volontà, al capriccio, al desiderio e alla pretesa soggettiva di “diritti” – prevalentemente sessuali e “riproduttivi” – sino a promuovere la manipolazione della vita al suo inizio, durante e alla fine.
È la carta d’identità dell’Occidente odierno, diviso tra liberali liberisti e libertari progressisti. Il grande partito unico di sistema, in cui la componente progressista detta la linea sui temi civili o “societali” e l’altra sulla gestione economica. Destra del denaro e sinistra dei costumi, la definizione di Jean Paul Michéa. È la posizione della figlia di Silvio e di parte della destra di sistema, ben felici che l’avversario “di classe” abbia abbandonato i temi sociali, la critica al capitalismo, l’avversione per il potere della finanza. Business as usual, affari come sempre, è l’unico vero slogan della libertà liberale. Di tutto il resto, dalla cultura al regno immateriale dello spirito sino alle questioni etiche e antropologiche, se ne occupi chi ha tempo da perdere. Nulla di nuovo: era l’invito del primo ministro francese François Guizot al tempo della monarchia liberale di Luigi Filippo, già nel 1840: arricchitevi!
Otto anni dopo vide la luce il manifesto comunista di Marx e Engels. Caino e Abele, figli dello stesso padre. C’è bisogno di fondare la nostra società – e la categoria di libertà – su presupposti diversi, che tengano conto dell’etica, della giustizia e della natura di creatura sociale dell’uomo. La libertà “da” è nemica della libertà “per”. Più coerentemente dei liberali liberisti, i loro concorrenti progressisti diffondono la libertà negativa, fondata sul primato della volontà soggettiva e del desiderio. Cambiano la società nell’indifferenza dell’altra parte, alla quale interessa che di ogni cosa, innovazione o ideale, si possa fare mercato. Lasciar fare, lasciar passare, con gli occhi fissi al portafogli.
Negli ultimi trent’anni sono state messe in ombra tutte le alternative, dal socialismo al collettivismo al cristianesimo sociale, al conservatorismo (tutt’altro che liberale) al cooperativismo e al solidarismo. Essenziale è che nessuno disturbi il manovratore, il potere del denaro. In cambio del disarmo ideale e morale, ogni dì vengono somministrate nuove razioni di “diritti” individuali, quasi sempre nell’ambito pulsionale. Freud sconfigge Marx e si riunisce con i cascami di Francoforte. Il “grande rifiuto “di Marcuse diventa riflusso nel privato, consenso alla società della “tolleranza repressiva”. La diga dell’etica e del bene comune è spazzata via dallo tsunami della competizione, dell’individualismo e dalla mistica dei “diritti”.
Ne è prova non soltanto Marina Berlusconi, ma l’azione del governo sui temi economici, finanziari e sociali, il completo assoggettamento all’agenda occidentalista, nonché il successo di personaggi come il pittoresco presidente argentino Javier Milei, il libertario (in economia) per eccellenza. Il riccioluto personaggio armato di motosega ha appena festeggiato la prima settimana di blocco dell’inflazione. Un successo: la cura dell’austerità a carico del popolo e dell’agonizzante piccola borghesia funziona. Peccato che, come in quell’operazione chirurgica tecnicamente riuscita, il paziente sia morto. Milei ha appena ricevuto un’onorificenza come campione della libertà da un’esponente politica spagnola, Isabel Ayuso, presidentessa della regione di Madrid, liberale, liberista e libertaria di ferro. Ebbene, della loro libertà non sappiamo che farcene; abbiamo il dovere di contrastarla, esattamente come la libertà negativa – liberazione “da” – dei vicini di fronte. Destra e sinistra di sistema con tutte le sfumature per accontentare il mercato politico in regime di monopolio.
Milei e Ayuso sono accomunati dalla frenetica esaltazione della libertà, evocata con maniacale insistenza. Questa invocazione della libertà come ideale assoluto, senza comprendere un “perché”, è un ambiguo slogan, oltreché un nonsenso, poiché la libertà non è un movimento, ma soltanto un poter muoversi; ciò che conta è verso dove, “per” che cosa. È la direzione del movimento a renderlo buono o cattivo; è l’oggetto della libertà che ne fa il dono più prezioso. Ma nella libertà neoliberale, il “verso dove” non viene mai menzionato. Si tratta di una libertà concepita come potere assoluto di autodeterminarsi, pura sovranità dell’individuo, indiscutibile volontà soggettiva. La libertà liberale invoca la “libertà di volere” hegeliana, che non discerne tra il bene e il male, guidata dal mero desiderio personale.
La Ayuso ha difeso il diritto delle minorenni ad abortire senza consenso dei genitori perché “non si può obbligare nessuno a una vita contraria a quella che ha desiderato”. Contemporaneamente sostiene l’obiezione di coscienza dei medici che non vogliono praticare aborti. Non coglie una contraddizione? Se ogni medico rifiutasse di praticare aborti, quale sarebbe la libertà prevalente? Ciò che difendono i libertari è una libertà fatta di desideri, senza valutazione della natura morale dell’oggetto. Per loro non esiste un bene e un male determinato razionalmente; chi governa deve garantire che ognuno possa fare tutto ciò che gli aggrada, senza giudicare il merito degli atti per non esercitare violenza sulla libertà individuale.
La libertà intesa come principio emancipativo che rende sovrani produce la richiesta di diritti sempre nuovi a carico di tutti, con gran dispetto del portafogli liberale. Tutti tendono a fare ciò che vogliono a spese di qualcun altro, trasformandosi in scimmie agitate, ansiose di “divertimento” e consumo. Una manna per le grandi forze economiche, sempre più libere di concentrare il denaro in poche mani. I progressisti, per suscitare il consenso di soggetti avidi di godimenti e condotte che non possono permettersi, li inebriano con la bandiera di una giustizia sociale svuotata di contenuto etico, promettendo sempre di più. Di fronte a questa libertà senza direzione ne esiste un’altra, oggi assai impopolare, la libertà come obbedienza al bene. Ne parla Leonardo Castellani, sacerdote e filosofo argentino (1899-1981). “L’uomo si libera dalla corruzione della carne obbedendo alla ragione, si libera dalla materia sottomettendosi al profilo adamantino di una forma, si libera dall’effimero legandosi a uno stile, dal capriccioso adattandosi agli usi. Si libera dalla sua sterilità solitaria obbedendo alla vita, e dalla propria vita caduca e mortale si libera talvolta perdendola nell’obbedienza a colui che ha detto: io sono la vita. “Ossia, tornando alla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo. I liberal liberisti attaccano la giustizia sociale come “aberrante “infrazione alla libertà. Affermano che è un’idea di invidiosi risentiti, ingiusta perché impone disparità di trattamento per legge. Implica violenza perché, per attuare la politica redistributiva, bisogna rubare ad alcuni per dare ad altri. Per Ayuso “la giustizia sociale è un’invenzione della sinistra per promuovere il risentimento, una presunta lotta di classe in cui perpetuare l’essere ricchi e poveri”. Affermazioni vergognose: la giustizia sociale è l’espressione moderna delle due forme di giustizia classica, commutativa e distributiva. Giustizia è attribuire “a ciascuno il suo”. Il patrimonio indisponibile di ogni essere umano è la dignità: ciò implica il difficile esercizio della distribuzione delle risorse. Vivere in società produce obblighi incompatibili con l’egoismo individuale. Una certa destra è antiumana.
La giustizia sociale è un elemento della vita sociale. I libertari di destra sostengono che la virtù principale dell’essere umano, motore del funzionamento dell’economia, è l’egoismo. La somma degli egoismi (e dei vizi) attraverso la mano invisibile del mercato sarebbe il magico ingrediente del benessere. Antropologicamente, è terribile sostenere che l’organizzazione sociale o economica debba fondarsi sull’egoismo. La maggior parte della gente non può permettersi di essere egoista; quando agisce nel mercato, agisce per paura. Di essere licenziata, di vivere nella precarietà, di non potersi guadagnare da vivere, di essere truffata. La funzione dello Stato è evitare che si viva nella paura. Rimosso quel timore, la natura umana torna socievole e sente il bisogno di contribuire al bene comune.
Alcuni corifei della battaglia antiprogressista applaudono le idee di tipi come Milei. Condividono, rovesciandole, le premesse dell’avversario, offrendogli nuove armi polemiche e regalandogli un numero formidabile di adepti. La libertà senza socialità, senza comunità e senza senso morale sfocia nella legge del più forte o nella tirannia della maggioranza del momento. Un esempio di queste aporie – che il pensiero di Milei mostra con chiarezza – è la posizione sull’aborto. Si professa contrario, nonostante “il rispetto illimitato per il progetto di vita altrui, governato dal principio di non aggressione”. Poiché il nascituro ha un DNA diverso da quello della madre, questa non ha il diritto di disporne. Ottimo, se non fosse che il principio di non aggressione può essere abolito se così vuole la maggioranza. Il “rispetto illimitato del progetto di vita altrui”, non è altro che il concetto di libertà negativa, la sfera in cui si può agire senza essere ostacolati per realizzare un progetto di vita. È la “libertà di volere” determinata in sé e per sé, dunque illimitata.
Una libertà che non riconosce altra regola o fine che sé stessa. La parola libertà, se non se ne chiarisce lo scopo, è priva di contenuto. La libertà deve essere illimitata se è orientata al bene; severamente limitata se va verso il male; guidata quando vacilla. Se la “destra” combattesse i principi che stanno distruggendo la civiltà, difenderebbe la libertà come capacità di discernere, scegliere tra il bene e il male, tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. Poiché i suoi principi sono gli stessi dei suoi presunti nemici, preferisce la libertà come autodeterminazione, diritto di compiere la volontà soggettiva.
La stessa contraddizione della Ayuso: difendendo insieme l’aborto e l’obiezione di coscienza, mostra di non dare giudizi di merito, di considerare prevalente l’autodeterminazione, l’azione sovrana libera da regole. Una “libertà di volere” guidata non dal discernimento ma dal desiderio. Tutto è soggetto all’ opinione: le pretese, le autopercezioni diventano la base della legge, chiamata a tutelarle tutte senza giudicarle, per non esercitare violenza sulla libertà individuale. In altre parole, ogni individuo è legge di sé stesso, le norme semplici strumenti per la realizzazione della volontà soggettiva.
La libertà consisterebbe nel poter avanzare qualsiasi pretesa senza rispondere a nessuno. La funzione dello Stato si esaurirebbe nell’assecondare la volontà sovrana di ciascun individuo, che diventa diritto. L’ ordinamento giuridico non avrebbe lo scopo di regolare secondo giustizia la vita nella polis, ma di consentire a ciascuno di realizzare desideri, capricci, senza chiedersi se siano giusti o meno. Un diritto garante di una libertà basata su decisioni soggettive volontaristiche diventa strumento del nichilismo, ed instaura una “dissocietà” dove vige la legge del più forte, colui che può proclamare “io voglio”. Ed è proprio quella “dissocietà” che – per reazione difensiva – finisce per reclamare il peggiore collettivismo.
L’ idea di giustizia sociale sarebbe risentita, invidiosa. “Per fare una politica redistributiva si deve rubare a qualcuno.” Un’affermazione ripugnante. La giustizia sociale è uno strumento per perseguire il bene comune, scopo e ragione della vera politica. E il bene comune – che non va confuso con la volontà della maggioranza né con l’interesse generale (Rousseau) richiede la coesione sociale, la ricerca del bene altrui come se fosse il nostro. Ciò che unisce le due anime liberali è l’egoismo dei privilegi economici più la corrosione dei principi comuni. Entrambe, dittature dello spirito animale.
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