In un articolo apparso qualche tempo fa sul Financial Review dall’emblematico titolo “Xi Jinping is the most dangerous enemy”, il magnate/filantropo George Soros, ben noto per le sue “avventurose” speculazioni finanziarie, identificava nel Presidente della Repubblica Popolare Cinese un “pericolo senza precedenti che sta minacciando la sopravvivenza stessa delle società aperte” [1]. Nella sua appassionata invettiva sinofoba, Soros indicava lo sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale come un importante vantaggio in favore dei regimi repressivi che possono utilizzarli come strumenti di controllo per la raccolta di informazioni personali e, di conseguenza, per stabilire chi rappresenti una potenziale minaccia per una situazione (come nel caso cinese) di partito unico.
Più o meno nello stesso periodo, durante una delle sue innumerevoli visite in Italia per indicare la via al fu governo giallo-verde, l’ideologo del trumpismo Steve Bannon rilasciò delle dichiarazioni che ricalcavano quelle sorosiane.
Qui preme sottolineare come, per entrambi, la Cina rappresenti una minaccia perché forte, ricca e tecnologicamente avanzata. La Cina, di fatto, è la minaccia principale al salvataggio della “globalizzazione americana” che i due, seppur con metodi differenti, si pongono come obiettivo finale. Entrambi, infatti, ritengono il progetto infrastrutturale cinese della Nuova Via della Seta alla stregua di minaccia esistenziale per il semplice fatto che, favorendo l’integrazione terrestre e marittima del continente eurasiatico, libera i Paesi che stanno investendo sul futuro multipolare dell’ordine globale dal controllo nordamericano sui flussi energetici. Ed entrambi hanno a più riprese contribuito a diffondere i timori sull’aggressivo neo-imperialismo cinese. Nel suddetto articolo, ad esempio, Soros insiste sul tema della cosiddetta “trappola del debito” cinese: ovvero, il (presunto) sistema attraverso il quale Pechino starebbe acquisendo il controllo di infrastrutture strategiche nei Paesi coinvolti nel progetto della Nuova Via della Seta. A questo proposito, è bene riportare che alcune ricerche condotte dalla John Hopkins University e dal Global Development Policy Center dell’Università di Boston (non esattamente le Università di Shanghai o Guangzhou) sulla “trappola del debito” hanno dimostrato come vi siano scarse prove che indicano come le banche cinesi, agendo per conto del governo centrale, stiano deliberatamente finanziando progetti in perdita con il proposito di garantire vantaggi strategici alla Repubblica Popolare. In poche parole, i problemi del debito di buona parte dei Paesi inseriti nella Nuova Via della Seta non dipendendono necessariamente dall’opera o dalla Cina. Lo stesso caso del porto cingalese di Hambantota, elevato ad esempio da Soros per dimostrare il carattere aggressivo del progetto cinese, risulta essere scollegato dalla Belt and Road Initiative. Il debito dello Sri Lanka, infatti, era stato contratto antecedentemente al progetto di sviluppo dell’infrastruttura [2].
Ma Soros non si è limitato alla diffusione di palesi falsità. Ha anche avanzato ipotesi sul come combattere l’autoritarismo di Xi Jinping, colpevole, tra le altre cose, di aver inserito nella Costituzione il suo pensiero politico (fondato su statalismo e rispetto della tradizione confuciana) sotto la dicitura di “Socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”. (Di fatto, per chi non se ne fosse ancora accorto, quello cinese altro non è che una forma di socialismo nazionale fondato sul quel concetto di gen – solidarietà di razza – a suo tempo indagato anche dal metafisico francese René Guénon). Ora, Soros, plaudendo alla dichiarazione del “nemico” Donald J. Trump nella quale la Cina viene identificata come “rivale strategico” degli USA, indica la via da seguire: rompere quello che lui ritiene essere il “contratto sociale” della Cina. Tale contratto, nelle parole dello speculatore, sarebbe costituito da una progressiva elevazione del tenore di vita degli strati sociali più bassi. Dunque, ciò che bisogna distruggere è quel sistema che ha portato la Repubblica Popolare a sollevare da una condizione di povertà oltre 700 milioni di persone. Un sistema intrinsecamente fondato sul celebre motto del confuciano Ta Hsio (Studio Integrale) che recita: “Alla creazione dell’abbondanza si arriva per una strada maestra. Cioè, che i lavoratori della terra siano in molti, e quelli che mangiano in ozio siano pochi; che l’artigianato sia sveglio, e i consumatori misurati. Le merci allora, penetrando e circolando ovunque, abbonderanno sempre” [3].
Tale processo, per lo speculatore, deve essere interrotto per fare in modo da creare una forte opposizione interna al “regime” e, magari, una potenziale nuova “rivoluzione colorata” che non lambisca esclusivamente le regioni di confine della Cina (Hong Kong e Xinjiang) ma che penetri nel cuore stesso del Dragone (ovvero, una nuova Tian’anmen). Leggendo simili dichiarazioni non sorprenderebbe affatto se sinofobi di varia natura abbiano considerato l’espolosione dell’epidemia di coronavirus nella città di Wuhan come una sorta di “benedizione”. Le affinità tra i due “guru” di “globalisti” e “sovranisti” non si fermano qui. Entrambi, infatti, mirano a spezzare l’asse geopolitico tra Russia e Cina, inglobando la prima (magari desovranizzata) in quell’“Occidente” che, ricalcando la prospettiva dell’huntingtoniano “scontro tra civiltà”, deve necessariamente opporsi alle civiltà islamiche e confuciane percepite come ad esso estranee e potenzialmene pericolose. A questo proposito, il colonnelo Mu’ammar Gheddafi, già nel 1994, dichiarò: “Nuovo ordine mondiale significa che ebrei e cristiani controllano i musulmani; se possono fare ciò, domani eserciteranno il loro dominio anche sul confucianesimo e sulle forme tradizionali dell’India, della Cina e del Giappone […] Oggi cristiani ed ebrei sostengono che l’Occidente, dopo avere distrutto il comunismo, deve distruggere l’Islam e il confucianesimo […] Noi ci schieriamo dalla parte del confucianesimo; alleandoci con esso e combattendo al suo fianco in un unico fronte internazionale, sconfiggeremo il nostro nemico comune. Perciò, in quanto musulmani, aiuteremo la Cina nella lotta contro il nemico comune”.
Ad onor del vero, la civiltà occidentale di stampo anglo-americano che è stata imposta all’Europa a seguito delle due guerre mondiali e del crollo del blocco socialista è ben più estranea all’appendice occidentale del continente eurasiatico di quanto non lo siano la cultura islamica e quella confuciana. Il grande poeta e pensatore Ezra Pound, studiando in modo approfondito la cultura cinese durante il periodo di internamento nel campo correzionale di Pisa, si rese conto che questa aveva non pochi punti di contatto col pensiero europeo: da Omero e Sofocle a Platone ed Aristotele, fino a Dante e Guicciardini [4]. E, guardacaso, proprio Platone venne considerato dal teorico Karl Popper come uno dei primi nemici di quella “società aperta” di cui Soros si è fatto propugnatore. Entrambe le visioni, sia quella di Soros che quella di Bannon (come di tanti loro epigoni), nello specifico, si impongono come modelli sradicanti. Entrambe puntano, parafrasando Carl Schmitt e Martin Heidegger, a rimuovere ed a mantenere in una condizione di “rimozione” (di “sradicatezza”) l’Esser-ci europeo dalla sua naturale collocazione filosofico-spirituale.
La visione bannoniana è una mistura di enfasi sulla superiorità della civiltà anglo-americana (in contrapposizione alle antiche e combattive civiltà dell’Eurasia), di moralismo giudaico-evangelico (per quanto lui si dichiari cattolico), di servilismo sionista (Israele, non a caso, è il principale ostacolo ad una reale acquisizione di sovranità sul suo mare interno da parte dell’Europa), di esaltazione di un “capitalismo dal volto umano” che esiste solo nella sua mente (tanto da essersi autoconvinto di aver trasformato il Partito repubblicano statunitense in un “working-class party” [5]) e di un finto populismo che fa del “popolo” non il soggetto dell’azione politica ma solo un “consumatore” da inebetire a colpi di propaganda. Quella sorosiana altro non è che una versione edulcorata del delirio post-marxista di Antonio Negri in cui il “comunismo delle moltitudini” è sostituito dall’imposizione su scala globale del modello capitalistico occidentale e della democrazia liberale.
Il medesimo fine geopolitico è nascosto (ma neanche più di tanto se si pensa al livore con il quale i “sovranisti” si riferiscono a Nazioni realmente sovrane) da alcune apparenti divergenze. Il tema delle migrazioni rientra tra queste. Infatti, da un lato si ha il culto immigrazionista che vede nel cosmopolitismo e nell’assenza di confini la realizzazione suprema della vita umana, dall’altro, i partiti politici cosiddetti sovranisti fanno della lotta (ancora una volta più presunta che reale) all’immigrazione clandestina il tema principale della loro propaganda elettorale. Si è detto “più presunta che reale” perché, ancora una volta, entrambe le formule non mirano a risolvere alla radice il problema sistemico che origina il fenomeno migratorio. Questo, additabile ad un sistema di sfruttamento imperialistico delle periferie globali, comporterebbe la messa in discussione di quel dogma economico capitalistico che rappresenta il fondamento stesso di entrambe le “visioni”. A ciò si aggiunga che i fenomeni migratori, spesso e volentieri, sono indotti al preciso scopo di destabilizzare geopoliticamente le aree ad essi sottoposti. Questo, ad esempio, è quanto sostenuto dalla consulente del Pentagono K. M. Greenhill nel suo libro Weapons of Mass Migration. Forced Displacement, Coercion, and Foreign Policy [5]. Ed è chiaro che fino al momento in cui l’Europa non riconquisterà la sovranità che le spetta sullo spazio mediterraneo ad essi non vi sarà realmente fine. Ma questo poco interessa a due schieramenti che inneggiano apertamente all’atlantismo e si dimostrano sempre proni a seguire le direttive che arrivano d’oltreoceano.
Note:
[1] Si veda G. Soros, Xi Jinping is the most dangerous enemy, www.afr.com.
[2] Si veda B. Onnis, La Cina, la Nuova Via della Seta e la “diplomazia del debito”, www.treccani.it.
[3] Contenuto in Confucio, L’Asse che non vacilla – Studio Integrale, a cura di Ezra Pound, Edizioni Ghibli, Milano 2013.
[4] Si veda C. Mutti, Pound contra Huntington, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” 1/2006.
[5] Si veda Steve Bannon: “we’ve turned the Republicans into a working-class party, www.theguardian.com.
[6] Si veda K. M. Greenhill, Weapons of Mass Migration. Forced Displacement, Coercion, and Foreign Policy, Cornell University Press, Ithaca and London 2010.
Daniele Perra
2 Comments