La RAI TV trasmise spezzoni tratti da Combat Camera Units, cronache filmate durante la Seconda Guerra Mondiale. Si apre il portone del carcere di S. Maria Capua Vetere. Scortato da due soldati in armi ne esce un giovane con la camicia (nera), le maniche arrotolate fino ai gomiti, con passo svelto e fiero, il volto aquilino lo sguardo deciso. Sale sul retro del camion che l’attende, quasi fosse in ritardo per raggiungere gli amici ad una festa, a far baldoria. Credo si tratti del romano Mario Tapoli, non ancora vent’anni. Lo attende il palo dei condannati a morte… Altra razza per un’altra stagione, eroica.
Da Sant’Angelo in Formis, frazione del comune di Capua, si prende una stradina sterrata. Alla sua destra il piccolo abbandonato cimitero a ricordo di alcuni garibaldini caduti durante l’assedio alla città nell’ottobre del 1860. Trascuratezza o nostalgia borbonica. Pretendo per la prima ipotesi. Le cave, poco più avanti, sono state in gran parte interrate e se ne scorge solo la volta fra rovi e piante d’ulivo. C’è una umile lapide in pietra grezza e corrosa dal tempo: ‘Nel gigantesco conflitto del ‘sangue contro l’oro’/ qui, tra gennaio e maggio del 1944, nella visione/ di una più grande Italia in un’Europa unita,/ caddero fucilati dagli invasori anglo americani,/ i giovani soldati della R.S.I.’. Segue l’elenco dei condannati a morte: ‘Aschieri Franco anni 18 – Bertoli Mauro anni 18 – Calligaro Alfredo anni 25 – Cancellieri Luigi anni 19 – Cantelli Marino anni 21 – Donnini Domenico anni 25 – Menicocci Enrico anni 20 – Palesse Italo anni 22 – Poletti Paolo anni 24 – Scarpellini Virgilio anni 19 – Sebastianelli Giulio anni 28 – Tapoli Timperi Mario anni 19 – Tedesco Vincenzo anni 19’. Su una seconda, più piccola, sono riportati i versi di Robert Brasillach: ‘Amore e coraggio/ non sono soggetti/ a processo’.
Sabotatori, infiltrati oltre le linee alleate, catturati e fucilati secondo le leggi di guerra. Alcuni dei condannati furono portati a Nisida ove fu eseguita la sentenza. La maggior parte di loro appartenenti alla X MAS. Dai filmati, restituiti alla memoria dopo anni giacenti negli archivi USA, trasmessi in televisione, si vedono volti squadrati e sereni, oserei dire irriverenti, capaci d’affrontare la morte ad occhi aperti. E, a tal proposito, ricordo una delle testimonianze raccolte alcuni anni fa, di un aviere della Repubblica Sociale che, rientrando al paese, s’incontrò con la sua professoressa d’inglese. Lei comunista gli volle, però, raccontare un episodio di quei giovani, pur se da lei avversi. Era stata convocata al tribunale alleato e, con un anziano colonnello americano, delegato a giudice, condotta nella cella ove erano rinchiusi tre di quei giovani in attesa d’essere processati. L’ufficiale le chiese di tradurre quanto intendeva proporre loro: dato che oramai la guerra era perduta, dunque sarebbe stato il loro un sacrificio inutile, gli dessero lo spunto per salvare loro la vita, trascorrendo così il resto del periodo bellico in qualche campo di prigionia, ad esempio che erano stati costretti ad agire sotto minaccia dei loro superiori. Riferita la proposta, i tre chiesero di potersi consultare e, subito dopo, vollero che lei traducesse quanto deciso: nessuno ci ha obbligato, siamo volontari, dunque ciascuno compia il proprio dovere, il colonnello a condannarli, essi legati al palo dei fucilati. Una richiesta, questa sì, di non essere bendati per poter vedere l’azzurro del cielo d’Italia per cui avevano combattuto e per essa dato la vita…
Le salme dei ‘giustiziati’ (sempre vale il detto di Brenno ‘Vae victis!) furono sistemate nel cimitero di S. Maria Capua Vetere e, a cura dei reduci della R.S.I., la maggior parte di loro riconsegnate ai familiari e traslate nei cimiteri di provenienza. Franco Aschieri e Cancellieri Luigi ebbero sepoltura nel medesimo cimitero così come Menicocci Palesse Tepoli in un unico loculo a cura della locale sezione del M.S.I. dove tuttora riposano i resti nel loculo n.28 bis della Cappella di San Nicola (Volontari della R.S.I./ fucilati dagli anglo americani/ caddero gridando Viva l’Italia’, anno 1979).
Diversa sorte ebbero i fucilati di Nisida. Gli alleati, con gesto di ‘umana’ pietà, li interrarono senza nome e senza croce. Nel 1953 fu data loro sepoltura per l’impegno tenace e paziente della crocerossina della R.S.I. Maria Monticelli. Nel mio studio, reliquia ispiratrice di fede e al servizio del comune Ideale possiedo un semplice quadro senza cornice in cui, avvolto da carta trasparente, un cartoncino riporta un frammento di stoffa con la scritta autografa di Maria Monticelli: ‘Pezzi di camicia nera presi al momento dell’esumazione in presenza del magistrato dott. Tartaglione. Il 20 aprile 1953’. Mi raccontavano come alcuni di quei giovani si annodassero alla vita la camicia nera in modo da poterla indossare, qualora venissero catturati, e poter morire con il simbolo per cui erano pronti a donare se stessi, martiri ed eroi nel solco della tradizione di coloro che s’erano immolati, fin dal tempo dello squadrismo spavaldo e fiero del 1919…
(Qualcuno avrà letto Una ballata del mare salato, ideata e disegnata da Hugo Pratt, il creatore di Corto Maltese, giovanissimo volontario a Venezia della X MAS di cui mai rinnegò l’esperienza e che, il mondo dei vinti che seppero preservare l’onore e la fierezza, traspose in tante sue storie. Qui, tra la Nuova Guinea e il mare delle isole Salomone si svolge la vicenda agli inizi della Grande Guerra. Fra i personaggi il tenente di vascello Christian Sluetter della marina imperiale tedesca. Catturato dagli inglesi, viene condannato come spia e sabotatore mediante fucilazione, avendo indossato una divisa militare neozelandese. Sul luogo della esecuzione egli scorge dei marinai tedeschi fatti prigionieri. Ad uno di costoro chiede di poter indossare la sua giubba. ‘…la indossò con cura e si sentì subito meglio: ora tutto acquistava un senso diverso’. E’ un altro modo di collocarsi davanti al plotone d’esecuzione, alle ‘otto canne di Enfield’ avide del suo sangue).
Nei filmati USA si vede la fucilazione di tre sabotatori – Italo Palesse, a torso nudo e pantaloncini con la sigaretta in bocca; Vincenzo Tedesco, piccolo, gli occhi furbi e sorridenti. di Napoli, con i pantaloni da ufficiale; Franco Aschieri, alto i capelli mossi e un maglione a collo alto che, nel metterlo in una rozza cassa di legno dopo la scarica dei fucili, viene spinto dentro con una pedata. E va ricordato come il plotone degli assassini in uniforme era composto di italiani chè gli alleati preferivano lasciare ai servitorelli, sciocchi e vili, il compito sporco…
Proprio quest’ultimo, poco prima di morire, scrive alla madre una lettera struggente e rasserenante. Egli non è un intellettuale un poeta uno studioso, è un giovane di anni 18, ardente d’entusiasmo d’amore di passione e, al contempo, consapevole delle ragioni del proprio sacrificio. Ne trascrivo il passo conclusivo (meriterebbe essere letta nella sua interezza): ‘Cara mamma, termino la lettera perché il tempo dei condannati a morte è contato fino al secondo. Sono contento della morte che mi è destinata perché è una delle più belle essendo legata a un sacro ideale. Io cado ucciso in questa immensa battaglia per la salvezza dello spirito e della civiltà, ma so che altri continueranno per la vittoria che la Giustizia non può assegnare che a noi. Viva il Fascismo! Viva l’Europa!’… Poco o nulla d’aggiungere se non che, noi orfani volontari e felici dall’ideologia, illuminismo o marxismo che sia, ci nutriamo d’esempi, abbisognamo di testimonianze con cui confrontare, giorno dopo giorno, quanto in coerenza e in fedeltà siamo capaci di mantenere retta la barra degli ideali dai marosi ostili dell’ignavia del cedimento della lusinga vana.
Un ulteriore esempio di quell’eroismo e, al contempo, dell’infamia dei vincitori. Fra i sabotatori catturati vi era il tenente di vascello Paolo Poletti, di Firenze, di anni 24, interrogato e sottoposto a tortura in una villetta nei pressi di Torre Annunziata, seviziato tanto da perdere la ragione. Condotto nel carcere di S. Maria Capua Vetere, venne denudato ammanettato e rinchiuso da solo in cella. La mattina del 19 maggio la porta della cella fu lasciata ‘stranamente’ aperta e, uscito nel corridoio in preda al delirio venne freddato da un sergente americano. Suicidato tramite deliberato omicidio… Aggiungo che, fra i fucilati di Nisida vi fu il diciassettenne veronese Viviani Ennio, che , per la giovane età, avrebbe dovuto essere risparmiato e che andò a morire cantando l’inno dei giovani fascisti.
Morti ormai dimenticati? Caduti nell’oblio del tempo e della menzogna? Chi si ricorderà di voi? I vostri coetanei soggiacciono all’anagrafe impietosa; la mia generazione, nata a ridosso di quelli avvenimenti, si sta essa stessa inoltrando verso il gioco delle ombre al calar della sera. I più giovani… No, c’è chi trasmette e sa raccogliere il buon seme. Noi non li abbiamo abbandonati al silenzio, all’ottenebramento della memoria, al disprezzo della storia. Non possiamo non dobbiamo non vogliamo. Egoisticamente. Per sentire loro tramite le emozioni, le uniche che contano, quelle che sanno spazzare via le chiacchiere stupide le sirene i concetti del comodo e dell’utile. Ecco perché, nel luogo sacro ove si conservano i resti di altri giovani combattenti per l’Onore, al Campo della Memoria, nei pressi del mare e lungo il prato erboso, li chiameremo, uno ad uno, affinchè il nostro ‘Presente!’ li accolga, ancora una volta, fra le nostre file e siano essi guida al nostro cammino…
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