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5 Febbraio 2025
Stile Eroico

Aiace Telamonio

Sempre obliasti, Ajace Telamonio,
ogni prudenza in guerra, ogni preghiera.
Mai non pensasti ad invocar l’aiuto
d’una benigna Dea
che ingigantir potesse le tue forze
o sottrarti sollecita al nemico.
Non avevi una madre
da impietosir l’Olimpo al tuo destino,
discretissimo eroe.
E a te non fu dato
compiere imprese stupende e gratuite,
atterrar Marte od Ettore,
o d’Afrodite il mignolo ferire,
bensì il combattimento orrido, immane,
fra soverchianti avversari,
in giorni che non s’ama ricordare.
Ogni volte che Giove era crucciato
contro gli Achei,
a te scendere in campo,
degna prole di Sisifo,
rampollo di Titani.
Quando Marte furioso conduceva
le falangi troiane
ad incendiar le navi,
tu le salvasti e Teucro.
Eri la gran riserva
nel pericolo estremo,
la resistenza, il muro, la fortezza.
Ti accoglieva ogni sera
la disadorna tenda
senza profumi
nè amorose schiave.
Là, presso il mare,
dormivi un sonno animalmente duro.
Primo fra i tuoi,
fra quanti eroi convennero sotto Ilio
non secondo a nessuno.
Ma veramente solo
ed unico tu fosti
nella sventura.
Nessun Dio ti protesse,
niuna gloria t’arrise incontrastata,
ti fu solo di scorta il tuo valore,
o fante antico.
E i Greci ti negarono quel premio
a cui tu ambivi:
l’armi d’Achille. Un maestro d’inganni
te le strappò. Ma in mare
costui le perse. E il flutto pietoso,
il mutevole flutto, più sagace
dell’umano giudizio, più costante
della fortuna,
sul tuo tumulo alfine le depose.
Pace all’anima tua
infera, Ajace.

Ajace di Vincenzo Cardarelli

 

La scelta di questa poesia di un grande letterato della nostra storia recente, morto negli anni ’50, riprende un cammino intrapreso di chi parla e difende il concetto di Ethos europeo e delle Vere Radici dell’Europa.
Oggi, si dirà, a cosa pertiene una vicenda mitologica e lontana nella attuale battaglia odierna per la sopravvivenza economica e sociale di un popolo?
Direi che, innanzitutto, bisogna guardare agli eventi greci per capire che fine stia facendo l’Europa, schiavizzata da una struttura organicamente inquinata dalla finanziarizzazione dell’economia  e odiosamente protesa non ad un sano e forte progetto continentale ma ad una rapina usuraria che stiamo pagando noi tutti.
La Grecia si, un simbolo di lotta eterno nella civiltà cui noi ci dovremmo rifare ed un simbolo attuale di vessazione contro un popolo oramai consumato dal debito.
Noi Italiani siamo diversi? Molte nostre radici sono comuni e comune sta diventando il nostro destino di popolo nuovamente costretto all’emigrazione.
Ma non solo l’economia sia il pensiero relativo a questa riflessione con la poesia correlata, ma il vero punto del messaggio cioè l’Ethos, il carattere, la sostanza di cosa rappresenti un Uomo di fronte a Sé stesso ed ai suoi simili comunitariamente intesi.
Aiace è un antico eroe della Mitologia storica ellenica ma in questo momento torna di attualità in quanto eroe irriducibile e irreprensibile nei suoi doveri e alieno alla fuga ed al ripensamento: la sua vita è una allegoria paragonabile alla sfortunata situazione attuale, sfortunata per i Patrioti d’Europa e delle Nazioni libere.
Tutto sembra contro di loro come, allora, sembrarono infami i Destini alla vita di questo combattente forte e temuto ma senza pretese di vantaggi che non il proprio essere sé stesso.

Noi, oggi, sappiamo di essere non là dove si attacca ma là dove ci si trova costretti a difendere; lo siamo come nazione, come comunità di popolo, come Europa in tutto il suo splendore storico ma in tutta la sua inanità militare e politica e financo nella conclamata subalternità ai giganti mondiali dell’economia, la peggior economia che la Storia ricordi in termini di bieco materialismo.
Noi, oggi, ci sentiamo come questo eroe che forse salverà in extremis un confine, un campo, una flotta di navi assediate da un improvviso quanto irrefrenabile assalto da terra verso mare (può accadere anche il contrario ricordiamocelo bene, è già successo).
Il momento è duro e pare che la Nazione sia sorda e cieca davanti ai suoi eroi, anche mirando ad un concetto assolutamente “normale” dell’eroismo come dovere e coerenza di una posizione, come semplice spirito di servizio, come onestà dell’essere cittadini e non sudditi.
La Nazione è sorda e cieca anche davanti ai suoi nemici di sempre ma qualcuno non si scompone, non fa altro che proseguire il suo percorso di vita, il suo cimento e combattimento, senza aspettarsi meriti o glorificazioni o funerali  che diventano celebrazioni di Sistema o di Apparato.
C’è qualcuno che, semplicemente, c’è e fa il suo e gli sta bene così.
La sua forte e simbolica attualità sta nelle sue disgrazie e nella sua gloria riconosciuta ma discussa se non, a posteriori, dai suoi connazionali in guerra .
Il suo funerale è discusso dato che è morto suicida dopo una specie di obnubilamento minervale della sua psiche che lo lascerà nella vergogna e nel disonore per la strage di pecore scambiate per gli Achei ingrati.
Ma anche in questo frangente così discusso è proprio l’eroe omerico  maggiormente celebrato, Odisseo, li a crucciarsi, in alcune ricostruzioni poetiche elleniche come la stessa Odissea, del destino infelice del suo opponente ed a chiederne solenni funerali.

Aiace Telamonio è il generoso, forse rozzo, ma coraggioso miles dalle origini incerte: giunge nella Troade senza un esercito proprio, non è un Re ma un semplice nobile senza dei possedimenti specifici.
eppure Tindaro ci dice che era figlio di un nobile chiamato Telamonio e che lo stesso Ercole ne propiziò la nascita del figliolo, Aiace, come di un guerriero invulnerabile.
Forse è un antesignano di quella casta di cavalieri composta da rami cadetti dell’aristocrazia dei possidenti che costituiscono la nobiltà guerriera del mondo Indoeuropeo.

Aiace nella sua vita non ha chiesto, ha solo dato ed è forse questo ciò che serve, oggi, a questa società moribonda perché si possa avere la speranza che tanti Aiace siano propizi per i nuovi eroi, per altri Re.

Stefano Sogari

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