Tra i numerosi difetti del mondo moderno, uno dei peggiori è la mancanza totale di fantasia. Le nostre vite scorrono con monotonia, giorno dopo giorno, intorpidite ed ingrigite. Gli unici colori che ci sono concessi sono gli sfavillanti schermi dell’ultimo modello di iphone ed i relativi selfies oppure i carnevaleschi costumi del Gay Pride di turno (passato da manifestazione annuale a passeggiata mensile, alla faccia delle discriminazioni denunciate quotidianamente dalle lobbyes omosessuali…). Ed in questa piattezza monocorde e vuota, è sta risucchiata anche l’arte. Basti pensare ai poeti-soldati del secolo scorso, come D’Annunzio e Marinetti, esempi emblematici dell’uomo integrale capace di impugnare in ugual modo e con la medesima grazia un fucile come un pennello o uno strumento musicale, e al moderno “rivoluzionario” dito medio di Maurizio Cattelan.
Ma per fortuna, in mezzo a questa massa anonima, c’è ancora chi riesce a differenziarsi (“noi pochi, noi felici pochi” come diceva Enrico V.). Tra questi non possiamo che citare Curzio Vivarelli, da anni curatore delle copertine delle edizioni di Ar. Personaggio a prima vista eccentrico, basti pensare alla lunga barba in stile prete ortodosso, ma i cui occhi pieni di bontà ti conquistano al primo incontro e dotato di una cultura che non possiamo che definire enciclopedica e proteiforme per la vastità degli argomenti di conoscenza. E proprio di Vivarelli le edizioni del Tridente hanno recentemente pubblicato un agile ma interessante libretto dal titolo “Alcune fantasie russo veneziane”. Il tema dell’opera è sicuramente sui generis. Si tratta infatti di tredici tavole raffiguranti scorci di Venezia, quella minore non certa la turistica piazza San Marco (meta di torme deambulanti di razze di ogni genere dotati dei più disparati strumenti fotografici), nei quali vengono però inserite alcune fantasie architettoniche, di stampo russo e/o classico.
Ma l’ars fantastica di Vivarelli non è pura fantasia o semplice gusto dell’assurdo. Sono molti i legami tra la Serenissima ed il mondo russo, senza scordare alcuni avvenimenti del secolo scorso che, se avessero preso un’altra piega, avrebbero potuto incidere anche sull’architettura veneziana, come simpaticamente appare in questo libro. Basti pensare alla storia (minoritaria ma reale) dei cosacchi presenti in Carnia verso la fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel novembre del 1943, infatti, Alfred Rosenberg, ministro dei Territori orientali occupati, e il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, comandante supremo della Wermacht, promisero ai cosacchi del Don, del Kuban e del Terek la restituzione della loro patria come futura ricompensa per l’aiuto prestato all’esercito tedesco durante la guerra. Non solo: si garantiva loro, qualora fosse stato temporaneamente impossibile il rientro in Ucraina, l’insediamento in una terra dove condurre un’esistenza autonoma nel pieno rispetto delle tradizioni. Così, nel luglio del 1944, quarantamila cosacchi giunsero in Carnia, definita dai tedeschi come Kosakenland in Nord Italien. Nonostante l’eroismo ed il coraggio dimostrati durante il conflitto mondiale, con la sconfitta dell’Asse la maggior parte di loro tornò a casa, alcuni liberamente, altri, la maggior parte, confinati nei gulag staliniani per il loro anticomunismo.
Ecco perché ci siamo permessi di affermare che la fantasia di Vivarelli non è certo frutto di semplice provocazione. Come scrivevamo sopra, l’autore è uomo di cultura superiore. Riteniamo perciò che la scelta del tema di questo libro sia stato il risultato di precisi riferimenti storici e non certo il semplice frutto di un momento di diletto pour épater le bourgeois. Lo dimostrano anche le precise spiegazioni di alcuni simboli presenti in certi disegni, come la triade delle lettere riunite IOS, prevenuta direttamente dai trattati del Rinascimento germanico. Consigliamo perciò vivamente la lettura di questo libro, il vostro Spirito, per chi ancora ne possieda, non potrà che ringraziarvi.