9 Dicembre 2024
Origini

Alcuni punti che si possono fissare sulla tematica delle origini e sulla teoria dell’evoluzione

 

Di Fabio Calabrese, con note di Michele Ruzzai

 

Il testo che segue è il risultato di un esperimento di scrittura di un articolo a quattro mani fra me e Michele Ruzzai. Sebbene non lo consideri del tutto riuscito, tra l’altro per la sinteticità forse eccessiva, penso che valga la pena di presentarvelo, poi un giudizio conclusivo spetta a voi.

Le note fra parentesi quadra sono state aggiunte a posteriori dal sottoscritto allo scopo di chiarire meglio alcuni punti. La stesura definitiva del testo è del sottoscritto, ragion per cui, se avete delle critiche da muovere, vi prego di risparmiare il buon Michele.

(Fabio Calabrese) La civiltà europea è estremamente antica, e non deriva dal Medio Oriente. Ne sono una testimonianza eloquente i circoli megalitici. Il più antico conosciuto, quello di Gosek in Germania è di duemila anni più antico delle piramidi di Giza. La più antica scrittura conosciuta, quella della Cultura del Danubio (tavolette di Tartaria) è di almeno mille anni più antica dei più antichi pittogrammi sumerici.

Nell’ambito della civiltà europea, l’Italia è terra di antichissima civiltà. In particolare due tipologie di monumenti, le statue-stele (Le più note sono quelle della Lunigiana, ma ve ne sono il tutta l’Italia centro-settentrionale, fino al Canton Ticino) e le piramidi-altare (Bomarzo, Parco di Veio, Selva di Malano, Monte d’Accoddi) fanno pensare all’esistenza di un’antichissima civiltà pre-etrusca.

[Questo per quanto riguarda le origini della civiltà, un orizzonte temporale quasi storico, ma ora addentriamoci più in profondità, in un orizzonte più remoto quello delle origini, o delle presunte origini africane della nostra specie].

Per quanto riguarda le nostre origini come specie, l’Out of Africa non è nemmeno una teoria, ma una bufala dettata da motivi politici. La paleogenetica [si vedano in particolare le ricerche condotte dal premio nobel Svante Paabo] ha dimostrato che gli esseri umani cosiddetti “anatomicamente moderni” si sono ripetutamente accoppiati con gli uomini di Neanderthal (a lungo falsamente rappresentati come bruti scimmieschi) e di Denisova dando luogo a una discendenza fertile, noi stessi. Neanderthaliani e denisoviani erano dunque della nostra stessa specie, semmai razzialmente (si veda il punto seguente alla nota di Ruzzai) diversi da noi. Non ha quindi alcun senso sostenere che Homo sapiens sia uscito dall’Africa alcune decine di migliaia di anni fa, quando popolava l’Eurasia da centinaia di migliaia di anni.

(Michele Ruzzai) Oltretutto vi sono in giro per il mondo anche diversi ritrovamenti Sapiens talmente antichi che non vengono considerati dalla paleoantropologia ufficiale perché “non dovrebbero” trovarsi a quei livelli sedimentari.

(FC) Le razze umane esistono. La riprova più convincente è data dal fatto che nel DNA dei neri subsahariani si trova una componente non-sapiens che può arrivare al 20% e che questi ultimi abbiano una media di Q. I. di 70 che nei caucasici e negli asiatici equivale al limite del ritardo mentale.

(MR) La stessa esistenza della disciplina chiamata “genetica delle popolazioni” è, implicitamente, un riconoscimento che l’umanità si divide in un sotto-unità discrete: non vi è né perfetta omogeneità molecolare, ma nemmeno una variazione perfettamente lineare delle frequenze rilevate tra un capo e l’altro del pianeta. Al contrario, vi sono “crinali” e “frontiere” genetiche, aree più omogenee ed aree meno: quindi raggruppamenti. Il fatto che, adottando approcci più o meno “analitici” o più o meno “sintetici”, questi raggruppamenti possano essere sistematizzati e gerarchizzati in vari modi, non implica che questi non esistano: come il fatto che si possa discutere sulle varie modalità di catalogare le nuvole a seconda della diversa forma, densità, colore, altitudine, ecc… non implica che il concetto di “nuvola” sia, in sé stesso, destituito di fondamento.

(FC) Il genere Homo si può dividere in non più di due specie: sapiens ed erectus. Tutte le altre specie proposte nell’ambito del genere Homo sono spurie: abilis un falso inventato da Louis Lakey promuovendo a umani dei crani autralopitecini frammentati di cui era impossibile ricostruire l’esatto volume cranico, heidelbergensis la stessa cosa che erectus, antecessor un sapiens molto antico (800.000) anni, ma a cui è stato dato un nome di specie diverso dal nostro per non invalidare automaticamente l’Out of Africa. D’altra parte, Homo erectus era un uomo diverso da noi, ma nondimeno compiutamente umano. Lo dimostrano il rinvenimento a Dmanisi (Georgia) del teschio edentulo di un uomo molto anziano che non sarebbe potuto sopravvivere senza l’aiuto di altri membri della tribù, le asce rinvenute a Qesam (Palestina) dove la selce era stata scaldata per facilitarne la lavorazione, asce acheuleane (tipiche di erectus) rinvenute nell’isola di Creta, che fanno supporre che per raggiungere la stessa, gli erectus debbano aver sviluppato una forma di navigazione.

[La storia dell’Homo abilis è una delle più grottesche e incredibili della paleoantropologia, e dimostra come questa “scienza” non sia affatto, non diciamo esatta, cosa che le scienze naturali non sono, ma nemmeno lontanamente rigorosa l’inventore – perché qui non è il caso di parlare di scoperta, ma di invenzione – fu Louis Leakey, personalità eccentrica e uomo di grande arroganza. Ebbe sempre la pretesa che solo i fossili trovati da lui fossero i veri, diretti antenati dell’umanità, mentre quelli di tutti gli altri non sarebbero stati che rami collaterali.

Un esempio palmare di questo atteggiamento lo diede con il ritrovamento del cranio del cosiddetto Zinyanthropus. Sebbene, come testimonia il diario della moglie Mary, l’avesse immediatamente riconosciuto come “un dannato australopitecino del tipo robusto” (l’australopiteco robusto, più simile a un gorilla che a un uomo era quello più lontano da quella che si suppone essere la linea evolutiva umana, con una cresta sagittale sul cranio simile a quella di un gorilla, che doveva essere il punto di attacco di potenti muscoli masticatori, adatti a una dieta di vegetali duri). L’esemplare – rinvenuto non da lui, ma da Mary, era anzi un super-robusto, che oggi è noto con il nomignolo di “uomo schiaccianoci” (la classificazione ufficiale è oggi Australopithecus boisei).

Contro ogni evidenza, poiché si trattava di una sua scoperta (ignorando il contributo di Mary), doveva per forza essere inserito fra i nostri antenati. Fu presto sbugiardato dalla comunità dei ricercatori, che in questo caso dimostrò un minimo di pudore, ma qualche tempo dopo tornò alla carica.

Grazie al rinvenimento di alcuni crani di australopiteco che erano stati calpestati da una mandria di bufali, “scoprì”, ma sarebbe meglio dire inventò l’Homo abilis. Bisogna capire una cosa: quando un cranio è stato frantumato, ricostruire il suo volume interno e di conseguenza la dimensione reale del cervello dell’esemplare vivo, è estremamente difficile, basta variare di pochissimo l’angolo con cui si incastrano i frammenti e si ottengono valori del tutto differenti.

Anche questa seconda “scoperta” fu accolta, come minimo, con un certo scetticismo, ma dopo la sua morte, il figlio Richard che ne aveva ereditato la  “tradizione di famiglia” nell’interpretazione dei fossili ominidi, ritrovò il famoso cranio noto come KNM ER 1470, la cui ricostruzione gli attribuì un volume cranico e quindi un cervello di dimensioni decisamente maggiori di quelle di qualsiasi cranio di australopiteco conosciuto. L’Homo abilis acquistava finalmente sostanza e credibilità come precursore dell’umanità.

“Qualcosa di talmente moderno da far rizzare i capelli in testa”, lo definì Donald Johanson, lo scopritore della famosa Lucy.

Peccato solo che il cranio era stato ricostruito a partire da un centinaio di frammenti schiacciati e inglobati in una matrice rocciosa, il che rende la ricostruzione del tutto ipotetica. A tutt’oggi non esistono prove convincenti che il presunto Homo abilis non fosse altro che un australopiteco, e quindi, come ci suggerisce sir Solly Zuckerman, una scimmia che non ha nulla a che fare con il lignaggio umano].

(MR) E forse si potrebbe addirittura arrivare ad una sola specie del genere Homo, se consideriamo che le frequenze “fantasma” nell’attuale genoma Sapiens subsahariano potrebbero derivare da antichissimi incroci con Erectus africani, ne deriverebbe che anche questi ultimi non sarebbero stati geneticamente troppo distanti da noi, altrimenti tra le due popolazioni non vi sarebbe stata la necessaria interfertilità che ha consentito di portare quelle tracce fino alle popolazioni attuali.

(FC) Recenti esami sui resti degli australopitechi africani (del team di sir Solly Zuckermann sullo scheletro di Lucy  di un altro team sull’orecchio interno di Lightfoot “Piedino”), hanno dimostrato che queste creature dal  cervello non più grande di una noce di cocco, di dimensioni inferiori a quello di uno scimpanzé della stessa taglia, non camminavano erette e non mostravano nessuna tendenza verso l’umanità, erano solo un genere di scimmie ora estinto. Questo pone seriamente in dubbio lo stesso dogma evoluzionista, perlomeno, tutta la catena di esseri via via leggermente meno scimmieschi o leggermente più umani che dovrebbe portare dalle scimmie a noi, non è mai esistita, è stata costruita umanizzando falsamente delle scimmie, e attribuendo altrettanto falsamente caratteristiche scimmiesche ai fossili umani (homo erectus e Neanderthal), per non parlare di specie inventate come Homo abils. In realtà non troviamo mai uomini-scimmia, ma solo uomini compiutamente umani o scimmie che sono solo tali.

(MR) Personalmente, l’unico “trasformismo” delle specie che posso ammettere (e comunque non oltre certi limiti, che biologicamente potrebbero essere quelli della “famiglia” tassonomica) è quello di una involuzione, nel senso che siccome “nel più sta il meno”, ciò che si ha, può al limite essere perso, ma ciò che non si ha non può mai arrivare per “lento accumulo” di caratteri. La stessa selezione naturale è un fattore che può spiegare alcune specializzazioni, molto spesso alcune perdite, alcune atrofizzazioni, o anche alcune parziali modifiche organiche – e comunque sempre nell’ambito della specie (“microevoluzione”) – ma mai delle acquisizioni “ex novo” che arrivino addirittura a produrre dei “salti di specie” (“macroevoluzione”).

(FC) CONCLUSIONE INEVITABILE, LA VERSIONE UFFICIALE, TUTTO QUELLO CHE CI HANNO RACCONTATO SULLE NOSTRE ORIGINI E’ UN FALSO. [A questo riguardo, consiglierei anche la lettura del mio recente Il tema delle origini tra ricerca scientifica e mito].

 

 

NOTA: nell’illustrazione, un’immagine famosa, ma estremamente discutibile che vorrebbe rappresentare l’evoluzione umana.

 

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