Tutto ciò premesso, ho costruito il testo come una spirale che si allarga verso l’esterno, partendo da quelli che sono i monumenti preistorici europei più noti, i complessi megalitici delle Isole Britanniche, prima Stonehenge, cui ho dedicato un intero capitolo, poi gli altri, Newgrange, Avebury e via dicendo. Veramente, c’è da chiedersi, se non sapessimo che si tratta di una scelta ideologicamente orientata, come sia possibile che l’archeologia ufficiale che ogni volta che in Medio Oriente si trovano due cocci di vaso e due paraventi di canniccio, ci annuncia la scoperta di “una nuova civiltà”, possa ignorarli a tal punto che nella maggior parte dei libri di testo di storia non sono nemmeno nominati.
Ancora l’Europa orientale e la Russia che, a questo riguardo sono, si può dire, un territorio relativamente vergine. Durante l’epoca sovietica, infatti, queste ricerche erano scoraggiate, al punto che negli anni ’30 del secolo scorso, l’archeologo Anatolj Barcenko fu fatto fucilare da Stalin e i suoi appunti furono distrutti.
Fra le molte sorprese che la Russia ci sta rivelando, menzionerei in particolare le ancora oggi pochissimo studiate e misteriose piramidi della penisola di Kola all’estremo settentrione russo, a cui alcuni ricercatori hanno attribuito un’età attorno al 12.000 anni. Esse e gli abbondanti resti di megafauna ritrovati nel permafrost siberiano, megafauna che non potrebbe certo sostentarsi con i radi licheni sparsi tra i ghiacci che costituiscono oggi la flora di queste regioni, suggeriscono che durante l’Età Glaciale, quando l’Europa centrale era stretta nella gelida morsa del ghiaccio, queste regioni godessero invece di un clima mite e propizio all’insediamento umano. Sono forse le tracce dell’antico mondo iperboreo di popolazioni che poi il peggioramento delle condizioni climatiche avrebbe spinto a migrare verso il sud, un quadro che coincide in maniera impressionante con quanto ipotizzato da Tilak in La dimora artica nei Veda.
In ogni caso, pare proprio che le origini dell’uomo caucasico e della civiltà europea non vadano cercate in Africa o in Medio Oriente, ma al contrario, nel nord.
Anche la nostra Italia ha la sua parte nel fenomeno megalitico. Io mi soffermo in particolare su due tipologie di monumenti, le statue-stele e le piramidi-altare (la più nota è quella di Bomarzo, ma ve ne sono altre, due a Selva di Malano in provincia di Viterbo, una a Monte d’Accoddi in Sardegna, un’altra ancora nel Parco Archeologico di Veio), che suggeriscono che nel remoto passato la nostra Penisola abbia ospitato una civiltà addirittura pre-etrusca.
Riguardo all’Europa mediterranea, c’è un discorso preciso da fare: se guardate a ciò che raccontano i testi storici, si parla a ogni pié sospinto di popolazioni certamente caucasiche ma “non indoeuropee” (ricordiamo che mentre “caucasico” è una definizione antropologica, quella di “indoeuropeo” è puramente linguistica), e d’altra parte neppure semitiche o camitiche: Etruschi, Minoici, Iberi, Aquitani, Liguri, Sardi, Reti e via dicendo. Dov’è la difficoltà ad ammettere un quarto ramo “mediterraneo” delle popolazioni caucasiche (e non sarebbe neppure il solo, ci sono anche Baschi e Ugrofinni)? Non sarà mica per il fatto che la bibbia menziona solo tre figli di Noè, Sem (supposto antenato dei semiti), Cam (camiti) e Jafet (indoeuropei?) in tal modo la concezione “ufficiale” della storia rivela la sua dipendenza da questo antico testo mediorientale che, non discutiamo il valore religioso, ma di valore storico non ne ha nessuno? (Ed è qui che riconosciamo la prima radice dello strabismo mediorientale).
La civiltà europea portata al massimo del suo sviluppo in età antica da Roma, ha avuto indubbiamente con la caduta dell’impero romano un momento di eclissi. Si parla spesso di “secoli bui” riflettendo un pregiudizio o una calunnia di matrice illuminista. A mio parere quest’espressione può valere per il periodo di caos immediatamente succeduto alla caduta di Roma, non per l’intero Medio Evo, un’epoca che ha rivestito l’Europa di castelli e cattedrali, che ci ha dato la Summa Theologica di Tommaso D’Aquino, la Divina Commedia di Dante, personalità eccezionali come quella di Federico II di Svevia, grandi artisti come Giotto, che è ancora tanta parte del nostro patrimonio culturale.
Ma prescindiamo. Secondo una leggenda oggi molto diffusa, ma che è in sostanza una favola buonista tesa a favorire un atteggiamento “accogliente” verso coloro che oggi ci invadono, sarebbero stati gli Arabi, il mondo islamico a salvare la cultura classica e a ritrasmetterla all’Europa, una favola che non è vera se non in minima parte. 1438, concilio di Firenze. L’imperatore bizantino gioca l’ultima carta a sua disposizione per salvare Bisanzio dalla minaccia ottomana: la riunificazione della Chiesa ortodossa con quella cattolica. La mossa non ebbe effetto sul piano politico, e nel 1453 Bisanzio cadde in mano agli ottomani, ma l’afflusso di dotti bizantini a Firenze a seguito del concilio, provocò la riscoperta di una buona parte delle cultura classica, Platone e non solo Platone, e non è un caso che da Firenze parte il movimento umanistico-rinascimentale. Bisanzio, e non l’islam fu il ponte che permise all’Europa di riappropriarsi della cultura classica. Semmai l’Europa ha ridefinito la sua identità lottando contro l’islam, difendendosi da esso.
I sinistri, da sempre ostili a tutto ciò che europeo, avvezzi a vedere la pagliuzza nel nostro occhio e non la trave in quello degli altri, parlano un gran male delle crociate, dimenticando o facendo finta di dimenticare che esse non furono che una momentanea controffensiva dell’Europa posta in mezzo a due grandi assalti islamici contro l’Europa, quello arabo-califfale e quello ottomano. Un terzo assalto è in corso oggi, solo che oggi non ci sono più né i cavalieri di Carlo Martello, né quelli templari, né i marinai di Lepanto.
Poi ho parlato dello spirito dell’Europa, accanto alle realizzazioni materiali, non vanno dimenticate le conquiste spirituali: la filosofia greca, lo spirito giuridico e amministrativo dei Romani, la fantasia mitopoietica celtica, le tradizioni germaniche di fedeltà e onore.
Come vi ho detto, un progessivo allargamento degli orizzonti, ho poi esteso l’analisi al Medio Oriente, all’Asia, alle Americhe. Riguardo al Medio Oriente, il maggiore rebus è rappresentato dalla civiltà egizia: essa sembra apparire di colpo dal nulla già adulta e nell’arco di tre millenni non conosce alcuna evoluzione, sembra semmai di assistere a una perdita di capacità: le piramidi, ad esempio, furono fatte erigere dalle prime dinastie egizie, quelle dell’Antico Regno, dopo di che, non se ne innalzarono più. L’unica innovazione di rilievo pare essere il carro da guerra, che, sappiamo, non fu un’invenzione egizia, ma fu portato in riva al Nilo dagli Hyksos.
Il mistero si chiarisce considerando la genetica delle antiche élite egizie che, grazie alla pratica della mummificazione, conosciamo assai bene. Queste erano composte da individui dai tratti molto più marcatamente europidi rispetto alla popolazione generale, e a maggior ragione rispetto agli Egiziani moderni, e questo si vede molto bene osservando ad esempio la celebre maschera funeraria aurea di Tutankhamon. Nel suo caso l’analisi del DNA ha rivelato un aplogruppo del cromosoma Y oggi praticamente assente in Egitto, ma molto comune nelle Isole Britanniche. Si potrebbe facilmente arrivare alla conclusione che la civiltà egizia è nata sotto l’impulso di un’élite europide, e sia rimasta statica o sia andata incontro a una lenta decadenza man mano che questo elemento europide si è affievolito.
Per quanto in Mesopotamia i resti umani antichi non abbiano un così eccellente stato di conservazione, pare di desumere una storia del tutto analoga, che all’origine delle civiltà di quelle regioni vi fossero élite più marcatamente europidi della popolazione generale.
Dal vicino al lontano Oriente, passiamo a esaminare l’Asia orientale. Cominciamo dal Giappone. In età preistorica era abitato da una popolazione bianca, europide, gli Jomon, di cui gli Ainu dell’isola di Hokkaido sono oggi l’ultimo residuo. Il giapponese moderno è nato probabilmente dagli apporti genetici delle popolazioni mongoliche circostanti, tuttavia sospetto che a livello animico sia rimasto nettamente più caucasico di quanto il suo aspetto lascerebbe supporre, e questo, a mio parere spiega perché alcuni elementi della sua cultura, paradossalmente li possiamo sentire più “nostri” di quelli di un’Europa e di un Occidente inquinati da forme di pensiero semitiche, il Bushido, l’etica dei samurai innanzi tutto, ma non solo: l’amore per le tradizioni, la venerazione degli antenati, il rispetto per gli anziani.
La Cina rappresenta in un certo senso un caso analogo, anche alla sua base possiamo riconoscere un’influenza europide, forse non tanto genetica quanto culturale. Ci sono le mummie del Takla Makan che ci dimostrano che in un’epoca remota l’Asia centrale era abitata da una popolazione europide che, per i tratti somatici è stata accostata ai Celti, ma questo non è tutto.
Un’immagine ricorrente della tradizione iconografica cinese, è quella dell’incontro tra Lao Tze e Confucio (lasciamo stare se esso sia effettivamente avvenuto). Lao Tze monta un bufalo che rappresenta “il sud”, Confucio un cavallo che rappresenta “il nord”. Cavallo-nord. Il nord era terra di cavalieri, spesso di origine scitica o turanica, entrati come mercenari al servizio del Celeste Impero, e fra i quali le fisionomia caucasiche abbondavano, da essi Confucio può aver tratto la sua filosofia che poi ha informato tutto l’impero cinese diventando l’equivalente di una religione: uno stile di vita “militare” fatto di rispetto per l’autorità, disciplina, onore.
Le Americhe. Anche qui è ipotizzabile una presenza europide, bianca prima di Colombo e prima dei Vichinghi che avrebbero raggiunto Terranova in età medioevale? Anche in questo caso pare proprio che si possa dare una risposta affermativa. La questione ha cominciato a prendere corpo quando due archeologi statunitensi dello Smithsonian Institute, Dennis Stanford e Bruce Bradley hanno pensato di confrontare l’industria litica Clovis, la più antica conosciuta nelle Americhe, risalente a 12.000 anni fa con quelle della Siberia da dove si suppone siano arrivati gli antenati degli amerindi e, dopo non aver constatato nessuna somiglianza con nessuna di esse, hanno visto invece una somiglianza con una europea, quella solutreana.
12.000 anni fa si era in piena età glaciale: oltre al fatto che il livello degli oceani, a causa dell’acqua contenuta nelle masse glaciali, era parecchio più basso di oggi, la banchisa artica si estendeva fino all’Islanda. Secondo l’ipotesi di Stanford e Bradley, costeggiandola, cacciatori di foche e altri animali marini avrebbero potuto raggiungere l’America dall’Europa in modo relativamente agevole, e diventarvi gli antenati dei Clovis.
Ulteriori ricerche hanno dato loro ragione. A Kennewick nello stato di Washigton (da non confondere con Washington D. C.) è stata rinvenuta la sepoltura risalente a 9.000 anni fa, di un uomo dai tratti singolarmente europidi. Una popolazione di “indiani bianchi” del Nordamerica oggi estinti, erano i Mandan, ma nell’America del sud abbiamo la notizia di due popolazioni di “indiani bianchi” tuttora viventi, gli Aracani che abitano la regione di Tihuanaco e i Kilmes. Su questi ultimi si è largamente diffuso Gianfranco Drioli nel libro Iperborea, la ricerca senza fine della patria perduta. Come se non bastasse, ulteriori prove sono arrivate dalla genetica. Analizzando il DNA degli amerindi, amerindi puri, escludendo meticciati recenti, si scopre mediamente un 30% di geni di origine caucasica.
Il responso è sempre lo stesso: dove troviamo grandi civiltà del passato, troviamo sempre un elemento caucasico. Prendiamo i luoghi del nostro pianeta dove una simile influenza non è riscontrabile: l’Africa subsahariana, l’Australia aborigena, la Nuova Guinea, vediamo che lì le popolazioni native, fino all’arrivo degli Europei non si sono schiodate di un millimetro dal Paleolitico.
La storia, o meglio la preistoria dell’Australia è esemplare. Essa si divide in due periodi, da 50.000 a 30.000 anni fa e da 30.000 anni fa fino all’arrivo degli Europei, il periodo degli attrezzi senza manico e quello degli attrezzi col manico. Questo ci da la misura esatta della creatività dell’uomo non caucasico: ventimila anni per inventare il manico!
La mia trattazione comprende ancora un paio di capitoli: il penultimo l’ho dedicato alla confutazione dell’Out of Africa, ma poiché vi ho anticipato l’argomento all’inizio della trattazione, ora non mi ripeto.
L’ultimo è una cosa particolare. Ho sottoposto le tesi contenute in questo libro al vaglio di tre eccellenti amici, nonché intellettuali della nostra “area”: Michele Ruzzai, Gianfranco Drioli ed Ernesto Roli che, lo ricordo, è stato amico e collaboratore di Adriano Romualdi.
Da tutti e tre, ho ricevuto approvazione e incoraggiamento.
NOTA: Nell’illustrazione, il circolo megalitico tedesco di Gosek (restaurato dai ricercatori), che con un’età di settemila anni, è il più antico monumento di questo tipo conosciuto.