11 Ottobre 2024
Società

Anatomia del pensiero unico – Roberto Pecchioli -prima parte

Sempre più spesso parliamo di “pensiero unico” e perfino di “polizia del pensiero”. Ma che cosa significa, concretamente, pensiero unico? Innanzitutto, non è una novità. Possiamo anzi affermare che l’obbligo (palese o nascosto) di pensare, agire, dire, in conformità ai dettati del potere è una costante della storia umana. Gli ultimi secoli avevano fatto credere che il primato della coscienza individuale e l’estensione di alcune libertà avessero fatto entrare l’umanità in una fase nuova. Il contrordine è brusco, la rivincita del potere fulminea.

Il pensiero unico si presenta oggi in una forma e con modalità assai distinte da quelle di ieri, ma con le finalità di sempre: consolidare il potere, ingannare, impedire un dibattito libero. Conviene iniziare la nostra ricognizione da un esempio concreto. Nei giorni scorsi, Giorgio Agamben, il pensatore italiano vivente più importante, è stato ascoltato dal parlamento sul tema del passaporto vaccinale, green pass nel ridicolo, niente affatto neutrale anglicismo delle classi dirigenti. Il testo della sua audizione è stato prontamente rimosso – cioè censurato – da Facebook, la finta agorà globale posseduta da un giovin signore in maglietta grigia, Mark Zuckerberg. Riportiamo di seguito le motivazioni del Santo Uffizio algoritmico, dietro cui si celano censori in carne ed ossa, seguiti dai passaggi incriminati, bannati da un modello matematico, vietandone la diffusione.

“Il tuo post (che ridicola familiarità! N.d.R.) viola i nostri standard della community in materia di disinformazione che potrebbe causare violenza fisica “. Bum! La didascalia sottostante è una grottesca excusatio non petita – scusa non richiesta – ossia accusatio manifesta. I valvassini italiani di Silicon Valley affermano: “sosteniamo la libertà di espressione, ma non consentiamo la diffusione di informazioni false relative al Covid 19 che potrebbero causare danni fisici”. Sostengono la libera espressione – bontà loro – sempreché essa si accordi con le loro idee: nulla di nuovo sotto il sole. Si è sempre liberi di dir bene del padrone: falso è ciò che lo contraddice. I detentori del giusto pensiero si atteggiano a giudici unici della verità, oltreché esecutori insindacabili della pena, nella fattispecie la cancellazione censoria.

Sorvoliamo sullo sgarbo al parlamento italiano, ovvero – bene o male – a chi rappresenta il nostro popolo, giacché le opinioni di Agamben sono state richieste dal Senato e pronunciate dinanzi ad esso, sia pure in modalità “remota”. Evitiamo altresì di sottolineare lo zoppicante italiano. L’algoritmo non padroneggia la lingua, tra “community” e “standard”. Ce ne faremo una ragione.

Che cosa ha detto di tanto deplorevole il povero, mite Agamben, accusato di “causare violenza fisica “alla soglia degli ottant’anni? Apparentemente, il passaggio che ha destato l’attenzione di Sua Maestà l’Algoritmo è questo: “l’evidente, sottolineo la parola evidente, contraddittorietà del decreto legge 44 del 2021, detto scudo penale ora convertito in legge, con cui il governo si è esentato da ogni responsabilità per i danni prodotti dal vaccino. E quanto gravi possono essere risulta dal fatto che l’articolo 3 del decreto menziona esplicitamente gli articoli 589 e 590 del codice penale, che si riferiscono all’omicidio colposo e alle lesioni colpose. Questo significa che lo Stato non si sente di assumere la responsabilità per un vaccino che non ha terminato la sua fase di sperimentazione e tuttavia, allo stesso tempo, cerca di costringere con ogni mezzo i cittadini a vaccinarsi escludendoli altrimenti dalla vita sociale e ora privandoli persino della possibilità di lavorare. “

Giudizi politici, nessuna valutazione medica, se non la presa d’atto della declinazione di responsabilità per chi produce, distribuisce e somministra i preparati e della circostanza acclarata che qualcuno ha subito conseguenze negative dall’iniezione. Disinformazione?  “Danni fisici” prodotti a chi? Come? “Informazioni false”? Il vero e il falso lo decidono loro, attraverso un potentissimo apparato tecnico a cui hanno fornito indicazioni preventive.

Ecco un primo elemento del pensiero unico: qualcuno definisce il bene e il male e impone ciò che è vero in base a criteri tecnici, anzi tecnocratici. Quel qualcuno, nello specifico, è la scienza ufficiale divinizzata, che peraltro Agamben non ha contestato, limitandosi a constatare quella che – a suo avviso – è un’anomalia giuridica, il fatto che l’inoculazione di farmaci avvenga sotto l’esclusiva responsabilità dei soggetti passivi, cioè noi.

Tuttavia, poiché a pensar male si fa peccato ma si indovina, il vero punto critico delle affermazioni di Agamben è un altro, per i padroni del pensiero: “vorrei attirare la vostra attenzione non [sul] problema medico del vaccino ma su quello politico del green pass, che non deve essere confuso col primo. Abbiamo fatto tantissimi vaccini senza che questo ci obbligasse a esibire un certificato. E’ stato detto da scienziati e da medici che il green pass non ha in sé alcun significato medico ma serve a obbligare la gente a vaccinarsi. “Ahi, ahi, è stato detto, ma non da lorsignori: ergo è falso. “Io credo invece che si possa e si debba dire il contrario, e cioè che il vaccino sia un mezzo per costringere la gente ad avere un green pass, un dispositivo che permette di controllare e tracciare – misura che non ha precedente – i suoi movimenti. Le nostre società sono passate dal modello che un tempo si chiamava società di disciplina al modello delle società di controllo, fondate su un controllo digitale virtualmente illimitato dei comportamenti individuali, quantificabili in un algoritmo. “

La lingua batte dove il dente (del Dominio) duole. Il re è nudo, Agamben scopre le carte del capitalismo della sorveglianza. Va oltre: “ci stiamo ormai abituando a questi dispositivi di controllo, ma fino a che punto siamo disposti ad accettare che questo controllo si spinga?” Pessima domanda, sgradita alla Matrix del pensiero: colpito e affondato. Censurato, si badi, non da un’autorità pubblica, che ha una sua forma di legalità, ma da un’azienda privata, che volentieri ospita ogni banalità, le nostre fotografie in qualunque situazione o le succulente pietanze che siamo in procinto di degustare. Non disturbano i manovratori: non-pensieri ammessi, anzi incoraggiati.

La privatizzazione della censura e l’aziendalizzazione del pensiero unico post moderno sono servite. Nel caso in questione, la Bocca della Verità – Zuckerberg e i suoi colleghi di Big Data, Gafam e Big Pharma – una famiglia allargata i cui domines sono noti – si servono della scienza ufficiale, quella promossa, posseduta e orientata dall’oligarchia padrona, non solo per nascondere la dittatura della sorveglianza, ma anche per accusare di violenza i dissidenti.

Scopriamo qui un meccanismo fondante: la pretesa morale, “ipermorale” del pensiero unico, accompagnata inevitabilmente da censura e inquisizioni. Nella società “liquida” degli individui privi di radici, questa si deve presentare in forme nuove. Un moralismo invertito, ma pur sempre tale. Avverte Alain De Benoist che il pensiero unico post moderno si impegna a ostracizzare, ridurre al silenzio in quanto vuol dare l’impressione di stare dalla parte del Giusto.  Si presenta come l’Impero del Bene (Philippe Muray) impegnato a moralizzare l’intera società attraverso un’idea di giustizia fondata sui diritti soggettivi – che hanno soppiantato quelli sociali- divenuti la religione civile obbligatoria di un bizzarro ircocervo: la società ultra permissiva e insieme iper moralista.

Il secondo elemento del pensiero unico è la comparsa del politicamente corretto, che si può definire in vari modi, ma il cui senso è di non farci più credere ai nostri occhi, ovvero rovesciare – attraverso lo scambio delle parole giustificato dalla cura di non offendere e non giudicare – la nostra percezione delle cose, conformemente all’ideologia dei Diritti e dell’Equivalenza.

Il terzo elemento – ne abbiamo accennato – è che la censura, il divieto non provengono direttamente dai poteri pubblici, ma dai grandi centri di informazione, comunicazione e intrattenimento privati, capisaldi della “società dello spettacolo” (Guy Debord). Tutti sono allineati a un medesimo cerchio di pensiero in cui si manifesta al massimo grado l’egemonia dell’economia, dei valori mercantili, dell’ideologia dei diritti, e poi cosmopolitismo, materialismo pratico, rigetto dei valori comunitari, rimozione, irrisione del passato.

Chi si discosta anche leggermente non è più un avversario ma un nemico del Bene e del Giusto. Visto in questi termini, ogni pensiero dissonante – da qualsiasi sistema di principi sia animato – viene delegittimato per empietà. La fatwa laica, globalista e neo puritana è lanciata: non solo è obbligatorio attaccare senza remissione ogni deviazione dalla linea, ma – in quanto intrinsecamente malvagi, nemici del Giusto – i suoi portatori non possono essere ammessi nello spazio pubblico. Nessun dialogo si può intrattenere con il Male, né devono sussistere limiti nell’azione contro i dissidenti. Di qui la cultura del sospetto, i processi alle intenzioni, le richieste imperative di abiure sempre rinnovate, le accuse senza prove.

Dialogare con il “nemico” significherebbe accordargli uno statuto di esistenza, una dignità che non può rivendicare in quanto estraneo all’umanità, al Giusto, al Bene. Di più: significa contaminarsi, esporsi alla sozzura che egli incarna. La demonizzazione è, alla fine, una categoria teologica, la cui naturale conseguenza è l’istituzione della polizia del pensiero, formata da sacerdoti del Giusto, officianti dell’Inquisizione, punta di lancia della guerra santa contro infedeli ed eretici.

Il clima è irrespirabile: assenza di dibattito, proibizioni, prassi di esclusione sempre più soffocante, sostenuta da un impianto giuridico che nega in radice l’ideologia dei diritti dell’uomo su cui afferma di fondarsi, giacché sono vietati pensieri, parole, persino gesti. La giustificazione è che il nemico è animato dall’odio. Il suo discorso è pervertito da una costitutiva malvagità: ridurlo al silenzio è un’obbligazione morale. La censura è tornata in forze, unita a un dispositivo di sorveglianza mai così potente nella storia umana.

Fin troppo evidente l’antica radice del nemico assunto come capro espiatorio, additato al ludibrio, da sacrificare in nome della tranquillità e del continuo compattamento della schiera dei Giusti. Ciò implica che il pensiero unico ha bisogno di nemici sempre nuovi, meglio se debolissimi o addirittura inesistenti: essenziale è che la maggioranza si convinca della loro oscura cattiveria e della loro opera disgregante. Contro Emmanuel Goldstein, il fantomatico nemico del popolo in 1984 di Orwell, era scatenata la prassi dei due minuti di odio quotidiano. Il pensiero unico odierno fa le cose in grande: la gogna è montata h.24, officiata dai gran sacerdoti tra gli applausi della curva ultrà.

Possiamo deplorare, lamentarci, ma non basta: i fenomeni vanno smascherati, studiati, analizzati, per poter prendere le contromisure e tentare una controffensiva di libertà. Il pensiero unico non è l’Inquisizione, ma il suo presupposto. La definizione più banale – ma anche la più veritiera – è la seguente: si ha pensiero unico quando tutti pensano la stessa cosa o – per meglio dire – allorché le élite politiche, economiche, culturali e massmediali dicono la medesima cosa, imponendola come indiscutibile verità. La domanda è: perché parlano proprio quella lingua unica, qual è la fonte di un conformismo così esteso e soffocante? Tenteremo una risposta nella seconda parte della presente riflessione.

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