Sinora, da parte di chi scrive, il tema della pandemia da Coronavirus è stato trattato sotto i più svariati aspetti: da quello del più intrinseco (ed esoterico…) significato che questo evento potrebbe assumere per i destini d’Occidente, a quello strettamente volto a ricercare le cause apparenti o nascoste di questo evento, sino ad analizzarne le ricadute in ambito strettamente geo-economico. Manca però, quel tassello, in grado di offrirci una panoramica completa ed esaustiva dell’intera questione, quello legato al suo aspetto giuridico e politologico.
Silenziosamente, in modo quasi impercettibile, l’Italia sembra esser passata dallo status di paese a democrazia parlamentare, connotato da un’ampia gamma di libertà individuali, garantite da una Costituzione repubblicana, sinora ritenuta ferrea ed inamovibile guardiana a tutela di tali diritti, ad una forma di “democrazia sospesa”, connotata da una forte compressione delle libertà individuali (in special modo, quelle legate agli spostamenti dei singoli…), ammantata dalla giustificazione, di tali misure esser state adottate a tutela del sacrosanto principio della “salus populi”.
Il tutto corredato dalla frettolosa interpretazione dell’art. 16 della Costituzione medesima che stabilisce che “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”. E su quel “salvo” che, però, si gioca l’intera partita. La giurisprudenza ci insegna che, nel nostro ordinamento vi sono alcuni diritti che hanno la precedenza su altri che, disposti a fare un passo indietro in favore dei primi, pur senza però perder completamente di forza normativa.
Si dice che, in una democrazia quando vi siano in gioco più diritti costituzionalmente garantiti, debba esser necessario un giusto bilanciamento tra i due beni giuridici protetti. Lo scorso 17 marzo Antonello Soro, Presidente del Garante Privacy, in un’intervista pubblicata sul sito della stessa autorità, ha affermato che la forza del nostro ordinamento, non è quella di ammettere un regime “extra ordinem”, ma solamente un regime di emergenza.
Nella nostra Costituzione lo stato emergenziale è la condizione giuridica che legittima una momentanea compressione delle libertà fondamentali, non la fonte giuridica e, pertanto, quelle restrizioni dovrebbero esser soggette a dei ben precisi limiti di legittimità.
Lo stesso ordinamento europeo è incardinato sul principio in base al quale, la legislazione di emergenza è possibile solo quando le misure adottate siano necessarie, idonee e proporzionate. Una cosa, pertanto, sarà emanare dei provvedimenti di chiusura “pro tempore” degli esercizi commerciali, al fine di evitare l’ulteriore diffondersi di una qualsivoglia forma di contagio, oppure, allo stesso scopo, il proibire “pro tempore” qualsiasi tipo di assembramento tra cittadini.
Altra cosa è, invece, arrivare ad impedire la libera circolazione dei singoli cittadini medesimi, sotto qualsiasi modalità, limitandola unicamente ad alcuni e ben giustificato casi, da sottoporre al vaglio dell’autorità di un pubblico ufficiale, previa
autocertificazione. Il tener praticamente reclusi i cittadini presso le proprie abitazioni, impedendone e condizionandone gli spostamenti o il tener chiuse “sine die”, le attività economiche dello stesso, rappresentano una vera e propria, più che vistosa, violazione di quei principi di legittimità, a tal proposito, chiaramente espressi dal dettato costituzionale.
Senza contare le mosse rappresentate dalla commissione di controllo, dall’esecutivo recentemente istituita, per il controllo e la repressione delle cosiddette “fake news/notizie false”, a detta di questi signori, artatamente diffuse sul web e dall’altrettanto recente, approvazione della legge sulle intercettazioni telefoniche.
Accanto al problema di legittimità costituzionale a cui abbiamo sopra accennato, ve ne è un altro, di non minor rilevanza e su cui occorre porre la nostra attenzione. I provvedimenti di limitazione delle libertà individuali, sinora emessi causa “Coronavirus”, non sono passati attraverso il normale iter parlamentare, ovverosia sottoposizione, discussione e valutazione finale, tramite il voto di ambo le camere, bensì attraverso la prassi della decretazione, a cui il nostro esecutivo è più e più volte ricorso, in barba a tutte quelle indicazioni giurisprudenziali, che ne vorrebbero un uso ristretto all’essenziale, per il solo motivo di non ricadere in impantanamenti burocratici di varia natura.
Un altro elemento che contribuisce a conferire un ancor più inquietante alone all’intera vicenda, è costituito dal fatto, derivante da una valutazione meramente politica, della presenza di un esecutivo, ed in special modo della figura di un Premier, non direttamente espressi dal voto popolare. Il che, contribuisce a sottolineare con maggior forza, l’evidente distonia e discrepanza tra l’azione dell’esecutivo e la norma costituzionale, mettendo così in forte dubbio, la stessa validità giuridica di quei decreti, la cui valenza, si badi bene, non è quella di una legge, bensì di semplici decreti di carattere amministrativo.
Senza volersi ulteriormente addentrare in ulteriori questioni di ermeneutica giurisprudenziale, ( un compito questo a cui, da quanto ci è dato sapere, si stanno già occupando vari “team” a tal proposito costituiti…), l’Italia si trova “de facto”, sotto la soffocante tutela di un governo non eletto, che si è arrogato il diritto di decidere della maggiore o minor libertà di movimento dei suoi cittadini, “sine die”, ovverosia senza un preciso termine di scadenza, la quale anche se presente, sulla carta, nei vari decreti, è continuamente soggetta a rinvii, stabiliti con ampio anticipo della scadenza medesima, in conformità ai “desiderata” dell’esecutivo, ispirati alle prescrizioni di sedicenti “comitati scientifici”.
Il tutto, sempre all’insegna dello scopo ultimo della “salus populi”, di fronte ad un parlamento e ad un’opposizione, ridotti quasi ai minimi termini. L’Italia è impercettibilmente scivolata verso una forma di dittatura, per certi versi, peculiare e differente da tutte quelle che la storia degli ultimi cento e passa anni, ha visto sorgere, lungo il suo cammino. Una dittatura post moderna, sorta per motivi tecnico-scientifici, giustificata dall’incapacità, da parte di un esecutivo, di gestire, tramite un’oculata azione preventiva, l’intera vicenda pandemica. Si dice che l’Italia sia stata, tra i paesi d’Occidente, la prima ad entrare in stato di emergenza e l’ultima ad uscirne.
Fatto sta che, di contro alle belle chiacchiere sul tanto declamato “modello Italia”, il Fmi ha stimato al ribasso di un -7% la decrescita del Pil in area Euro, mentre per l’Italia si parla di un umiliante -9%. Mentre Paesi come la Spagna (già duramente colpita dall’epidemia), la Germania ed altri ancora, cercano di tornare in piena attività in tempi rapidi, con tutte le precauzioni del caso, il nostro esecutivo traccheggia e tentenna. Il tutto mentre, al di là di belle parole e slogan roboanti, sempre più va facendosi strada l’ipotesi, apertamente caldeggiata da alcuni settori della coalizione di governo, di usufruire del Mes e dell’offerta della Commissione Europea dei trenta e passa miliardi di Euro, per il nostrano comparto sanitario. Il tutto chiaramente, posto sotto la spada di Damocle degli interessi bancari, alla bella faccia della tanto propalata, solidarietà comunitaria. Il nostro paese si trova sotto una cappa di piombo da cui sembra non esservi uscita.
Le limitazioni alla libertà di circolazione dei singoli, ora vanno a colpire anche quella libertà di manifestare che, mai come in questo contesto, potrebbe assurgere a momento di rottura in grado di far esplodere tutte le contraddizioni che animano l’azione di questo esecutivo. Ora più che mai, certi signori possono impunemente prender decisioni sulla pelle dei risparmiatori e dei lavoratori, incontrando poca o nulla resistenza da parte di un’opinione pubblica, cloroformizzata da un vero e proprio bombardamento propagandistico, senza precedenti, sulla pandemia.
A questo punto, sorge il dubbio sul continuo e quotidiano snocciolamento di cifre su positività, ricoveri e decessi che andrebbero rilette ed interpretate, alla luce di una più ampia ottica. Osservando gli Indicatori Demografici ISTAT relativi al 2019, al 1° gennaio 2020 il numero di residenti in Italia è pari a 60 milioni e 317mila anime. Per i 647mila morti totali in Italia nel 2019, se andiamo a guardare nel dettaglio le tabelle ISTAT sulla mortalità, vediamo che le cause principali di decesso in Italia (gli ultimi dati aggiornati disponibili sono relativi al 2017, su un totale di morti pari a 650,614) sono, anzitutto, legate a tutte le malattie del sistema circolatorio, con più di 230mila persone all’anno. In seconda posizione seguite dai tumori, che causano la morte di 180mila persone. Arriviamo ora all’influenza e alla polmonite. I dati ISTAT ci dicono che su un totale di più di 53.000 morti a causa di malattie del sistema respiratorio nel 2017, 663 decessi sono dovuti a complicazioni da influenza (per lo più in soggetti dai 75 anni in poi) e 13.516 sono legati alla polmonite.
A legger bene queste cifre, il problema determinato dalla presente pandemia, non sta tanto nel numero complessivo dei soggetti risultanti positivi al virus, quanto a quello del gran numero di ricoverati in regime di terapia intensiva, causato dai ritardi nelle diagnosi dell’infezione, dovuti ai precedenti “tagli” alle strutture sanitarie ed all’evidente intempestività con la quale si è affrontata l’intera questione. Altrettanto dubbia, la stessa informazione sulle cifre della pandemia fuori d’Italia e sui suoi effettivi contraccolpi, sulle libertà economiche ed individuali dei cittadini.
Pertanto, a poco vale portare avanti l’indecente paragone con la Cina, paese-continente a vocazione totalitaria, abitato da un miliardo e passa di anime e nel quale, il fermo economico di una regione, può esser rapidamente compensato da altre vicine aree geografiche. Suona altrettanto indecente e preoccupante l’invito del presidente della commissione europea, Ursula Van der Leyen, a non programmar vacanze per l’estate. Di fronte ad una evidente e sempre più spinta, tendenza a limitare arbitrariamente le libertà dei cittadini italiani ed europei, occorre una straordinaria mobilitazione delle coscienze, perché nulla di quanto accaduto rimanga impunito.
A tal proposito, la paventata idea da parte di alcuni gruppi di opposizione di procedere con una serie di atti legali ai protagonisti politici di questa stagione, per le limitazioni della libertà di cui abbiamo trattato, potrebbe essere una risposta vincente non senza, però, addivenire alla netta presa di coscienza di un netto cambio di rotta nel nostro paese, attraverso la definitiva messa in soffitta delle attuali forze politiche, a capo dell’attuale esecutivo.
Lo stesso ruolo delle opposizioni parlamentari, lascia sicuramente perplessi. Accanto a slogan e parole forti, si è praticamente lasciata mano libera all’azione dell’esecutivo, con la scusa della cosiddetta solidarietà nazionale. Pertanto, oggi più che mai, va facendosi presente la necessità di addivenire ad un più ampio e trasversale fronte politico che, lontano dagli schemi e dagli inetti protagonisti di questa stagione, sappia condurre il nostro paese ad una nuova stagione di sicurezza e prosperità. Europa ed industrie farmaceutiche permettendo.
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