Con le elezioni del 16 febbraio 1936 e con il trionfo del Fronte Popolare le sorti della Falange e del suo giovane capo, José Antonio Primo de Rivera, sono segnate. Le due Spagne si contrappongono di nuovo e, questa volta, è il preludio della guerra civile. Le uccisioni gli incendi le devastazioni si perpetrano ai danni dei perdenti – sedi del Fronte Nazionale chiese abitazioni private. La sola Falange, in data maggio ’36, annovera i nomi di quaranta caduti. Appena undici giorni dopo la polizia decreta la chiusura del suo ‘centro nazionale’ al termine di una perquisizione – nel verbale di sequestro una vecchia pistola dei caricatori delle mazze in legno si trasformano in un arsenale di armi. Il 14 marzo – e nei due giorni seguenti – viene emanato il decreto che ne vieta l’esistenza, il suo capo la Junta politica i massimi dirigenti delle province vengono arrestati.
(Della nascita della Falange Spagnola, la bandiera rosso-nera – eco del fascismo del socialismo dell’anarchismo – con il giogo e le cinque frecce quale simbolo dei re di Spagna, la terra e le armi; di José Antonio, sceso in campo per difendere il nome del padre, il generale don Miguel, dittatore in nome del sovrano Alfonso XIII e da questi abbandonato al suo destino, ma consapevole che rinascita ed emancipazione della Spagna passano tramite la repubblica e la giustizia sociale tramite il corporativismo; della prima manifestazione pubblica a Madrid, al teatro La Comedia il 29 ottobre del 1933, dieci giorni dopo aver incontrato a Roma Mussolini, che si conclude con la superba evocazione ‘Il nostro posto è all’aperto, nella notte limpida armi al braccio e sopra di noi scintillano le stelle’; della partecipazione alla guerra civile, ormai Josè Antonio giace in una fossa comune, e del decreto di unificazione voluto da Franco e pronunciato il 19 aprile del ’37 dal balcone della sede vescovile di Salamanca, e di altro ancora… quel che fu nei suoi progetti originari quel che voleva essere e non fu quel che si preservò in simboli immagini sentimenti e quanto le venne snaturato di essenziale qui sarà solo fatto cenno).
Il 12 luglio del ’36 veniva assassinato il deputato monarchico Calvo Sotelo, prelevato a casa da un gruppo di miliziani rossi, che gli fecero pagare il fiero discorso tenuto alle Cortes dopo essere stato minacciato dallo stesso primo ministro Quiroga. Con nobili accenti e tono fermo aveva concluso: ‘… vi ripeterò quello che disse san Domenico di Silos al re di Castiglia – Sire, potete privarmi della vita, ma niente di più –. Ed è meglio morire con onore che vivere indegnamente’. Lo stesso giorno, dal carcere, Josè Antonio scrive a Giménez Caballero, critico letterario e interprete del pensiero falangista, esternando le sue preoccupazioni verso quanto ormai prossimo – siamo a cinque giorni dall’inizio della rivolta – : ‘Una delle cose peggiori sarebbe la dittatura nazional-repubblicana. Un altro falso esperimento che io temo, sarebbe… l’affermarsi di un falso fascismo conservatore, senza coraggio rivoluzionario e senza sangue giovane’.
Perché, se si rileggono i ventisette punti programmatici della Falange, c’è sì un forte richiamo alla nazione quale ‘unità di destino nell’universale’, a cui ‘devono piegarsi inesorabilmente gli interessi degli individui, dei gruppi e delle classi’. C’è sì l’eco della tradizione della Spagna – ‘la nostra volontà tende all’Impero’ (punto 3°) –, espressa, ad esempio, dal motto di Carlo V ‘Plus ultra’. Ma José Antonio – e proprio per questo lo si annovera all’interno del Fascismo europeo – rappresenta le istanze nuove del XX secolo, ove va risolto il problema delle masse nella nazione e attraverso la giusti-zia sociale. Infatti il punto 10 si apre, senza incertezze ed ambiguità: ‘Ripudiamo il sistema capitalistico, perché disconosce i bisogni del popolo, disumanizza la proprietà privata, agglomera i lavoratori in masse informi, soggette alla miseria e alla disperazione’. Ovviamente, proprio perché via spagnola al fascismo, oltre la destra ma non succube alla sinistra, ‘la nostra impostazione spirituale e la nostra coscienza nazionale ripudiano anche il marxismo’. Principi che riaffermerà davanti al plotone d’esecuzione, condotto nel cortile interno della prigione di Alicante, insieme a due falangisti e due Requetés, alle ore 6,45 del mattino del 20 novembre ’36: ‘Vi hanno detto che sono un avversario da uccidere, ma voi ignorate che il mio sogno era – Patria, pane e giustizia – per tutti gli spagnoli, specie per i miseri e i diseredati’.
Su Je suis partout – rivista la più intransigente al Fascismo francese e fedele allo spirito della collaborazione –, in data 4 dicembre 1942, esce un articolo a firma di Robert Brasillach dal titolo L’Assente (riproposto in Brasillach giornalista, a cura mia e di Rodolfo, per le Edizioni Settimo Sigillo), in cui si ricordava come ‘durante la guerra civi-le, all’appello dei morti della Falange, durante il rito dei caduti, la folla rispondeva – Presente! –. Ma al nome di José Antonio, siccome non si voleva credere alla sua morte, si rispondeva – Assente! –. Quanto il giovane capo della Falange fosse prossimo al cuore dello scrittore francese, quale incarnazione autentica e pura dell’eroe, s’è detto introducendo la sua opera di teatro Domrémy.
(E mi ritornava a mente la stanza tua all’ultimo piano dell’Ulmstrasse, quel plaid a coprire il corpo devastato da un camionista ubriaco, le dita intrecciate lunghe e diafane. Era il trentesimo anniversario dell’assassinio di José Antonio e ci eravamo proposti di tornare in Spagna per quel 20 novembre. Di trascorrere quel giorno di solenni cerimonie con i camerati, che ci attendevano. Ad altro ci aveva consegnato il destino. Accendemmo una candela sul davanzale della finestra. In quella sera umida e triste di autunno).
Questa immagine di José Antonio, eroe giovane – muore all’età di trentatre anni – e incontaminato, piace a Maurice Bardèche, amico e cognato di Brasillach. Quando, nel 1963, per Il Quadrato editore (presto trasformatosi in Giovanni Volpe), pubblica Che cos’è il fascismo?, vi dedica una ampia riflessione. Scrive: ‘I soli fascisti autentici, durante la guerra di Spagna, furono i falangisti’. E aggiunge come nel dopoguerra è a lui che guardano con ammirazione e senza riserve le nuove generazioni in quanto il ‘destino tragico lo sottrasse all’amarezza del potere e ai compromessi della guerra’. Annota, però, ancora altro e, cioè, come egli ripetesse che, pur nutrendo simpatie e affinità con i regimi di Mussolini ed Hitler, non si considerasse fascista o, se si vuole, che intendeva percorrere una strada per realizzare un fascismo autonomo da essi e capace di interpretare lo spirito spagnolo…
Fascismo, fascismi: una domanda aperta. Il libro di Bardèche rappresentò per alcuni di noi il superamento di una visione forse troppo angusta dove giocavano interessi di un partito finalizzato a difendere interessi e valori di una borghesia ipocrita e vile e dove l’anticomunismo era la cifra dominante. (Nell’occasione di acquistarlo direttamente presso la casa editrice, vi incontrai Adriano Romualdi e divenimmo amici. Più tardi, anni dopo, Il fascismo come fenomeno europeo fu contributo significativo per tentare di mettere ordine ad una materia multiforme). Certo scoprire come la Patria è là dove si combatte per le mie idee, che conta più un certo modo di essere rispetto a contenuti e programmi – uno stile – può ingenerare rotture sul piano rigoroso del-la ricerca storica ove i paletti contano. Eppure… rimane sempre affascinante quanto il ‘buon’ Nietzsche ci invogliava a preservare in noi il Chaos e, fiduciosi, lasciare libero gioco alle ‘stelle danzanti’.
Con la morte di José Antonio, con l’incrudelirsi della guerra civile, la Falange entra in prima linea, paga un alto tributo di sangue, mentre difficile è mantenersi distinta e distante dalle forze più reazionarie e conservatrici del generale Franco. Quest’ultimo se ne renderà pienamente conto e, in nome del comune nemico, imporrà il decreto di unificazione, dalla sede vescovile di Salamanca, del 19 aprile ’37. I Falangisti e i Requetés vengono inquadrati e subordinati alle forze armate. Rimarranno simboli e la figura carismatica del ‘giovane Cesare’, sepolto con tutti gli onori, al termine della guerra, nella basilica sotterranea della ‘Valle de los Caidos’ ove Franco si riserva un posto al suo fianco, novembre del 1975. Un mito, certo, ma pur sempre un sogno in-franto…
Da parte mia, ‘con le strade brulle e rosse’ la Spagna rimane ‘la notte di Toledo’ ne La ruota del tempo di Brasillach, vissuta prima di leggerne le straordinarie pagine; e rimangono gli amici e i camerati, José Luis ed Ernesto; rimangono i colori i sapori i profumi intensi e tu che mi venivi incontro subito dopo aver attraversato il confine.
Questa, però, è tutta altra storia…