7 Ottobre 2024
Filosofia

Appunti critici sulla filosofia idealista 4 – Antonio Filippini

La “soluzione finale” di Hegel

“[…]mentre in Schelling l’ “indifferenza di soggetto e oggetto” è sostanzialmente l’unica proprietà o qualità dell’Essenza assoluta, in Hegel invece, l’indifferenza di soggetto e oggetto è la proprietà che conviene alla struttura concreta e determinata dell’Essenza assoluta, ossia è la proprietà che conviene al contenuto concreto e determinato in cui l’Idea consiste. Accade cioè che nel primo caso (Schelling) l’indifferenza di soggetto e oggetto, esistendo, si differenzi, e cioè si neghi — accade cioè che l’esistenza dell’Assoluto sia negazione dell’Assoluto (come se l’idea di “uomo”, venendo partecipata in questo mondo, diventasse un “non-uomo”); mentre nel secondo caso(Hegel) questo non accade più, perché l’indifferenza di soggetto e oggetto è l’indifferenza di una struttura concreta, determinata, che non perde, e quindi non nega, questa sua concretezza e determinatezza per il fatto di esistere come natura e come spirito.

L’Essenza assoluta, pertanto, non è indeterminatezza e “notte” in cui le determinazioni concrete della realtà restano cancellate, ma è Idea, Senso determinato del Tutto; e poiché tale Senso può realizzarsi sia nella forma della natura sia in quella dello spirito, l’Idea è indifferenza di spirito e natura senza che per questo la sua realizzazione sia la sua negazione.” (Elaborazione del filosofo Emanuele Severino)

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Che più o meno significa: siccome noi maschi abbiamo certi peduncoli lì in mezzo che alle volte possono infastidirci, no problem, basta tagliarseli via e il problema è risolto!

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Hegel risolve la presunta contraddizione con un semplice sofisma, materializzando lo Spirito e dando un senso determinato all’Idea, cioè restringendo il concetto del reale a ciò che è definito e quindi finito. Già l’indifferenza di soggetto e oggetto è una concezione ambigua che in sostanza dice che la natura dell’Essenza assoluta è di poter essere indifferentemente soggetto o oggetto o qualsiasi altra cosa, allora nell’atto che questo presunto Assoluto si realizzi, si differenzierà e quindi non sarà più sé stesso e quindi si contraddirà. Immaginando l’Essenza assoluta come caos informe, questo caos, facendosi ordinato, negherebbe sé stesso come caos, se invece noi fin dall’inizio questo caos lo chiamiamo “senso determinato del tutto”, allora il suo farsi ordinato non sarà più il suo negarsi, può quindi farsi ordinato senza che questo equivalga alla sua negazione.

Questi filosofi ricorrono all’ “indifferenza” perché non possono dire “trascendenza”, che essi negano per principio, questo è più che altro un loro trucco per ricondurre tutto all’orizzontalità immanentista. Va da sé che facendo procedere tutto da un principio superiore che permane sempre trascendente e incondizionato rispetto alle cose che proietta, non ci sarebbe alcun problema né contraddizione da risolvere.

Mentre il Principio trascendente permane sempre ciò che è nonostante le sue proiezioni o sovrapposizioni, e “tutto compreso” può essere considerato come un Assoluto, perché è “anche questo ma non soltanto questo”, l’Essenza assoluta immanentista, essendo orizzontale, è costretta per forza di cose a essere fatta di ciò che manifesta (“soltanto questo” – Idea, senso determinato del tutto). Abbiamo una soluzione artificiosa di un problema suscitato artificialmente; si imposta una problematica in quel certo modo, per obbligare a una certa deduzione logica, la quale porterà a quella soluzione che magari si era già preventivato fin dall’inizio. Problema (terrorismo, attentati, stragi), reazione (ansia, paura, insicurezza), soluzione del problema (restrizione della libertà, controllo totale, altre guerre di aggressione); questo trucco non è un’invenzione del potere mondialista, già i filosofi idealisti ne avevano fatto un uso abbondante, resta solamente da stabilire se consapevolmente o no, non a caso quel “problema-reazione-soluzione del problema” è modellato sulla “tesi-antitesi-sintesi” della dialettica idealista.

Che si tratti del circolo dell’autoriflessione dell’io dove l’io esce da sé per poi rientrare in sé diventando così cosciente di sé, o che si tratti del circolo dell’autoriflessione dell’Assoluto in cui l’Idea per ritornare a sé deve uscire da sé, si tratta sempre di un circolo orizzontale, dove l’autoriflessione è  anche autofecondazione, e se noi pensiamo di quanto sia poco igienico realizzare questa autofecondazione a livello del corpo fisico, si può ben immaginare di quanto sia assurdo immaginarsela a un livello superiore, che, tra l’altro, implicherebbe che un più possa derivare da un meno. Tanto più che se all’origine c’è solo l’Io o l’Idea, non si capisce come possa uscire da sé, può solo differenziarsi in sé, ma questa differenziazione non fa sparire l’unità iniziale, è solo una sovrapposizione virtuale (maya, illusione), confermando così l’impostazione trascendentale. Per rendere l’idea, se si parte da una linea continua iniziale, questa permane sempre intera, non può essere tagliata in alcun modo, si può solo sperimentare come se fosse tagliata, tracciandoci sopra dei frazionamenti, se così non fosse, allora sì che i singoli frazionamenti sarebbero incomprensibili l’uno all’altro, invece essi esprimono solo un punto di vista secondario rispetto a un’unità sintetica iniziale (che già c’è, non c’è bisogno di costruirla a posteriori).

In realtà la coscienza e la consapevolezza possono nascere solo da uno specchiarsi in verticale in una gerarchia di ordini di realtà. Affinché io possa dire: “tu sei basso”, io devo essere alto, dove “basso” e “alto” sono due livelli qualitativi in rapporto gerarchico. Non è questione dell’io che si contrappone alla natura, ma di un io più limitato che si specchia in un Io più grande che a sua volta si specchia nel Sé; si tratta di un rapporto verticale di tipo trascendente e non di un’autofecondazione orizzontale immanente. Com’è ben dimostrato dalla differente coscienza degli animali rispetto all’uomo. Quando gli animali si specchiano in alto, questo gli rimanda la loro stessa immagine, perciò gli animali sono coscienti di esistere ma non sono coscienti di essere coscienti. Quando l’uomo si specchia in alto, questo non gli rimanda nessuna immagine, perché l’uomo è chiuso in basso ma in alto è aperto all’infinito, è questo che lo rende consapevole. Questo è vero solo in linea di principio, perché poi l’uomo nel suo vivere si crea tutta una serie di cristallizzazioni e di condizionamenti che fungono da specchio riflettente, e così l’uomo si ritroverà prigioniero dei suoi condizionamenti; se vorrà ritrovare quella consapevolezza cristallina e illimitata delle origini, dovrà eliminare quei riflessi imprigionanti.

sev_filmodernaLa logica che l’immanentista fa finta di non vedere, è sempre quella: per impugnare un qualsiasi strumento e poterlo usare, bisogna essere di là da quel strumento; per poter concepire un pensiero, occorre che in noi ci sia una valenza che sia al di là del pensiero stesso, altrimenti come potremmo concepirlo? Un qualsiasi strumento non può impugnare sé stesso, nemmeno se si tratta di uno strumento mentale, uno strumento, per sua stessa natura, deve essere impugnato da un altro fattore che strumento non è. La filosofia che noi conosciamo, è la conseguenza dell’invasamento nel proprio strumento conoscitivo, i filosofi si sono identificati con il loro strumento conoscitivo e lo fanno parlare, è il loro strumento deduttivo, logico, razionale, pensante, che pretende di afferrare sé stesso; è il mentale che pretende di afferrare sé stesso, da sé stesso e senza uscire da sé stesso (autoriflessione, autofecondazione), ed è come se uno strumento pretendesse di impugnare sé stesso.

Qualsiasi strumento, appunto perché è tale, ha bisogno di essere impugnato da un elemento “altro” collocato di là da sé (in senso esistenziale – trascendenza), per lo strumento questo “altro” non è affatto “l’altro da sé”, ma è invece il “Sé” dello strumento, perché lo strumento fa parte del mondo di colui che lo impugna che, creandolo, lo ha dotato automaticamente di una causa intrinseca, cioè l’essenza dello strumento non dipende da alcunché di esteriore se non per la sua funzione (interdipendenza in manifestazione). La ragione d’essere dello strumento pinza (come di qualsiasi altra determinazione) è intrinseca perché deriva dal suo Sé (il suo costruttore o ideatore), non deriva affatto da una causa estrinseca come sostiene l’idealismo dialettico, che la identifica con il suo contrario che la nega (l’oggetto materiale). L’idealismo dialettico  afferma invece che la ragione d’essere della pinza sta nell’oggetto solido che tale pinza deve afferrare, che si presenterà come il suo contrario che la nega, ragionamento contorto, illogico  e assurdo, che ha il solo scopo di eliminare il terzo incomodo (per l’idealismo immanentista), colui che sta di là della pinza e dell’oggetto solido, che trascende questi due fattori e la stessa azione dell’afferrare (che riguarda solo lo strumento, colui che lo usa, è libero di agire e di non agire). Questo significa che la triade funzionale che noi conosciamo, non è più sufficiente a spiegare la realtà, è un banale mezzo conoscitivo: conoscente, conosciuto, azione del conoscere, riguardano solamente la Realtà Manifesta e il mentale umano, ma al di là di questi c’è la Realtà Non Manifesta e il cosiddetto Spirito, dove risiede la vera Potenza realizzativa (concepita in senso iniziatico e non come realizzazione formale), effettiva padrona della triade funzionale perché appunto di là da essa, e per tale ragione non può “apparire esteriormente” o formalmente. Tutto in omaggio a un altro principio metafisico, il quale afferma che: “Qualsiasi Principio o Potere creativo permane sempre trascendente e incondizionato rispetto alle cose che crea, altrimenti non potrebbe nemmeno essere “principio”, né riuscirebbe ad essere “creativo”. Esempio: il potere ideativo dell’architetto e la banale abilità manuale del muratore sono fattori che permangono sempre trascendenti e incondizionati rispetto alle cose che creano, restano sempre indipendenti dalle cose che producono, non sono oggetti formali e perciò possono produrre qualsiasi forma, appunto perché si trovano di là da ogni forma.

Riferimenti:

Emanuele Severino – La filosofia antica – Rizzoli Editore

Emanuele Severino – La filosofia moderna – Rizzoli Editore

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