Estremisti e radicali
Tutto quanto abbiamo esposto, che stiamo comunque perseguendo almeno in parte, ha delle caratteristiche particolari. Una strategia; una prospettiva storica e non antistorica; una continuità ideale non contaminata da cantonate di moda; un’articolazione leggera e sfumata; l’identificazione dei soggetti sociali sui quali operare; la convinzione che il risultato non debba avere visibilità per essere palpabile e che non ci si debba contornare quindi di successi apparenti o di numeri acclamanti per sentirsi vivi e forti; la certezza che sia invece l’opposto a corrispondere meglio all’essere e al creare. Siamo convinti che la sinergia, anche quando non voluta, sia vincente e che nell’impersonalità risieda l’unico trionfo. Crediamo che il seme fruttificherà, non concepiamo che il seme si pretenda frutto.
Ne devono discendere le considerazioni sui ruoli che è proficuo assumere e su quelli che sono sterili o controproducenti, nonché sulla differenziazione dei target e degli strumenti. Attenzione però a non acconsentire superficialmente e di sfuggita, come un concetto sul quale concordare in teoria: o lo si applica o è come se non esistesse. Un’impostazione di questo genere può confondere le idee a chi si senta perso e cerchi soluzioni belle e pronte, ma rappresenta il solo potenziale per un’azione adatta al tempo e che resiste al tempo senza obbligarci a ripartire continuamente da zero. Sono diverse le esigenze e le possibilità a seconda che si parli di soggetti politici o di singole persone che vogliono fare qualcosa. Vediamo cosa è adatto agli uni e cosa agli altri. Quale ruolo può assumere una realtà radicale e identitaria e quali invece non le sono consoni?
Una realtà identitaria ha due funzioni essenziali: quella di fornire al proprio popolo gli elementi identitari e una formazione etica, esistenziale, culturale, politica, spirituale al suo materiale umano e militante che deve rappresentare di per sé, e a prescindere dalla funzione fisica che assume, la colonna vertebrale di una società che nella liquidità s’ignora. Deve quindi essere avanguardia esistenziale e culturale con possibili incursioni corsare, stile Defend Europe per fare un esempio pratico. Piantare lancia e bandiera sul terreno identitario serve a mantenere in vita una fedeltà e a captare energie giovani. Il vivaio poi non deve alimentare solo l’orticello di casa ed essere funzionale solo a questo; le persone non devono limitarsi a obbedire e a eseguire i compiti affidati dal gruppo, ma vanno invitate a studiare, a crescere anche professionalmente, scegliendo attentamente gli sbocchi. Se frequentano Giurisprudenza è meglio che puntino a diventare magistrati piuttosto che avvocati. Infine, se questa coesione identitaria è anche stilistica, e se si libera del narcisismo oggi tiranno, a questo livello si può essere esempio e un monito anche temuto nei confronti di quelli che la politica la fanno come professione. Altro insegnamento del passato sui ruoli e funzioni che sembra sia stato oggi dimenticato da quasi tutti.
Nessuno ovviamente può dissuadere le singole realtà dal seguire le strade abituali nel provare a ingrossarsi e a incidere con un’affermazione politica che ha soprattutto il valore di testimonianza. Per inciso sarebbe ora di abbandonare le derive economicistiche e i toni da tribunato qualunquista, di scegliersi dei nemici più significativi di quelli indicati e, soprattutto, di esprimere qualcosa che stia ben al di sopra delle diatribe di ragionieri e numismatici. Mi rendo conto che questo offre la decadenza, ma si può alzare un minimo la testa e dire qualcosa che faccia fremere i cuori e i polsi a gente che non si scaldi per delle emozioni a buon mercato. Questo, a prescindere dal risultato elettorale, è un fatto di buon gusto. La molla per il consenso non può essere rappresentata dal raccogliere la sfida degli antifa e dall’odio nutrito dai malvagi, serve qualcosa di molto più alto e profondo. Comunque lo faccia, nessuno impedirà a qualche realtà identitaria di continuare a presentarsi alle elezioni anche perché questo genere di routine gode di vetrine e facilita i reclutamenti.
Va bene anche questo genere di attività, resta da stabilire per farne che e poi bisogna capitalizzarlo. Si sia comunque consapevoli che queste scelte elettorali, fermi restando tutti i vantaggi che ne possono venire a chi le gestisce, non hanno sbocchi strategici. È il sistema odierno che lo vieta ormai da tempo e fa sì che l’estremismo sia nemico involontario ma certo della radicalità perché crea delle polarizzazioni emarginanti neutralizzando o comunque ostacolando le possibilità di produrre una trasformazione radicale delle élites. Non vi è alcun esempio in Europa dal 1946 ad oggi in cui sia accaduto qualcosa di diverso; questa maledizione ha inchiodato addirittura il Partito Comunista Italiano che pur entrando nella maggioranza di fatto non riuscì mai a liberarsi della pietra al collo che gli impedì di nuotare fino alla meta. È pur vero che si sono verificate certe condizioni in cui partiti estremisti hanno inciso come equilibratori momentanei: accadde saltuariamente al Msi, è successo recentemente all’Afd. In altri casi hanno assunto un ruolo combattivo privo di possibilità di vittoria ma seriamente mobilitante, come il Front National di Jean-Marie Le Pen o Alba Dorata. Ma i partiti estremisti sono stati più spesso utili alla polarizzazione in negativo e ad essere impugnati dal di fuori a vantaggio del sistema com’è avvenuto paradigmaticamente per il Front National della figlia Marine e anche per lo Jobbik nella revisione costituzionale ungherese. Se andiamo a guardare ci accorgiamo che a gestire delle rivoluzioni sono stati sempre e soltanto degli uomini provenienti dal mondo moderato e lo hanno fatto, o almeno lo hanno tentato, con etichette moderate. Che si parli di Gronchi o di Mattei, di De Gaulle o di Pacciardi, di Craxi o di Mitterrand, di Orban o di Macron, la radicalità, di qualsiasi segno fosse o sia, si è condensata nel centro non nelle estreme.
Plus e/o handicap
Il che, sia più che chiaro, non è un invito all’entrismo che è tanto mortificante quanto inefficace; è ben diversamente un richiamo alle azioni a domino che sono ben possibili se si tiene perfettamente conto delle caratteristiche che si posseggono e se si sa riconoscere quando queste si tramutano in un plus e quando in un handicap. Fino a quando si è cioè un motore e a partire da quando si diventa invece un puro e semplice elemento di attrito. Immaginarsi tanto come una marcia in più quanto come un handicap e sapersi strumentalizzare a intermittenza, ora con la presenza e ora in incognito, è la chiave del successo. Strumentalizzare se stessi, non utilizzare gli altri per nutrire il proprio ego! Lo scopo della dinamica politica non può essere né quello di una velleitaria polarizzazione estremistica, né quello di un grigio trasformismo. Si deve assumere la capacità di muovere un’azione proteiforme che sia destinata innanzitutto alla semina e alla fertilizzazione e quindi al suggerimento attivo di una forza centripeta e rivoluzionaria che nasca da mille rivoli, un po’ come fu il caso del peronismo. Questo è qualcosa che avverrà, forse, in futuro, ma cui diamo importanza più per rassicurarci di quanta ne abbia di per sé. Nella società liquida poco conta infatti se si assumerà o meno una forma plastica, quello che conta è rivoluzionare ogni cosa, impalpabilmente o perfino tangibilmente, in ogni direzione e che ogni cosa rivoluzionata resti poi tale nello scorrere quotidiano che determinerà a sua volta. “Panta Rei”, tutto scorre, avrebbe sostenuto Eraclito e proprio nel saper come far scorrere affinché germoglino ovunque i germi dell’Eterno e del Retto risiede la chiave dell’azione di questo inizio millennio.
SEGUE
Gabriele Adinolfi