11 Ottobre 2024
Storia delle Religioni

Archeoastronomia e indoeuropeistica comparata: le nuove ricerche di Marcello De Martino – Luca Valentini

Torniamo in questa sede ad occuparci con vero piacere di un amico sincero di Ereticamente, Marcello De Martino, fine ed affermato storico delle religioni, e della sua profonda esegesi che da diversi anni interessa simultaneamente sia il campo inesplorato dell’archeoastronomia sia quello, ben più conosciuto, degli studi sulle civiltà indoeuropee. Tale occasione ci è stata offerta grazie ad un invito che questa redazione ha ricevuto sia dallo stesso De Martino che anche e soprattutto da un’altra cara amica, la prof.ssa Rosa Ronzitti, glottologa dell’Università di Genova, ad assistere al XVIII Convegno annuale della Società Italiana di Archeoastronomia dal titolo“…in purissimo azzurro veggo dall’alto fiammeggiar le stelle” che si è svolto da lunedì 22 ottobre 2018 a mercoledì 24 ottobre 2018 presso l’Aula Magna della Scuola di Scienze Umanistiche del medesimo ateneo ligure. In tale circostanza il prof. Marcello De Martino ha tenuto una vera e propria lectio magistralisdal titoloIl setaccio in cielo. I nomi delle Pleiadi nella mitologia indiana e il loro retaggio indoeuropeo, riprendendo in parte quanto aveva già avuto modo di approfondire lungamente nel capitolo IX de Le divine gemelle celesti. Sacertà del fuoco centrale e semantica dell’aurora nella religione indoeuropea, uno dei suoi ultimi testi pubblicati per le Edizioni Agorà & Co. di La Spezia. Dell’intervento

del Nostro è nostra intenzione sottolineare alcuni punti, perché essi avvalorano tutta una certa ermeneutica inerente alla religiosità arcaica, che presuppone non solo una stretta relazione tra culti e sfera astrale ma soprattutto un’interconnessione tra forme tradizionali apparentemente diverse e distanti, ma aventi comunque un humus sapienziale discendente da una comune koinè ancestrale, appunto quella di natura indoeuropea.

Nello specifico è stato evidenziato come il numero di solito connesso alle Pleiadi, il sette, di cui sei visibili e una no, fosse abbinato anche alle sacerdotesse dedite al culto di Vesta(sei normative più quella “perduta”). Più precisamente le stelle della costellazione delle Pleiadi sono in realtà nove, sette riferendosi ai nomi delle ninfe citate (Asterope, Merope, Elettra, Maia, Taigete, CelenoeAlcione) e le altre due essendoAtlante e Pleione, cioè, sempre secondo la mitologia greca, i genitori delle stesse Pleiadi. Un analogo riferimento astrale De Martino lo ha ritrovato nella cosmologia di derivazione indiana, in cui non casualmente vi sono le sette Kṛttikāḥ, sette verginiproprio come le vestali romane, le quali sono le nutrici di Kārttikeya, il dio indiano della guerra omologo del Marte romano, il Comandante della Milizia Celeste, le cui denominazioni sanscrite sono: Ambā, Dulā, Nitatnī, Abhrayantī, Meghayantī, Varṣayantī (o Stanayantī), Cupuṇīkā. Non vi sarebbe, secondo lo studioso, un’influenza diretta tra mondo indiano e quello grecoromano, ma una comune conoscenza indoeuropea, connessa con il culto del Fuoco Centrale (Agni – Hestia – Vesta) e collegato ad un vero e proprio processo di iniziazione. La captio, come conferma anche Andrea Carandini (“Aspetti verginali, matronali e virili delle Vestali”, in Il fuoco sacro di Roma, Edizioni Laterza, Bari 2015, pp. 77ss.), era la cerimonia pubblica con cui delle puellae del patriziato, addestrate secondo la dottrina sacrale romana, recidevano il legame con la famiglia di appartenenza, quindi con la patria potestas, per divenire sacerdotesse pro populo Romano Quiritibusque, erroneamente considerate spose o nuptae. Inoltre, il simbolo del setaccio o del crivello associato da De Martino alle Pleiadi può assumere, dal nostro punto di vista, un significato prettamente anagogico: il settenario è da sempre abbinato alla gerarchia cosmica atta alla reintegrazione dell’Ente, cioè il graduale processo metanoico tramite cui la molteplicità indifferenziata ritrova la via dell’Assoluto; e la funzione degli Astri che cosa rappresenta se non la perfetta e migliore mediazione tra il mondo umano e la sfera dei Numi? Il crivello in alchimia costituisce proprio il filtro della materia che deve essere purificata e ricondotta all’essenzialità, la griglia attraverso la quale le influenze celesti possono giungere e diffondersi nel cosmo e, parimenti, ritornare alla primordiale dimora di emanazione.

Oltre al convegno citato, è nostra intenzione riferirci a due recenti pubblicazioni del prof. Marcello De Martino. La prima di queste è rappresentata dal volume edito per le Edizioni Settimo Sigillo di Roma dal titolo flāmen-brahmán. La forza montante della fiamma sacra in cui si riprende un’irrisolta questione sui rapporti tra il flaminato romano e la casta brahmanica indiana e sulla possibilecomparazione delle rispettive figure sacerdotali. Se il primo accostamento operato da Georges Dumézil nel 1935 (p. 7ss.) appare ad una rigorosa analisi filologica alquanto improbabile, essendo stata destrutturata la comune radice etimologica dei termini flāmen e brahmán, l’analisi può, al contrario, essere condotta entro ambiti diversi e forse ancor più pertinenti. Se lo stesso Dumézil, come scrive De Martino, a seguito di successive rettificazioni ebbe a negare la comunanza etimologica, introducendo, nello schema trifunzionale indoeuropeo, la figura del flamine (quello di Giove, in particolare, il Dialis) ed il brahmano in una medesima categoria sacrale, cioè quella della prima funzione, prefigurando, come ipotizza l’Autore, l’esistenza di un ancestrale e comune “facitore del sacro”, la domanda, mai posta in precedenza, è: quale elemento essenziale potrebbe aver accumunato queste due figure afferenti a due tradizioni della medesima koinè indoeuropea? La risposta del nostro assume caratteristiche simili a quella di un Colli quando descrive le pecularità ontologiche degli sciamani della prima religiosità artica e successivamente orfica, cioè la potestà che determinate persone avevano di impersonare un collegamento reale e spirituale con l’invisibile ovvero con le divinità, essere, cioè, letteralmente dei “ponte-fici”, ossia dei facitori di ponti verso sfere del sovrumano tramite l’utilizzo dell’elemento divino per eccellenza, il fuoco ovvero la fiamma sacra:

…il fuoco sacrificale porta su dalla terra con la sua “colonna” infiammata l’offerta agli dèi superi…la capacità di costruire un “ponte”, cioè di aprire una strada ove far percorrere gli uomini per condurli a mangiare con le divinità celesti, è un evidente modo simbolico per esprimere la capacità cinetica del fuoco di portare in alto l’offerta sacrificale mediante combustione” (p. 86).

La forza montante della fiamma sacra simbolicamente può rappresentare quasi una colonna infuocata, o un albero (noto è il simbolismo indù dell’albero rovesciato che collega i mondi) che risale verso l’Olimpo o che dall’Olimpo discende, non solo con la luce, ma soprattutto con il fuoco, quindi con i fulmini. In tale prospettive, le considerazioni dell’autore inerenti al simbolismo della quercia e del dio del Fulmine indoeuropeo, come già rammentato nel suo Arcana Verba II, ovvero di Iuppiter Feretrius (p. 116),e di Iuppiter Elicius aggiungiamo noi, non sembrano essere peregrine, ma al contrario ben fondate logicamente e filologicamente:

riusciamo ora a comprendere il senso del misterioso piattello discoidale posto al vertice dell’apex, il berretto dei flamini … ma forse per i sapienti romani il disco sul pilleus del flāmen raffigurava schematicamente la pianta rotunda dell’aedes di Vesta, una concezione, quest’ultima, che dal punto di vista teologico era poi la medesima di quella precedente, se è vero che l’edificio sacro alla dea romana era visto come la riproduzione in terra dello spazio siderale e del suo Fuoco centrale” (p. 79 – 80).

Il secondo testo, infine, a cui facciamo riferimento con piacere è Müller, Frazer, Dumézil. Perspectives from the past to the future, pubblicato sempre per le Edizioni Agorà & Co. di La Spezia, il quale costituisce la raccolta degli Atti del Primo Convegno del comitato scientifico della collana Speaking Souls-Animæ Loquentes tenutosi giovedì 12 ottobre 2017 all’Academia Belgica di Roma. Il titolo di quella giornata di studi, ossia The Comparative Mythology today: Müller, Frazer, Dumézil. Perspectives from the past to the future, riflette solo in parte le finalità che si son volute dare alla collana medesima, la quale ricopre una più ampia varietà di discipline, tra cui spiccano la linguistica, l’antropologia e la storia delle religioni. Se il comparativismo come disciplina storica è stato l’interesse primario dei partecipanti al convegno, le relazioni ivi pubblicate spaziano, però, dall’archeologia all’etimologia e alla storiografia religiosa. Questo è il primo di una serie di volumi che costituiranno l’espressione scritta di incontri a cadenza periodica a cui parteciperanno degli studiosi che aderiscono alla filosofia ispiratrice della collana editoriale diretta dallo stesso Marcello De Martino: i membri del comitato scientifico sono stati gli iniziatori di un discorso di interdisciplinarietà che vede nei fenomeni religiosi presenti nel mondo antico il proprio centro d’interesse. Come rammenta De Martino nella sua introduzione, i Pontifices, secondo un’etimologia varroniana, costruivano dei ponti, i quali in origine erano anche cammini, come dimostra l’omologo termine sanscrito Pathikṛt dato ad Agni, il dio-fuoco indiano; aprire cammini inesplorati, stabilire dei ponti tra le diverse discipline dell’antichistica è il fine di questi incontri e di queste meritorie pubblicazioni, affinché si possano aprire nuove strade di ricerca e di consapevolezza circa le nostre radici indoeuropee e grecoromane: in ciò, come ben sanno i nostri lettori, Ereticamente sarà sempre al fianco di personalità di assoluto spessore come Marcello De Martino.

Luca Valentini

 

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