Altrove mi sono occupato della vita e dell’opera filosofica e matematica di questo scrittore e rimando il lettore desideroso di approfondire ai volumi elencati nel sito dell’Associazione Culturale IGNIS: ( http://www.ignis.xpg.com.br )
L’esame di alcuni testi di carattere politico mi permetterà di esaminare gli aspetti del pensiero di R. sulla tradizione in generale e di evidenziarne i punti di contatto e di divergenza col pensiero di Julius Evola (1898-1974) e di Rene Guenon (1886-1951) che sono considerati insieme a Guido De Giorgio (1890-1957) gli autori più versati negli studi tradizionalisti.
Nella maggior parte dei casi ho preferito un’esposizione testuale e lasciare la parola allo stesso Reghini. Si tratta in realtà di testi difficili da riassumere e i brani riportati permetteranno al lettore di rendersi conto da solo della lucidità e della profondità del pensiero reghiniano.
Preso atto del fallimento politico e dello sconfortante epilogo che il pensiero evoliano e in parte anche quello guenoniano hanno avuto tra i militanti di destra, con questo saggio mi propongo di fornire specialmente ai più giovani, senza alcuna distinzione di destra o sinistra, anzi nello spirito di un superamento di queste fittizie contrapposizioni ideologiche, uno strumento di meditazione e di azione meta-politica col quale ricominciare la ricostruzione morale e politica dell’Italia, umiliata dalla sconfitta militare dell’ultima guerra e governata da regimi politici succubi dello straniero occupante.
2. Ecco i pilastri del pensiero politico reghiniano:
a. il paganesimo, gioioso e tollerante, eclettico e pragmatico e più particolarmente il pitagorismo e la tradizione dei Misteri;
b. l’imperialismo, con un’ estensione storica e politica che include il ghibellinismo, il pensiero di Dante e il concetto di “gerarchia”;
e. il nazionalismo che non si oppone all’idea imperialista e la cui origine va ricercata nella tradizione di Roma e nell’unità geografica e politica dell’Italia.
Il tutto sotto l’usbergo di una Scuola o tradizione italica che non è altro che la continuazione, a volte palese, a volte occulta, della Scuola Pitagorica.
Eviterò di parlare della massoneria filosofica perché, per quanto essa abbia avuto grande importanza nella vita di Reghini, da questi era vista in maniera diversa dai massoni del suo tempo, come una derivazione degli antichi misteri pagani e della dottrina pitagorica e quindi funzionale al suo disegno politico imperialista.
Ai suddetti tre termini positivi Reghini oppone:
a. il cristianesimo, triste e intollerante, dogmatico e sentimentale, asiatico;
b. il guelfismo e il clericalismo che rappresentano l’invadenza della religione negli affari dello Stato, la democrazia e l’umanitarismo, questi due ultimi creature della rivoluzione francese;
e. l’internazionalismo, spesso identificato a quello della Chiesa e dei gesuiti, in risposta ai nazionalisti guelfi che identificavano l’internazionalismo soltanto a quello della massoneria.
Cercherò adesso di riassumere la sua visione meta-storica. La tradizione per eccellenza è la “tradizione occidentale” , intesa come una forma appartenente ai popoli europei ed opposta pertanto alle tradizioni orientali asiatiche, levantine,semitiche con tutte le varie sfumature che le caratterizzano.
La “tradizione occidentale” risale alla tradizione primordiale, iperborea, da cui discende attraverso i canali del pitagorismo, del mondo greco, egiziano poi ellenistico, fino a Roma, l’ultima manifestazione, la più alta.
Vinta, ma non annientata dal cristianesimo, la tradizione occidentale pagana ha continuato a vivere come una potente corrente sotterranea, facendo da supporto a movimenti politico-spirituali come il ghibellinismo nel Medio Evo, una sorgente inesauribile a cui attinsero diverse organizzazioni iniziatiche: ermetisti, templari, Fedeli d’Amore, Rosa-Croce, massoni ecc. i cui diversi esponenti furono sistematicamente perseguitati dalla chiesa.
Tradizione, sia ben chiaro, presente in tutte le nazioni d’Europa anche se l’Italia, ci tiene a precisare Reghini facendo suo il mito di Saturno, ha conservato e nel quale si è occultato il centro propulsore.
Roma, infatti, è stata la capitale di un Impero ed il cristianesimo, nemico di quell’Impero e dei culti che in esso si praticavano, si oppose sempre, con l’aiuto di potenze non italiane come Francia, Germania, Spagna ecc, alla riunificazione politica dell’Italia.ed alla proclamazione di Roma capitale d’Italia.
E poiché Pitagora, benché di lingua e di cultura greca, si riteneva fosse di origini toscane ed in Italia aveva fondato la sua Scuola, la “tradizione occidentale” è una “tradizione italica” e Napoleone, di famiglia italiana, è esaltato come una delle ultime espressioni della tradizione imperiale e pagana.
Tra questi due casi estremi dal punto di vista cronologico Reghini fa i nomi di numerosi uomini celebri e dichiara nell’infuocato clima politico di allora che un vero nazionalista “deve volere al disopra di tutto il bene della nazione “.
“Se l’Austria resta sempre la vecchia Austria clericale, in ottimi rapporti con la Compagnia [di Gesù], la Francia, dopo aver corso di cadere nelle mani dei clerico-militaristi a causa dello sfortunato caso Dreyfus, è anch’essa nemica dell’Italia, anche se ora manovra per il tramite della massoneria e della democrazia” (“Imperialismo Pagano” Atanor, 1924).
“Il papato è un ‘istituzione essenzialmente internazionale, ufficialmente cattolica, e i clericali, nella vita politica di tutti ipopoli, rappresentano l’esercito di questa istituzione; diventare dei nazionalisti, è per loro perdere la loro stessa natura “.
E ancora: “Con Dante la concezione monarchico-romana, divenuta la tradizione imperiale italica riprende visibilmente e integralmente coscienza di se stessa. Questa grande idea unisce infatti tra loro Numa, Pitagora, Cesare, Virgilio, Augusto, Dante e gli altri grandi italiani venuti dopo “.
Aggiunge: “Dante non era cattolico e il suo imperialismo era pagano e romano! ” “Dante si atteneva alla grande e immortale Tradizione della Scuola Italica, cronologicamente e essenzialmente anticristiana”, (idem, 1924).
3. Quanto a Machiavelli, è esaltato da Reghini perché il segretario fiorentino ha visto il pericolo rappresentato dalla divisione politica dell’Italia; mentre gli altri popoli si costituivano in unità politiche Machiavelli invocava per l’Italia la venuta di un principe capace di compiere l’opera di unificazione.
Altri gloriosi italiani: i neo-pitagorici Giordano Bruno, Bernardino Telesio, Tommaso Campanella, precursori e iniziatori della moderna filosofia europea, davano origine alla cultura laica occidentale che “disinfetterà lentamente dal cristianesimo la mentalità europea “.
Siamo quindi arrivati alla Rivoluzione Francese, “risultato, si sa, dell’opera pratica delle società segrete, della massoneria e dell’illuminismo, tutte animate da uno spirito profondamente anticristiano” , ma è necessario guardare a fondo nell’opera “di un altro grandissimo italiano, Giuseppe Balsamo, più conosciuto come conte di Cagliostro, meraviglioso rappresentante dell’esoterismo italiano”. (AR, Cagliostro, Ignis, 2006).
Ed era ancora “un altro grande italiano [che] arginava e dominava la Rivoluzione francese, facendo di essa lo strumento dell’immensa energia scatenata per realizzare l’Impero”.
“L’aquila romana prendeva dunque dì nuovo il volo con le legioni napoleoniche e l’Italia tornava alla libertà (…). Dopo la caduta dell’Impero, il cristianesimo, con i suoi rami cattolico, protestante e greco-ortodosso ricominciava, grazie alla Santa Alleanza, a pesare su tutta l’Europa. Tuttavia, due giovani generali agitavano nel loro spirito l’antica idea immortale: Giuseppe Mazzini, il veggente genovese, il quale diceva che l’Italia era predestinata da Dio a dominare sui popoli, a dare al mondo, dopo Roma, la luce di una terza civiltà; e Giuseppe Garibaldi, che aveva una visione chiara dell’importanza trascendentale di Roma per il destino dell’Italia” (Imp. Pag. Atanor 1924).
Reghini consacra un vero culto a Mazzini e Garibaldi, per essere non solo i “padri della patria” ma per le loro doti particolari. Nello scritto “Del Simbolismo e della Filologia” (1914) parlando dell’oro “simbolo del tesoro metafisico, della divina luce” e del suono emesso dall’oro, ricorda “certe voci, armoniose e pure, misteriosamente affascinanti – come quella che aveva Garibaldi” e che sono dette “voci d’oro”.
Quindi esclama: “Oh, possa l’esempio di questi grandi uomini non sospetti di cristianesimo essere seguito dai repubblicani che hanno abbandonato lo spiritualismo mazziniano per le teorie materialiste importate dalla Germania! “.
E se questa nazione è biasimata per il suo materialismo e l’Austria per il suo clericalismo, nemmeno la Francia ha motivo di rallegrarsi visto che Mazzini aveva “avvertito gli Italiani di non fidarsi della Francia”. La conclusione non è meno netta: Reghini rivendica “l’immutabile paganesimo dell’imperialismo italiano”, di una “tradizione, vecchia di trenta secoli, puramente italica” opposta a “una religione esotica che non ha smesso di essere, per venti secoli, la disgrazia dell’Italia”.
4. Discorso più complesso è la critica della democrazia con cui R. sapeva di dover affrontare problemi di enorme portata e con i quali tutte le forze politiche e sociali del suo tempo erano impegnati.
Tra Bruto che aveva assassinato Cesare e Cesare caduto vittima di una congiura, Reghini non aveva esitato a mettersi dalla parte di Cesare che si accingeva a compiere “la grande opera romanamente concepita”. Bruto pugnala Cesare in nome di presunti ideali di libertà che accendevano i cuori dei democratici e dei massoni, mentre Cesare il dittatore era visto come il simbolo della tirannide e dell’impero.
Reghini conduce la sua critica della democrazia partendo dalla matrice ideologica degli “immortali principi dell’ ’89” visti come il vessillo contro-iniziatico innalzato dagli illuministi francesi per combattere “la monarchia, la nobiltà e il clero, in nome di fantastici diritti naturali dell’uomo”.
In buona sostanza, un problema della società francese di rapporti tra il ceto popolare e le avidi classi feudali della nobiltà e del clero, viene elevato a dimensioni universali e col supporto della massoneria locale aspira a legittimazioni iniziatiche e spirituali.
Eppure, la massoneria inglese, chiarisce Reghini, era nata nel 1717 senza quelle pretese rivoluzionarie.
“Il suo rispetto per il governo costituito è esplicitamente e tassativamente affermato dalle Costituzioni ed è sempre stato osservato in due secoli di storia ”
“Ma quando la massoneria nel 1730 circa passò dall’Inghilterra in Francia…trasportò nel campo sociale il concetto del brotherly love e della uguaglianza iniziatica… “.
Ciò non poteva che peggiorare le cose e soprattutto non poteva che aprire le porte a quelle potenti forze sovversive già pronte a irrompere in tutte le istituzioni e a dare il colpo di grazia all’assetto politico europeo minato dall’interno.
“La massoneria italiana, inoltre, come quella francese, più che determinare l’indirizzo intellettuale dell’ambiente profano, ne seguiva e ne subiva tutte le correnti. Il pregiudizio del Progresso le creava la preoccupazione di mantenersi all’altezza dei tempi, di non farsi superare (piccola collezione di frasi cretine di cui P areto ha mostrata l’inconsistenza), e colla massima
incoscienza dimentica e rinnega la sapienza iniziatica tradizionale dell’Ordine e la propria privilegiata superiore posizione filosofica spiritualista, al di fuori e al di sopra di credenze, scuole, teorie, religioni e partiti; e si lasciava trainare alla deriva dall’ateismo, dal materialismo, dal positivismo, dall’evoluzionismo, dal comunismo, dal determinismo economico, dall’umanitarismo, dal pacifismo, dalla religione del libero pensiero, e da tutti i sogni e le pazzie dell’ideologia insipiente e profana”. (“Libertà e Gerarchia”, 1923).
Trasformandosi infine in un’Associazione internazionalista dove convivono uomini che ordiscono le più aberranti scalate al potere politico ed economico.
La frattura che si verificò nel mondo massonico alla vigilia della prima guerra mondiale aveva convinto Reghini a dedicarsi alla creazione di un’istituzione prettamente italiana, come d’altronde stavano facendo gli altri paesi europei che fortificavano le proprie logge in senso accentuatamente nazionalista ed espansionista.
Mentre però in Italia l’operazione non ebbe successo per una serie di ragioni che non è qui il caso di ricordare, in Francia e soprattutto in Inghilterra il riassetto riuscì perfettamente e le istituzioni massoniche presero il carattere “moderno” e “democratico” che tuttora conservano e difendono.
5. La “riforma” che auspicava Reghini era di natura ben diversa da quella operata in Europa e in America. Per questa ragione non poteva che suscitare consensi nelle forze giovanili che si stavano risvegliando in Italia e che emergevano dalle profonde scaturigini della nostra terra.
Più che una “riforma” voleva essere un “ritorno” alla tradizione pura.
Gli inglesi furono i primi a capire che qualcosa bolliva in pentola e a percepire i primi segnali di un risveglio politico e spirituale dell’Italia. Infiltrarono subito organizzazioni come la Società Teosofica, l’Ordine Martinista, l’O.T.O con loro agenti fiduciari (valga su tutti il caso di Aleister Crowley), mentre l’America sfornava i primi rosa-croce dell’AMORC (fondata nel 1909 da H. Spencer Lewis) e sguinzagliati anche in Europa.
Reghini, bene informato su questi “movimenti”, si era posto lo stesso problema e si sforzava di studiare in che modo creare uno spazio e, ove fosse possibile, fronteggiare la situazione dando vita ad un movimento italiano che si inserisse nella dinamica sociale politica e culturale di allora..
Per Reghini occorreva “risalire alle confraternite pitagoriche per trovare delle oligarchie e delle aristocrazie iniziatiche socialmente costituite. Il miglior governo è quello dei più sapienti, quindi il governo gerarchico nel senso etimologico del termine. E’ la concezione iniziatica pitagorica e dantesca, che fa poggiare l’ordine sociale monarchico sull’analogia con la monade dell’universo. Ed è veramente la concezione politica, iniziatica, italiana, quella che Pitagora, Platone, Cesare, Augusto, Giuliano, Dante, Campanella e altri sostennero non soltanto in teoria, ma tentarono di applicare sul piano pratico con risultati diversi “.
6. Nel quadro di una stretta analisi della situazione italiana pre-fascista, R. attacca il sistema tirannico dei partiti i quali, entrati in una “folle competizione per meglio servire il signor proletario”, hanno finito per fare “comprendere alla stessa massa il carattere necessario e fatale di un regime gerarchico “.
La situazione era arrivata ad un punto tale che “la scelta non era tra regime democratico e regime gerarchico, ma tra la dittatura comunista, la dittatura di don Sturzo e quella di Mussolini. La coscienza degli italiani non poteva esitare ed è stato l’istinto collettivo, assistito dall’intuizione di quelli che erano coscienti, che ha dato la vittoria al fascismo”, (idem, 1923).
La sua intuizione lo induce ad affermare che “le delizie della libertà hanno fatto liberamente desiderare un regime fortemente gerarchico” e basandosi sulle sue conoscenze giunge a stabilire il seguente confronto: “Come Dante, aspettando il Veltro, invocava e accettava Arrigo, così si può augurare il benvenuto a Mussolini… “. In poche parole Mussolini avrebbe dovuto aprire la strada al profetato Veltro “l’uomo divino che, data la costituzione del mondo, deve fatalmente manifestarsi presto o tardi”. (Il Veltro, 1923).
Verso la fine dell’articolo Reghini, anticipando le vedute del fascismo, afferma che la corrispondenza tra la concezione del Santo Impero e quella di Dante aveva operato in una direzione ben precisa e si era manifestata fin dal 1911 dentro il Rito Filosofico Italiano di cui Reghini stesso era stato uno degli esponenti più prestigiosi.
La conclusione è eloquente e la dice lunga sui contenuti metafisici della politica reghiniana: “Non bisogna dimenticare che esiste un ‘arte regia, fondata su conoscenze ignorate dai profani. Il meccanismo pensante dell’uomo lo rende sensibile alle correnti del pensiero, e i saggi hanno dunque sempre la possibilità di farsi ascoltare e di esercitare la loro influenza. In ultima analisi al disopra degli uomini e degli iniziati, ci sono i grandi fati, destini superiori agli stessi dei; gli iniziati non possono che augurarsi di conoscerli e collaborare coscientemente e intelligentemente alla loro manifestazione nel mondo dei mortali “.
In un articolo dello stesso anno, nel parlare di Mussolini a cui aveva dato un appoggio sincero e disinteressato, ricorda, lodandolo, il sociologo Vilfredo Pareto che era stato maestro di Mussolini all’Università di Losanna.
Pareto aveva pubblicato un articolo sulla rivista “Gerarchia” diretta da Mussolini e Reghini dopo averne esaltato i meriti di pensatore nella demolizione degli errori e dei pregiudizi: critica dell’umanitarismo e del cristianesimo, dei miti del progresso , della libertà e della morale protestante, dell’ideologia hegeliana, dei positivisti e della follie comuniste, rileva che nell’articolo intitolato “Libertà” Pareto se la prende soprattutto col feticcio della libertà e con le ideologie che vi si riferiscono.
Si sofferma soprattutto sulla parte dell’articolo in cui Pareto mette in guardia contro alcune rivendicazioni esagerate del partito cattolico che potrebbero produrre effetti negativi analoghi ai movimenti clericali in Francia sotto la restaurazione.
Nello stesso tempo si indigna per la campagna subdola condotta dai massoni cosiddetti democratici contro i massoni che appoggiano Mussolini, e chiarisce: “Non possiamo tacciare Mussolini di gesuitismo perché segue una politica conciliante. Comprendiamo bene che Mussolini si ponga di fronte alla chiesa cattolica in posizione diversa da quella tenuta da una associazione come la Massoneria. Egli è un uomo di Stato e dal punto di vista della scienza o dell’empirismo politico deve tenere nel debito conto, per il bene della nazione, che la religione cattolica ha tutt’ora una grande importanza in Italia “.
L’articolo “L’intolleranza cattolica e lo Stato” del 1923 è un attestato di fiducia nei confronti dell’uomo di Stato alle prese con un’eredità geo-politica complessa e pericolosa, aperta a differenti sviluppi e imprevisti.
Questa fiducia è ribadita nel brano che segue: “Bastano dunque delle considerazioni sociali e patriottiche per giustificare il proposito di Mussolini di vivificare i valori spirituali, capaci di rinsaldare la compagine sociale e di aumentare la forza morale nazionale. E il nostro Ordine, che ha per base la conoscenza spiritualistica iniziatica e il sentimento patriottico, è tratto per la sua stessa natura a favorire ogni intendimento di questo genere”.
Le cose andarono diversamente perché “Mussolini agì spinto dai grandi fati” e cedendo sul terreno umano e patriottico fu spinto a sottoscrivere un accordo politico con gli antichi nemici dell’impero e della nazione italiana.
7. Reghini aveva fatto del suo meglio per aprire gli occhi a Mussolini e nello stesso articolo gli ricordava che occorre tenere conto dell’esistenza in Italia di una “tradizione spirituale indigena, pura, pitagorica, romana, non esotica per origine e per carattere. E’ una gloriosa catena spirituale che da Pitagora, Virgilio, Ovidio, Boezio, Dante, Bruno, Campanella, sino al Caporali, si perpetua ancor oggi “.
E poco dopo aggiunge: “L’Imperoper essere degno del nome, per essere giustamente erede e continuatore dell’Impero Romano, occorre che si riallacci coscientemente a tutta quella vita imperiale, pagana, profondamente spirituale che, sommersa sedici secoli or sono dalla barbarie nordica e dalla democrazia ebraica, ancora permane nell’intimo della stirpe”.
La via quindi era tracciata, l’Italia avrebbe dovuto tenersi lontana da modelli di vita estranei alla sua stirpe e alla sua tradizione, avrebbe dovuto creare un corpo di leggi ed un’organizzazione sociale su basi proprie, autonome, e nell’appoggiare ed incoraggiare liberamente Mussolini che ha fibra di costruttore, conclude additando l’esempio di Napoleone il quale “sentiva e sapeva servendosi del Concordato “.
8. H 20 settembre 1925, anniversario della breccia di Porta Pia, festa nazionale, Reghini pronuncia un discorso solenne pubblicato su “Era Nuova”.
Esaltando la concezione imperiale dantesca e più generalmente la concezione gerarchica tradizionale, Reghini afferma che essa “si basa sulla concezione monistica iniziatica dell’universo. Alla monade pitagorica corrispondono, sul piano politico, l’unicità e l’unità della più alta autorità governativa,cioè la monarchia nel senso etimologico del termine, che si ritrova anche in Orinete con la concezione islamica (Califfato), indù (il Cakravartiri), e l’idea imperiale presso cinesi e giapponesi.
In un’analisi molto interessante Reghini fa un confronto tra l’idea imperiale romana e la concezione del Santo Impero propria ad organizzazioni iniziatiche più o meno leggendarie come i Templari e i Rosa Croce. Ritorna quindi a parlare dell’italiano Napoleone il quale “ricostituendo l’Impero, piegando l’autorità del papa alla sua, dando a suo figlio il nome augurale di Re di Roma, facendo celebrare nel 1813 l’anniversario della distruzione del Tempio, mostrò tutta la sua comprensione del dovere da compiere e sembrò quasi ispirarsi alla tradizione imperiale dantesca quando al momento dell’incoronazione, con un gesto studiato, tolse dalle mani del prete officiarne la corona di ferro e se la posò sulla testa con le sue mani affermando così che Dio (e non una qualunque autorità) gliela aveva data”. (1)
Torna a parlare nuovamente di Giuseppe Garibaldi e di Giuseppe Mazzini, infiammati di amore ardente per la patria e ribadisce da parte sua la ferma volontà di non voler sacrificare in nessun modo e per nessuna ragione ad alcuna autorità il suo dovere nei confronti della patria.
Ribattendo le accuse che gli erano state rivolte di vagheggiare la venuta di un imprecisato Santo Impero di obbedienza massonica afferma che la sua aspirazione tradizionale ed iniziatica non ha niente a che vedere con le correnti profane internazionaliste del bolscevismo, del pangermanismo, dei “Saggi anziani di Sion” e dell’universalismo cattolico.
9. “L’Imperatore, quello auspicato da Dante, il Veltro, non si nutrirà ne di terra ne di peltro, ma di Sapienza, di Amore e di Virtù (2)”.
Subito dopo, nello stesso articolo dedicato al Veltro, fa un paragone lusinghiero e trasparente tra la marcia su Roma di Cesare e quella che ha portato al potere il fascismo. E così conclude: “Oggi l’Italia sta per ristabilirsi. Le virtù antiche riaffiorano. Il sacro suolo della Patria esprime le superbe legioni fasciste che amava Augusto; le masse stanno per guarire dal morbo asiatico. Roma locuta est… E in verità il popolo saprà vivere in modo austero, virtuoso, se il Duce ha fede e reverenza romane per gli Dei della Patria; ci sia permesso,in questo anniversario del giorno Natale di Roma, di leggere i segni, secondo i costumi dei nostri Padri, e di dichiarare augurali i presagi “.
Ma quando il Duce perse la fede negli dei della patria incominciarono i guai. “…Certi pezzi grossi della sua molto profana gerarchia, dovevano produrre i frutti che i nostri lettori conoscono in parte e che sono culminati nella tragedia di Matteotti… ”
Quel che è accaduto dopo è noto ed è nelle pagine di storia.
10. Infine, come risposta all’ostracismo che gli era stato dato dai tanti nemici della “Scuola Italica” dopo la firma dei Patti Lateranensi nel 1929, scrisse il saggio sul fascio littorio premiato dall’Accademia d’Italia nel 1936.
Ultima testimonianza della sua fedeltà a Roma formulata in questi termini: “Felicissimo di vedere il fascio littorio riannodarsi alla gloria, fascio che noi veneriamo profondamente, con cuore pagano, esente da infezioni esotiche, gli auguriamo sorte favorevole; auguriamo un ritorno sempre più cosciente e profondo alla romanità, in tutto e per tutto, senza submittere fasces a influenze avverse o diverse”.
11. Riassumendo e concludendo: da queste poche pagine l’intento di Reghini appare chiaro, egli mirava a dotare Mussolini e il fascismo di alcuni strumenti sacrali, tradizionali, spirituali, di origine prettamente italiana e di cui il giovane fascismo aveva assolutamente bisogno.
Naturalmente, il suo era un intento più che ambizioso: occorrevano uomini, mezzi, scuole, laboratori e quanto di meglio un paese può offrire in termini culturali e sociali per la realizzazione di un programma come questo.
Quel sogno, realizzabile o meno che fosse, fu interrotto dalle leggi speciali contro le società segrete del 1925, concepite ufficialmente per mettere fuori legge la massoneria, mentre nella realtà stroncarono sul nascere il rinascente spiritualismo italiano.
Ciò che fu lasciato sopravvivere e vivacchiare, dopo quel terremoto, in termini di tradizione e di tradizionalismo non doveva dispiacere alla religione di Stato e agli alleati politici del fascismo. E nell’immediato secondo dopoguerra si è mostrato utile e funzionale al ruolo atlantico di un determinato schieramento politico.
La massoneria, dopo la sconfitta dell’Italia, è ritornata più forte di prima e manda avanti i propri affari con l’appoggio interessato delle “fratellanze” internazionali.
Sul Vaticano non faccio commenti, perché la sua presenza nella politica italiana è ben nota e si commenta da sola.
E quindi? Non resta che il progetto di Reghini a cui ricollegarsi per un altro rinascimento italiano. Il fascismo della prima e dell’ultima ora ha lasciato una grande eredità storica e morale. Ma se ifati prima e gli dei poi lo vorranno, è alla tradizione italica e romana che occorre tornare per nutrire un briciolo di speranza e ricominciare da dove il lavoro è stato interrotto.
1 Quanto a Napoleone, Evola aveva dato un giudizio negativo sull’Imperatore. Evola voleva dimostrare il carattere fondamentalmente ìlleggittimo e prevaricatore del cesarismo e del bonapartismo, prodotti, a suo vedere, di caste inferiori, siano a no italiane.
2 La stessa “triade” di cui parla Campanella nella Città del Sole.
Articolo tratto dalla FNCRSI