I fascisti, dipinti quali flagello dei lavoratori,
quali nemici feroci e sanguinari del popolo…
dimostrarono coi fatti di essere gli alleati
più fedeli e resistenti della classe operaia.(Raul Forti e Giuseppe Ghedini,
L’avvento del fascismo, cronache ferraresi)
L’ “Esercito degli scalzi” muove sulle città.
Con l’inizio del 1922, a tutti è chiaro che si è arrivati ad un punto di svolta della storia d’Italia. L’ubriacatura leninista è ormai solo un ricordo, e, ciò che più conta, esiste, sull’intero territorio nazionale, un’alternativa, costituita dal movimento mussoliniano, con una sua – modesta, inferiore alla reale presenza nel Paese – presenza parlamentare, con un Capo in grado di catalizzare consensi, e, soprattutto, con una forza d’urto costituita dalle sue “squadre”.
Mussolini traccia la rotta nel suo editoriale del 19 gennaio:
Se le cose non mutano, se la situazione non cambia, si appalesa come necessario e fatale che il fascismo ritorni ad applicare i suoi metodi di attacco e rappresaglia. Ma intendiamoci. Se il fascismo sarà forzato a ciò, se il fascismo per salvare la Nazione e la vita dei suoi gregari dovrà riprendere le armi, lo farà stavolta su scala vastissima. Non più lo stillicidio della bastonatura individuale, che è antifascista, ma un’azione di stile generale, che dovrà essere in qualche modo risolutiva. Azione intelligente. Bisognerà colpire i punti essenziali del nemico. Bisognerà annientare i focolai dell’infezione dell’antifascismo. (1)
L’accenno alla possibilità che il fascismo – forzato – riprenda le armi, rilancia in pieno il ruolo di Balbo, che è stato ed è fondamentale:
Io mi assunsi il compito di portare disciplina, gerarchia, responsabilità ai manipoli volanti, che dovevano spezzare per sempre il terrore rosso; di armarli (non mancavano, sotto il mio comando, moschetti, bombe e mitragliatrici); di stabilire una tattica dell’assalto, una certa tecnica delle sorprese, una elementare strategia contro ai rossi che ci combattevano di fronte, e ai poliziotti e Guardie Regie che miravano a sorprenderci alle spalle. In quel gioco con la morte da una parte, con la galera dall’altra, educai i camerati ad essere imbattibili. (2)
Sono passati poco più di dodici mesi, ma sembra un secolo, da quando, nella sua Ferrara, a “Pizzo di ferro” toccava inventarsene ogni giorno una per accreditarsi di una forza che in effetti non c’era. Anche con espedienti inusitati:
Come seconda mossa, volle sfoggiare l’efficienza, il coraggio e l’intraprendenza delle squadre, in modo da incutere paura ai nemici e rispetto ai cittadini “neutri”. Una squadra faceva ogni sera una vera e propria ronda per la città, a garanzia d’ordine, e, perché sembrasse più folta, aveva dato ordine che, marciando, gli squadristi si battessero le mani sulle cosce.
Fra schiaffoni sulle cosce, scarponi e strette vie d’acciottolato, ai cittadini ferraresi chiusi in casa doveva sembrare che passasse un esercito.
Fin dai primi giorni della sua segreteria volle che gli squadristi” frequentassero”, ogni lunedì, il mercato agricolo che si teneva in piazza del Duomo, e spezzassero, a suon di bastonate, i trionfalismi politici dei contadini.
Né mancò di organizzare un giro dei locali frequentati da “sovversivi”, per lanciare un vero cartello di sfida, e di forzare le porte del Castello, sede del Comando nemico. (3)
Tutto ciò è solo un lontano ricordo, in questo inizio del 1922, quando, con esclusione di piccoli focolai nella zona di Argenta e Portomaggiore, Ferrara e la sua provincia sono ormai saldamente in mani fasciste. Si fa così strada la convinzione che l’azione non vada fermata e non ci si possa dire ora soddisfatti. Le situazioni locali contano, ma è ormai il controllo della vita dell’intera Nazione l’obiettivo da porsi e conseguire.
Balbo è sostenitore di questa tesi. “Bisogna conquistare la Nazione” scrive sul suo Diario, senza aver paura dello scontro certo con l’Esercito (col quale pure sono vivi i legami di molti fascisti, ex combattenti) le Forze dell’Ordine (peraltro già in corso), le Autorità di Governo e giudiziarie (il cui comportamento, sostanzialmente avverso, è influenzato in senso contrario solo da limitate situazioni locali).
A Ferrara, l’occasione per iniziare viene fornita dalla difficile situazione economica, con crescita del numero di disoccupati e vera difficoltà di sopravvivenza per molte famiglie. Non è questione che i privati (leggi piccoli proprietari terrieri e modesti industriali) possano risolvere. È necessario l’intervento dello Stato, da ottenere con le buone o con le cattive, con un robusto piano di lavori pubblici. Ed è ciò cui pensano i fascisti, dopo avere esperito ogni tentativo:
Un’azione così drastica fu resa necessaria dal fatto che i tentativi fascisti di trovare una soluzione soddisfacente alla grave crisi economica abbattutasi sulla provincia erano completamente falliti. In termini puramente oggettivi, la situazione era certo difficilissima. Il rapido declino dei prezzi agricoli aveva prodotto perplessità tra i proprietari terrieri, e causato una riduzione delle semine. Sotto questo profilo, i guai di Ferrara erano gli stessi di parecchie province. (4)
A fare la differenza col resto d’Italia è la presenza di un Capo deciso e risoluto come Balbo, capace di prendere decisioni dirompenti e risolutive, senza esitare.
Il 10 maggio dirama una circolare a tutti i Segretari dei Fasci dei Comuni della provincia, disponendo che alle ore 9,00 del 12 convengano, insieme ai Sindacati, sul Capoluogo.
Qui giunti, gli squadristi, ordinatamente inquadrati, passeranno agli ordini dei Consiglieri Federali, che “dovranno trovarsi costantemente tra i loro uomini”, per assicurare disciplina e coordinamento in azione, con la proibizione assoluta di procedere a legnature per qualsivoglia motivo.
Com’è nello stile dell’uomo, non mancano le disposizioni “minute”:
Raccomando che ognuno rechi con sé pane e viveri a secco, perché, nei giorni delle dimostrazioni, alberghi e trattorie rimarranno chiusi.
Rammento pure la necessità che ogni uomo si provveda di un pastrano o mantello o coperta per la notte.
Se la dimostrazione sarà protratta, a cura del Comitato verrà distribuito un rancio caldo di caffè il secondo giorno ed il terzo. A questo scopo sarà bene che gli uomini si provvedano di una tazza ogni tre-quattro persone. (5)
Il giorno successivo Balbo scioglie il Direttorio del Fascio cittadino e della Federazione Provinciale. Tutti i poteri passano nelle mani del Comando delle squadre di combattimento (“cioè nelle mie mani”, come annota nel suo Diario).
La truppa, rodata ormai all’ubbidienza a tale Capo, procede nel senso indicato, e già alle ore 18,00 dell’11 partono, dai paesi più lontani, i primi scaglioni. Con ogni mezzo, soprattutto camion e biciclette, ma, carichi di uomini, non mancano grandi barconi, trainati sulle rive da cavalli o dagli stessi viaggiatori, scesi a terra. Gli ultimi venti chilometri saranno, invece, percorsi a piedi da tutti.
Senza cedere alla retorica, ha veramente qualcosa di epico questa marcia, nel buio della notte o alle prime luci dell’alba, di una massa quale mai prima si era vista, che commuove non solo la gente che comincia a fare ala al suo passaggio, ma anche chi l’ha voluta e resa possibile:
La mattina del 12 maggio sessantatremila persone sono alle porte di Ferrara. Spettacolo pittoresco. Il bracciante ferrarese incolonnato e col suo mantello, qualcuno con la coperta sulle spalle. A tracolla, un tascapane con fette di polenta e pezzi di formaggio. Aspetti emaciati dalle privazioni, visi anneriti dal sole e induriti dalla polvere, ma fiduciosi ed entusiasti. Effetto straordinario della marcia all’alba: piedi mal calzati. Spettacolo commovente: l’esercito degli scalzi. (6)
L’ingresso in città avviene tranquillamente, anche perché scaglioni di cento squadristi presidiano le singole porte di entrata, così che già alle 9 e mezzo Balbo passa in rassegna i suoi uomini. Ci tiene molto, e, per essere presente, rifiuta un incontro col Prefetto Bladier, che glielo ha chiesto per il tramite del Questore, impotente a fronteggiare una così numerosa mobilitazione.
Oltre due ore ci vogliono per lo sfilamento degli squadristi, e il Capo si premura di “invitare” i drappelli di forze dell’ordine che incontra, distribuiti lungo il percorso, a tornare ai loro alloggiamenti, per evitare ogni incidente.
Al termine, una delegazione composta da rappresentanti dei Sindacati operai e dirigenti del movimento fascista si reca finalmente da Bladier, che “ha il solito panciotto bianco, attraversato dalla catena d’oro sulla onesta e rotonda pancetta”. Una immagine plastica delle due Italie che si contrappongono: quella della buona borghesia “d’ordine” e l’altra, della “povera gente che marcia con gli abiti a brandelli” guidata da un Capo giovane e coraggioso.
La riunione non risolve nulla, come era d’aspettarsi, se non che, al termine, una Commissione parte per Roma, a riferire direttamente al Ministro della situazione.
Nel contempo, per tenere “alla mano” gli uomini, Balbo organizza un comizio al Montagnone. Un comizio diverso dal solito, però:
Si svolge all’americana. L’immensa massa si stringe in una specie di quadrato, e quattro diversi oratori parlano da quattro punti diversi. Mentre io tuono da una parte, in maniche di camicia, forzando come posso la mia voce, giunge dall’altra l’eco lontana del discorso di Rossoni. Applausi frenetici. Poi la folla si sparpaglia ancora per la città.
Sul muro di cinta del Castello, presso i portici dei Tribunali, sulle gradinate delle chiese, oratori improvvisati arringano ancora la folla fino a tarda sera. Poi i Battaglioni si dirigono verso i propri accantonamenti.
Sono stati stabiliti servizi d’ordine e di coordinamento. Ma la disciplina non ha subito una infrazione. Neppure un vetro delle scuole pubbliche, che sono state tutte requisite, è stato spezzato da questi rudi lavoratori dei campi. (7)
La serata e la notte passano così. All’alba gli uomini trovano oltre ventimila chili di pane preparati dal forno comunale, e immense caldaie all’aperto che distribuiscono il caffè.
Anche da Roma arrivano buone notizie. Il Governo ha accolto le richieste della Commissione. Balbo però, che non si fida, aspetta che arrivi il telegramma che conferma il successo, e poi il relativo piano dei lavori pubblici che interesseranno le varie zone della provincia, già a partire dai primi giorni della settimana seguente.
Solo allora viene emesso l’ordine di smobilitazione. Gli uomini tornano a casa con gli stessi mezzi con i quali sono arrivati.
La vittoria è stata piena, ed è riconosciuta da tutti. Mussolini ne fa anche una valutazione politica, che consacra la nuova dimensione del suo movimento, in un articolo di qualche giorno dopo, significativamente intitolato: “Viva Ferrara fascista!”:
Le giornate di Ferrara hanno dimostrato, in primo luogo, che il fascismo dispone di masse enormi di autentici lavoratori. E si badi che noi non siamo – come i socialisti – gli adoratori della quantità e del numero: vogliamo soltanto smentire l’“Avanti”, il quale, non più tardi dell’altro giorno scriveva che il fascismo, al di fuori di piccole minoranze di lavoratori individualisti per la qualità del loro mestiere non ha seguito nel proletariato.
Ma la significazione più importante delle giornate ferraresi sta nella clamorosa, solenne smentita alla ignobile campagna perpetrata dai socialisti contro il fascismo delle plaghe rurali. (8)
Sono loro, i rurali, i nuovi protagonisti della ribalta fascista, amati e coccolati dai vertici politici, ma anche dagli intellettuali, che non mancano di dedicargli parole affettuose:
Rievochiamoli, questi fascisti di campagna, solidi, membruti e tarchiati, bronzei in faccia ed adusti, dai pugni bitorzoluti e callosi, in cima a certe braccia nerborute come mazze d’arme! rievochiamoli, nelle loro camicie nere di cotonina grezza e rozza, con certe morti secche da mettere davvero paura. Certi teschi oblunghi e sbilenchi, digrignanti come in un ghigno, segnati da una traccia di filo bianco grosso, con certi stinchi incrociati, duri e diritti, da parere grissini, e certi pugnali tra i denti, che mani inesperte o… trepidanti di donne o di figlie avevano segnato serpeggianti come kriss malesi.
Rievochiamoli, con i loro rami di faggio o di ginepro duro e nocchieruto, ostentati con l’indifferenza di chi va a spasso con la giacchetta alla moda, colle loro doppiette, coi loro fucilacci a stoppa, con certe pistole che spesso appartennero a chi sa chi, e che, forse, sparavano indietro invece che avanti.
Ma non c’è da ridere di tutto questo, anzi, “quando passa il gagliardetto”, il loro gagliardetto nero o cremisi o tricolore che sia, “levatevi il cappello”, o borghesi panciuti e metodici, o snobs dai calzoni alla charleston e dai baffini alla Douglas, incerettati ed impomatati. Essi, questi contadini infagottati in cappottacci sdruciti, sbrendolati, rattoppati, con le fasce pillaccherose e non troppo attillate e quei loro fez messi in pimpinnacolo, in cima al capo, con le nappe che dicono di no continuamente in qua e là, essi sono l’avanguardia, quadrata e meravigliosa, di tutti i rurali d’Italia, quelli che compresero la parola di riscossa e di fede gettata dal duce, e la raccolsero, e si fecero campioni in una jacquerie sublime, e furono tori scagliati contro lo sfarfallio scarlatto che riddava per le campagna abbandonate, e dettero le forze vive al fascismo, come le dettero alla guerra…
Rievochiamo, con commozione ed orgoglio, questa Santa Canaglia o cittadina o rurale, ma sempre magnificamente squadrista, temerariamente pronta a buttarsi allo sbaraglio, ridendo o cantando. (9)
“Questo articolo mi ha fatto l’effetto di un elogio sul campo di battaglia”, scriverà Balbo sul suo Diario, a commento delle parole di Mussolini, e dobbiamo credergli. La sua fama è ormai consacrata a livello nazionale. La ufficializzazione ci sarà con i tre avvenimenti che, nei mesi successivi, lo vedranno assoluto protagonista: l’occupazione di Bologna, l’intervento a Parma, la Marcia su Roma.
FOTO 1: comizio squadrista
FOTO 2: rurale fascista
NOTE
- (a cura di) Edoardo e Duilio Susmel, Opera Omnia di Benito Musoslini, Firenze 1956, vol. XVIII, pag. 12
- Italo Balbo, Diario 1922, Milano 1932, pag. 10
- Giordano Bruno Guerri, Italo Balbo, Milano 1984, pag. 76
- Paul R. Corner, Il fascismo a Ferrara, Bari 1974, pag. 241
- Italo Balbo, cit., pag. 60
- Ibidem, pag. 63
- ibidem, pag. 68
- (a cura di) Edoardo e Duilio Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, Firenze, cit., pag. 189
- Asvero Gravelli, I canti della rivoluzione, Roma 1926, pag. 209