11 Ottobre 2024
Cultura

Aspetti della vita e della morte negli studi di Philippe Ariès – Walter Venchiarutti

Tra i grandi personaggi che popolano il panorama della storiografia francese contemporanea e vantano l’aver trasformato questa scienza, rivitalizzandone l’interesse, il nome di Philippe Ariès (1914-1984) merita particolare attenzione. Il passaggio da un insieme nozionistico, fatto di date e scialbi cronachismi in avvincenti racconti fatti con studi interpretativi del comportamento umano, lo dobbiamo al nostro autore e a studiosi tra i quali Georges Duby, Jacques Le Goff in Francia, a Gioacchino Volpe, Franco Cardini in Italia.

Indubbiamente singolare ma altrettanto determinante appare la formazione culturale di Ariès. Alcuni fatti legati alla sua esperienza personale sono stati sbrigativamente bollati dai biografi di regime con l’appellativo di occasionali esuberanze giovanili o superficialmente considerati alla stregua di deprecabili incidenti di percorso. Alludiamo alla professione di idee monarchiche, all’appassionata stima riservata a storici come Jacques Bainville e Pierre Gaxotte, all’attiva adesione all’Action Francaise, alle simpatie per Pétain, all’esser stato fedele amico e collaboratore di Charles Maurras. Grazie a simili “pregiudiziali” faticò non poco agli esordi della carriera per far emergere i meriti nel mondo universitario, accademico ed editoriale. Alla fine la validità delle sue ricerche si impose e riuscì a superare le prevenute diffidenze incontrando un vastissimo numero di estimatori.

Nel clima europeo di caccia alle streghe instaurato nel primo dopoguerra, fortuna e riconoscimento iniziarono a farsi strada solo dopo la serie di lezioni che fu chiamato a tenere presso l’università John Hopkings di Baltimora. Le tematiche presentate erano state in precedenza elaborate nell’HISTOIRE DES POPULATIONS FRANÇAISES ET DE LEURS ATTITUDES DEVANT LA VIE DEPUIS LE XVIIIE SIECLE (1948). Il volume, ancor oggi mai tradotto in italiano, ripercorre la storia sociale delle comunità regionali francesi in alternativa federalista allo stato repubblicano. Nel testo si delineano i profondi e segreti mutamenti che stanno alla base della mentalità umana, gli atteggiamenti del “bambino in famiglia”, “le tecniche della vita”, “i comportamenti di fronte alla morte”. La sua concezione di storia sociale supera l’asettico e monotono cronachismo ottocentesco fatto di date, travolge e non dà spazio alle interpretazioni marxiste : “Sono assolutamente persuaso che la storia non è orientata in questo o in quel senso. Niente di più falso dell’idea di un progresso continuo, di una perpetua evoluzione. La storia come freccia direzionale non esiste”. L’abolizione delle frontiere tra vita pubblica e vita privata, i rapporti generazionali, i temi dell’esistenza, le differenze dei comportamenti umani nel tempo, la stratificazione delle consuetudini, i valori identitari sviluppati dai gruppi territoriali costituiscono i tanti nodi di quella storia sociale improntata ad esaminare le civiltà e i cambiamenti nella lunga durata, in opposizione alla storia che predilige gli avvenimenti.

Con Fernand Braudel e Lucien Febvre collabora all’École des hautes études en sciences sociales. Dal 1978 al 1982, in veste di docente, per la prima volta è impegnato in progetti di ricerca collaborativi. Insiste sulla singolarità dei costumi più che sulla generalità delle istituzioni; sa coniugare con sensibilità i vezzi del re alle abitudini del paggio e del contadino. Queste capacità lo fanno nel contempo un interprete conservatore e rivoluzionario, è un osservatore attento e disincantato di quella storia totale la cui metodologia sviluppa nei saggi intitolati: IL TEMPO DELLA STORIA (1987).

Due volumi dedicati ai PADRI E FIGLI (1976) esaminano l’educazione del fanciullo dal Medioevo all’Ancien Régime offrendo quadri di vita parentale. Avvalendosi della letteratura, dell’arte, spazia dall’abbigliamento ai giochi, dalle mode alle istituzioni scolastiche e affronta i vari periodi che caratterizzano i sentimenti dell’infanzia, la vita scolastica e la famiglia.

 Ma i testi più conosciuti e apprezzati dello storico blésois restano: STORIA DELLA MORTE IN OCCIDENTE (1978) e L’UOMO E LA MORTE DAL MEOEVO AD OGGI (1980). È il primo tanatologo. Solo dopo di lui verranno Albert Tenenti, Michel Vovelle, Edgar Morin e tanti altri. Grande dimensione dell’immaginario collettivo, la morte è una di quelle esperienze archetipe e fondative che tutte le culture organizzano in una serie di rimandi simbolici, discorsi, immagini e sentimenti. Già questo basterebbe allo storico e all’antropologo per giustificare una ricerca sugli usi e le manifestazioni connesse a tale esperienza nel territorio. Ariés definisce le ragioni del perché le necropoli greco-romane sorgevano fuori dalle mura (extra muros) mentre nel medioevo si preferiva seppellire ad sanctos, apud ecclesiam. Studia l’infinita gamma di iconografie che nel corso dei secoli si succedono: le scene dei tre vivi e dei tre morti, i grandiosi affreschi dedicati al giudizio universale, i sepolcri della morte trionfale, le danze macabre, le pale degli scorticati, i santi col teschio, le settecentesche immagini delle ossa (la morte secca) per giungere fino alla burocratica coibentazione che il mondo moderno solitamente riserva alla morte.

La sua ultima e grande ricerca, purtroppo incompiuta ma portata a termine dall’amico Georges Duby, resta la cura alla monumentale “VITA PRIVATA”, pubblicata in 5 volumi: DALL’IMPERO ROMANO ALL’ANNO MILLE (1987), DAL FEUDALESIMO AL RINASCIMENTO (1987), DAL RINASCIMENTO ALL’ILLUMINISMO (1987), L’OTTOCENTO (1988), IL NOVECENTO (1988).

Inseguendo l’idea di tracciare un affresco plurimillenario della società, dedicato ad un vasto pubblico, ha percorso un terreno ancora inesplorato, frugando tra i meandri impenetrabili della vita personale: le aree della casa riservate al mondo femminile, le attività destinate ai maschi: la bottega, l’ufficio, l’officina. L’ambizioso intento è stato quello di riuscire a coprire l’arco complessivo dell’esistenza umana: infanzia, vita sociale, fino alla morte con tutte le implicazioni. Questo grandioso progetto non ha trovato eguali nel campo della storiografia, ma Ariès lo ha programmato riuscendo a riunire intorno a sé i migliori specialisti: romanisti, medievisti, modernisti. Come un sismografo ha registrato nel lungo periodo gli atteggiamenti comportamentali: mutamenti, persistenze, differenze e analogie. L’uomo civico e l’uomo interiore sono stati abilmente radiografati. I grandi valori e le antiche miserie emerse dalla notte dei tempi oggi, grazie a questo infaticabile sforzo, costituiscono un monito, un insegnamento che non solo antropologi, sociologi e uomo comune ma soprattutto psicologi, economisti e politici dovrebbero imparare a conoscere.

 

 

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