Assolvere Pilato dovrebbe essere un’operazione culturale e di revisione storica seria.
Qualche tentativo è stato fatto, impegnando pensatori e scrittori dal medioevo a oggi con risultati contrastanti.
Da Dante a Bulgakov, la figura di Pilato assume quindi un carattere iconografico, trascendendone l’uomo e restituendone un mito negativo in opposizione a quello positivo del martirio di Cristo.
Ed è proprio su questa mitografia che la costituzione dell’Unione Europea stralcia, nelle dichiarazioni ufficiali, ogni riferimento alla romanità, alla classicità, per lasciarci un forte, anzi, prioritario ancoraggio alla civiltà giudeo-cristiana con influenze islamiche, subdolamente inserite per giustificare il ritorno ricodificato della cultura greco-antica a rischio di estinzione dopo il 476 dc.
Subdolamente, perché, ben prima della nascita dell’Islam e della sua espansione, avvenuta con violenza e sterminio, si deve ai monasteri e alla pratica degli scriptoria negli ex territori della Magna Grecia, l’inizio di quella ricopiatura dei testi classici giunti integri fino a noi.
Mentre una minoranza del mondo arabo-persiano, più sensibile alle culture straniere, deve al suo contatto linguistico con il greco, il latino e il sanscrito, e le immense opere di sapere in quegli idiomi, tra l’VIII° e il X° sec, il cambiamento dell’impostazione dei suoi studi sulla natura in epoca medioevale, poi sfociati in un’evoluzione di essi che si arrestò dopo il momentaneo ritiro dell’occupazione jihadista dei territori europei affacciati sul mediterraneo, mai ripresasi anche dopo i continui tentativi di riconquista, dal ‘500 fino ai giorni nostri.
È chiaro sin da subito che il dibattito su Pilato relativo alle responsabilità deicide ha soprattutto interessato lo scontro bimillenario tra ebrei non cristiani, ebrei cristiani e cristiani e, trasversalmente, lo scontro tra due visioni del mondo che Tertulliano poneva in maniera efficace in queste due scomode domande: “Che cosa ha a che fare Atene con Gerusalemme? Quale accordo vi è tra l’Accademia e la Chiesa?”
Ed è altrettanto evidente che, nel passaggio dal movimento cristiano delle origini, fino alla formazione e alla solidificazione della Chiesa e alla sua resistenza storica dovuta alla sua indubbia capacità di sintesi e rivitalizzazione dell’ellenismo in chiave teologica, già fruttificato all’interno della cultura romana in chiave giuridico-retorica, si sia estesa nel tempo una decadenza classica che per tappe successive si è cercato di riesumare sotto le vestigia di Sacri Romani Imperi di marca germanica e fascista.
L’uomo Pilato, prima del prefetto o procuratore, ancora oggi è trattato come il caprio espiatorio, il mandante morale della morte di Cristo, della persecuzione dei cristiani e degli ebrei, come il rappresentante del volto bruto del “becero” potere imperiale romano: il muro granitico della Tradizione sul quale si schiantò, come scriveva Massimo di Madaura, il retore pagano che corrispose con sant’Agostino, quel cristianesimo “… ritorno di barbarie orientali che cercava di sostituire al culto delle armoniose figure dell’Olimpo classico, quello di criminali giustiziati, dagli orribili nomi punici.”
L’assoluzione di Pilato è un atto di giustizia, non di clemenza come fu quella di Barabba voluta dagli indipendentisti ebrei (farisei) e dai depositari del potere religioso (gran sacerdoti), gli uni e gli altri intenzionati a mantenere la loro supremazia locale, alla base della quale c’era il continuo creare disordini in Giudea e in Samaria, anche se l’Impero aveva promesso e voleva portare avanti grandi progetti di opere pubbliche che avrebbero favorito una migliore integrazione sociale.
Pilato non ebbe scelta, vuoi per un motivo squisitamente teologico che gli è stato appiccicato come una sentenza oltre il suo operato giurisdizionale – ovvero l’inevitabilità della crocefissione di Cristo per l’espiazione di tutti i peccati dell’umanità – vuoi per evitare ritorsioni economiche e socio-politiche, causate dall’ammutinamento sempre paventato degli esattori ebrei che lavoravano per l’Impero, ai quali i romani garantivano un margine di manovra usuraia, mal vista dal popolo, ma accettata in cambio di un relativo esercizio dell’insurrezione volto a destabilizzare la sua posizione prefettizia.
Pilato era rappresentante del diritto, della gestione della res pubblica, della lingua latina, mentre i giudei e i cristiani poi, non riconoscevano altra cultura se non quella delle loro scritture, disprezzando di fatto tutto ciò che dall’impero promanava.
Infatti, come sostiene anche lo storico Christian Dawson in un suo ottimo saggio sulla nascita dell’Europa, i primi cristiani erano per la massima parte gente di scarsa educazione e cultura. Nelle città essi appartenevano principalmente alle classi inferiori e medio-inferiori, mentre nelle campagne uscivano spesso da un contado che era quasi vergine di classicismo e conservava il suo nativo dialetto siriaco, copto o punico.
In simili circostanze era ben naturale che i rappresentanti ufficiali della tradizione classica guardassero al cristianesimo come al nemico della cultura e, come l’imperatore Giuliano o Porfirio, identificassero la causa dell’ellenismo con quella della religione antica.
L’ “aurea mediocrità” dello studioso classico non poteva avere che una scarsa simpatia per il fanatismo dei martiri e dei monaci del deserto, i quali condannavano tutto ciò che rendeva bella la vita e proclamavano prossima la distruzione di tutta la civiltà del secolo.
Non si può quindi avvalorare la tesi del Pilato uomo insensibile o pusillanime, il tiepido non in grado di prendere una posizione definita sulla vicenda tutta ebraica di Gesù.
L’assoluzione integrale di Pilato davanti al tribunale speciale della chiesa cattolica, ebraica, protestante o ortodossa, significherebbe una riabilitazione immediata della nostra storia romana ormai passata a fil di spada da chi ci o si vuole difendere dall’antisemitismo.
Perché Pilato in Giudea era Roma, era il pensiero romano e la sua complessa civiltà di spada, di scienza, di filosofia e di legge umana, che anteponeva ragione e diritto a qualunque teogonia o dogma divino; preponeva il bene pubblico a quello privato, estranea al pensiero e al mondo giudaico che non riusciva e non poteva comprendere secondo i suoi parametri acquisiti in un lungo percorso storico che aveva radici profondamente diverse e inconciliabili con il senso astorico e metafisico degli ebrei.
Il processo di Gesù è ancora considerato un processo alle intenzioni di Pilato e dei romani tutti, assurti, speciosamente, secondo le ultime interpretazioni evangeliche che mirano a una riconciliazione cattolica con il mondo ebraico, corresponsabili e, in certi casi, unici responsabili del calvario del figlio di Dio.
Il Poliscriba
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