“Himmler volle sapere se in Tibet avessi incontrato persone con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Quando gli dissi di no, mi chiese in che modo pensavo si fosse sviluppato l’uomo e ascoltò in silenzio. Poi scosse il capo e disse: ‘Lei non ha la più pallida idea delle forze che realmente muovono il mondo’”. (Ernst Schäfer)
Nel singolare racconto proto-fantascientifico di Edward Bulwer-Lytton, The Coming Race (1871), poi ripubblicato come Vril, The Power of the Coming Race – da noi noto come La Razza Ventura e successivamente come La Razza Che Verrà) – , si narra di una misteriosa civiltà, residente al di sotto della Terra, nota come Vril-ya, la quale, grazie alla purezza di un potentissimo fluido energetico chiamato “Vril” è in grado di acquisire poteri illimitati, sia fisici che mentali. L’ipotesi che questa misteriosa energia fosse realmente esistita ha affascinato moltissimo gli studiosi del moderno esoterismo, e così il testo di Bulwer-Lytton nel suo insieme, che fu preso assai seriamente anche dai sostenitori dell’esistenza della leggendaria isola di Atlantide. “Vril, una forza cosmica primordiale, una tecnologia spirituale esotica che porterebbe a una nuova era utopica per l’umanità: la rinascita di Atlantide”.
Nel classico saggio di occultismo Il Mattino dei Maghi (1960), si afferma l’esistenza di una società segreta pre-nazista di Berlino – fondata all’incirca nel 1921 – chiamata Loggia Luminosa, ma nota soprattutto come Vril Gesellschaft, i cui membri si mescolavano alla Società Thule, ai teosofi e ai rosacrociani dell’epoca. Una giovane medium, Maria Orsic, fu un esponente di spicco della Vril Gesellschaft. All’interno della loggia, la Orsic capeggiava un piccolo gruppo chiamato Vril-Damen, composto interamente da giovani medium psichiche. Una particolarità del loro aspetto fisico era quella di mantenere i capelli esageratamente lunghi. Le chiome, intese dalle Vril-Damen come estensioni del sistema nervoso, fungevano da antenna per comunicare telepaticamente con altri mondi. La leggenda vuole che Maria ricevesse informazioni da presunte entità provenienti da Alpha Centauri, nel sistema solare di Aldebaran. Tali messaggi erano trasmessi in una lingua a lei sconosciuta, l’antico sumero. In seguito a successive decrittazioni, per conto di un’altra sensitiva della Vril, Sigrun, sarebbe emerso il progetto della costruzione di un velivolo circolare e i militari tedeschi dell’epoca avrebbero finanche acquisito tali notificazioni. Al di là di ogni ragionevole dubbio, tale impianto mitologico ci riporta a quello che sarebbe stato il futuro sviluppo di velivoli a reazione da parte della Germania, l’Me 262 o l’Ho 229, ma anche i missili – guidati e balistici – come il V-1 e il V-2 (la “V” attiene direttamente al termine “Vril”), la cui tecnologia avrebbe fornito la base per il programma missilistico-spaziale americano, poi immesso dagli scienziati dell’Unione Sovietica nelle loro già avanzate conoscenze nel campo.
Decenni prima che si costituisse la società di Maria Orsic, il racconto di Bulwer-Lytton fornì ad Helena Blavatsky, fondatrice della teosofia, lo spunto per pronosticare l’avvento di una o più nuove razze. Blavatsky utilizzò la parola “razza radice” come termine tecnico per descrivere l’evoluzione umana durante gli immensi periodi di tempo della sua cosmologia. Le rivelazioni della Blavatsky e di altri teosofi come Annie Besant, Charles Webster Leadbeater, Rudolf Steiner, condotte tramite supposte capacità chiaroveggenti, contribuirono a diffondere una concezione di Atlantide come luogo ideale e primordiale della sapienza e della civiltà umana. Tra i punti in comune delle loro tesi vi era la suddivisione della razza atlantidea in sette sotto-razze, cui avrebbero corrisposto sette epoche di sviluppo e di progressiva evoluzione del genere umano. Platone, il primo in assoluto a parlare di Atlantide, narra della leggendaria isola nei dialoghi intitolati Timeo e Crizia (IV secolo a.C.). Riscoperta dagli umanisti nell’era moderna, la storia di Platone ha ispirato, come sappiamo, teorie ed opere utopiche di numerosi scrittori dal Rinascimento in avanti. Il Timeo rivela che l’isola, prima di inabissarsi senza mai più riemergere, sarebbe stata una potenza navale situata “oltre le Colonne d’Ercole” che avrebbe conquistato molte parti dell’Europa occidentale e dell’Africa novemila anni prima del periodo di Solone (pressappoco nel 9600 a.C.). Venuta meno la conquista di Atene, Atlantide si sarebbe inabissata nell’arco di un giorno per mano di Poseidone. Il nome dell’isola è derivativo di Atlante, leggendario governatore dell’Oceano Atlantico, nonché figlio di Poseidone e, secondo Platone, il primo re dell’isola. Essendo una storia funzionale ai dialoghi di Platone, Atlantide dev’essere intesa, secondo i suoi studiosi, come un mito primariamente concepito dal filosofo greco per esprimere le proprie idee politiche. Le interpretazioni di questa storia, tuttavia, sono innumerevoli, tanto che gli appassionati e i ricercatori hanno sempre considerato il racconto di Atlantide geograficamente e storicamente attendibile. Nell’antichità, tuttavia, Aristotele, discepolo di Platone, non credeva all’esistenza di Atlantide, liquidandola come una mera invenzione del di lui mentore (“L’uomo che l’ha sognata, l’ha anche fatta scomparire”, avrebbe asserito a suo tempo).
Accanto all’Atlantide illustrata da Platone, potè svilupparsi la saga dell’isola di Thule, terra che diversi antichi collocano nell’estremo nord, a sua volta impiegato come scenario ideale per la rilettura nordico-razzista del mito dell’isola. Nei racconti di Thule, la rappresentazione mitologica del mondo ha in sé un tratto tipicamente nordista. La prima connessione fra Atlantide e i territori nordici, nondimeno, avvenne per tramite dell’intuizione di un autore svedese, tale Olof Rudbeck il Vecchio, che nel 1675 collocava in territorio svedese la base geografica dell’isola. Dalla mitologia greca si apprendono inoltre riferimenti al popolo degli Iperborei, anch’essi localizzati al nord, la cui leggenda, nelle varie trasposizioni, è stata spesso accostata alla narrazione di Atlantide e di Thule. (La tradizione situa gli Iperborei in prossimità del Polo Nord.) Stando ai racconti, gli Iperborei sarebbero stati un popolo vegetariano fino al momento in cui, disgustati dall’esistenza, non si diedero la morte gettandosi in mare. Ne La Dottrina Segreta, ancora la Blavatsky riporta i contenuti di un antico manoscritto perduto intitolato ‘Le Stanze di Dzyan’, ove rifulgono le storie di Atlantidei nordici dipinti come eroi culturali (per Platone, diversamente, questi erano dediti prevalentemente alle arti militari). Costoro sarebbero stati la quarta “razza radicale” dopo quella polare, iperborea e lemurica, da cui sarebbe sorta la più famosa “razza ariana”. La Blavatsky, in realtà, aveva ampliato le teorie dell’astronomo e letterato francese Jean Sylvain Bailly, il quale sosteneva che gli Atlantidei fossero la civiltà originaria del genere umano, responsabili delle civilizzazione di Cinesi, Indiani, Egizi e dei popoli antichi in generale. Egli collocò questo popolo primordiale nel lontano nord dell’Eurasia, poiché quella zona sarebbe stata una delle poche abitabili in un momento in cui la Terra, originariamente incandescente ed inospitale alla vita, aveva cominciato a raffreddarsi. Il costante raffreddamento della Terra le aveva però rese inabitabili, inumando l’ancestrale territorio di questa civiltà sotto lastre di ghiaccio e costringendo i suoi abitanti a muoversi verso sud.
Delle razze citate dalla Blavatsky alcune sarebbero creature con fattezze simili a degli animali; in essi sono inclusi gli aborigeni della Tasmania, gli australiani aborigeni e le tribù di montagna presenti in Cina. In più, un notevole numero di popoli misti cosiddetti “Lemuro-Atlantidei” sarebbero sorti da vari incroci con razze semi-umane quali i selvaggi del Borneo o i Vedda dell’isola di Ceylon. Rudolf Steiner, che si separò dalla Società Teosofica per fondare la Società Antroposofica, ha invece ipotizzato che l’intelligenza logica dovesse essere completamente carente nella popolazione di Atlantide. Per questo i suoi abitanti originali avrebbero avuto una memoria estremamente sviluppata. A differenza degli uomini, i quali pensano tramite concetti, essi ragionavano per immagini. A dispetto delle sue originali e discutibili teorie “razzistiche”, la Blavatsky credeva fortemente in una fratellanza universale di tutti i popoli, essendo questi dotati della stessa origine sia spiritualmente che fisicamente: “L’umanità è essenzialmente una ed è composta dalla stessa essenza”.
Un rivestimento di natura storicizzante del mito di Atlantide fu poi fornito dal barone italiano Julius Evola (1898-1974), teorico dalla personalità poliedrica nel panorama culturale italiano del Novecento, molto apprezzato nel periodo fra le due guerre. Per un certo lasso di tempo, anche Evola si orientò sulle linee di pensiero dei teosofi, che in seguito, tuttavia, avrebbe rinnegato. Nella sua opera, esponendo quanto segue in forma di “fattori storici”, Evola fonde la terra degli Iperborei e le isole Thule e di Avalon in un’unica “terra del sole”, propagandandosi dalla quale, l’uomo dominatore, la razza nordica, nel suo “trionfante superomismo” si sarebbe messa in cammino per affrontare le “assai meno valorose razze del sud”. In tale contesto, Evola espone anche quello che doveva essere il meccanismo del funzionamento di un mito secondo uno studioso di Atlantide quale era egli stesso. La veridicità storica di un mito, secondo lui, non è un aspetto così rilevante quanto invece dev’essere la sua funzione di strumento di manipolazione delle masse:
“La sovranità, se esercitata consapevolmente, si può ritenere, come la magia, comunicante in senso superiore. Il sovrano deve mantenere il suo dominio sul mito, ma non può soccombere alle illusioni e diventarne un fanatico”.
Queste illusioni devono essere utilizzate esclusivamente come preciso strumento per affascinare le masse ed esercitare su di esse la propria influenza. Evola, rifacendosi alle argomentazioni mosse da Georges Sorel sulla “teoria dei miti”, non fa che affermare il concetto di “strumentalizzazione funzionale” del mito stesso. Sorel definisce il mito come la veste esteriore di un’idea, idea intesa come sinonimo del concetto di immagine. Il mito, a cominciare da quello pesantissimo dell’Apocalisse, sarebbe quindi da intendersi come una successione di immagini in grado di far riemergere indirettamente sentimenti e precisi convincimenti. L’immagine dell’isola di Atlantide, pertanto, rappresenta un sistema in sé conchiuso, una superficie in grado di fornire una base geografica favorevole alla proiezione di una teoria totalitaria che permei in senso pratico tutti gli angoli dell’esistenza. Da qui, la pulsione nazionalsocialista di Hitler e di Himmler, che nell’inseguire le origini della razza ariana, forti di un’immagine catastrofica del mondo, elaborarono l’assunto secondo cui l’isola, da loro collocata nel nord del mondo, si dissolse dopo che i suoi abitanti, facenti capo alla razza primordiale, si mescolarono ad altre specie inferiori. Ispirati dalla “purezza atlantidea”, ancor prima della salita al potere di Hitler, Himmler inviò l’ornitologo e zoologo tedesco Ernst Schäfer in Tibet e in Nepal, dove ritenne fossero comparsi i primi Ariani. Assieme a questi vi era l’antropologo Bruno Beger, il quale operò – invano – una serie di misure di biometria sui nativi locali. L’ossessiva convinzione di un’unica e irripetibile civiltà indoeuropea millenaria, nondimeno, avrebbe condotto il movimento nazionalsocialista ad adottare come emblema ufficiale un antico simbolo indoeuropeo: la swastika.
Simöne Gall
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