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22 Aprile 2025
Antropogeografia

Atlantidi – Rita Remagnino

Parlando di Atlantide in due dei suoi dialoghi, “Timeo” e “Crizia“, Platone definisce la faccenda «…una strana storia che, d’altra parte, è di certo vera»; infatti, la data indicata dal filosofo (9.570 a.C.) coincide con uno dei periodi alluvionali che chiusero in modo traumatico l’ultima Era Glaciale.
L’Ateniese racconta di essere venuto a conoscenza della terra inghiottita dalle acque «in un singolo giorno e notte di disgrazia» attraverso le memorie del giurista Solone (615-535 a.C.), il quale, durante un viaggio d’istruzione in Egitto avvenuto un paio di secoli prima, aveva ascoltato dalla bocca del venerando Sonchis, sacerdote di Sais, la storia di una remota terra ubicata “oltre le colonne d’Ercole” da cui sarebbe stato possibile raggiungere altre isole, e “da esse, l’intero continente opposto che circonda quello che può essere a ragion veduta definito oceano”.
Ora un mare può anche circondare un continente, ma com’è possibile il contrario? Ambigua appare anche la definizione «continente opposto», la quale, premessa la settentrionalità dell’osservatore, offre due letture e un solo risultato: nella dimensione celeste «opposto all’orso» (Ursa Major e Ursa Minor) significa antarktikós (ἀνταρκτικός) mentre nella dimensione terrestre la geografia azimutale di Lambert, indica l’Antartide come «opposto» alla Groenlandia [immagine 1].
L’idea dell’Atlantide-Antartide può apparire fantasiosa, se non fosse che Platone nel suo discorso cita l’oricalco specificando che “si estraeva dal suolo in varie località dell’isola [di Atlantide] ed era più prezioso dell’oro” (Crizia, 114e), ma che purtroppo di quel misterioso metallo i Greci avevano perso la memoria. Si riferiva al platino, sconosciuto al mondo mediterraneo ma ampiamente utilizzato dalle popolazioni precolombiane del Sudamerica? La cultura ellenica era in possesso di notizie a noi ignote? Conservava il ricordo di un tempo remotissimo in cui l’estremo Sud del mondo era abitato?

Formidabili nel pensiero i Greci erano delle schiappe in geografia, perciò le loro descrizioni topografiche non vanno mai prese alla lettera. D’altra parte, è anche vero che greci insigni come Erodoto e Pitagora ebbero modo di visionare in Egitto numerose mappe e importanti «documenti di fondazione» riguardanti eventi profondamente significativi per la ricostruzione della Storia delle Origini. I tracciati riguardavano per lo più il Mediterraneo e il Mar Nero, ma non mancavano i profili di altre aree del mondo quali le Americhe, l’Oceano Artico e quello Antartico.
Alcuni di quei cartigli furono portati in Europa, penetrarono nelle cerchie iniziatiche medioevali e vennero studiati dall’intellighènzia dell’epoca. Come dimenticare la meraviglia di Dante Alighieri quando nel primo canto del Purgatorio (versi 22-27) guarda a oriente, spinge lo sguardo verso il meridione e osserva lo splendore della Croce del Sud: “Io mi volsi a man destra, e puosi mente / a l’altro polo, e vidi quattro stelle, / non viste mai fuor ch’a la prima gente. / Goder poteva il ciel di lor fiammelle …”
Il poeta sapeva che la Crux Australis, poteva essere osservata (fino a 14.000-12.000 anni fa) da “la prima gente” delle latitudini settentrionali? Conosceva la precessione degli equinozi (vedi anche Inferno, XXVI, 127-9) che rese la costellazione gradualmente invisibile ai settentrionali, riservandone la vista ai meridionali dislocati sotto il 25° di latitudine sud?
A partire da Francesco di Bartolo, o da Buti (sec. XIV), i dantisti esclusero la possibilità che trovandosi in un contesto culturale e geografico europeo Dante potesse conoscere la Croce del Sud, quei versi avevano un valore simbolico e indicavano le virtù teologali (giustizia, fortezza, prudenza e temperanza). Problema risolto.
Ma lasciamo ai letterati le loro beghe interne e torniamo alla geo-antropologia, cioè all’Atlantide di Platone descritta come parte di un continente insulare «più grande della Libia e dell’Asia riunite». Gli atlantidei sarebbero stati abili navigatori in grado di determinare esattamente le coordinate di latitudine (nord/sud) e di longitudine (est/ovest) con strumenti estranei alla bussola, inventata in Cina prima dell’anno Mille. La loro civiltà marittima, continua il racconto, estese la propria influenza fino ai confini dell’Egitto e di certo sarebbe arrivata in Grecia se all’improvviso una tremenda catena di terremoti e maremoti non l’avesse distrutta.
Da quale parte del planisfero dobbiamo guardare? Verso l’Antartide (F. Barbiero, Una civiltà sotto ghiaccio, Editrice Nord, Milano, 2000) oppure all’altra “estremità del mondo …”, verso il Mar Bianco (M. Bulloni, Ho scoperto la vera Atlantide, Armenia, Milano, 2010)?
Riguardo alla prima ipotesi oggi sappiamo che durante l’Olocene (iniziato circa 11.700 anni fa), e comunque fino al 4.000 a.C. circa, la penisola antartica, o Antartide Minore, fu un «continente insulare» relativamente sgombro dai ghiacci, perciò navigabile e persino vivibile. Manca, però, la prova regina. Idem dicasi per il Mar Bianco, le cui acque alla data indicata da Platone erano, sì, entrate nella fase di riscaldamento, ma risultavano ancora troppo fredde e inospitali.
Sgombrato il campo dalle prime due possibilità, ne resta in piedi una terza: l’Atlantico; ma non è il caso di farsi illusioni perché le prove tangibili scarseggiano anche qui, mentre il Pacifico continua a regalare interessanti reperti archeologici nonostante la maggiore profondità dei fondali.

 

Il continente che non c’è, ma esiste

I sostenitori dell’«Atlantide nell’Atlantico» basano le loro tesi sulle carte nautiche di Marino di Tiro, ovvero dei Fenici che erano i «marinos» (μαρίνος) dell’epoca. Queste mappe cominciarono a circolare sui vascelli dei marinai europei durante la Quarta Crociata del 1204, quando Costantinopoli fu conquistata dai Veneziani, ispirarono molti portolani medievali e finirono sulle scrivanie di eminenti cartografi come l’ammiraglio Piri Reis (1465-1470) e il matematico Finaeus (1494-1555).
Un disegno in particolare, attribuito al veneziano Zuane Pigano (1424) e attualmente conservato in una biblioteca universitaria del Minnesota (la Carta di Pizzigano), mostrava il bacino atlantico con l’Europa e l’Africa occidentali ad est, più le Azzorre, le Canarie ed altre quattro isole (Satanazes, Saya, Ymana e Antilla) unite in una «consistente massa solida».
Certo non si può escludere che le acque basse dell’Era Glaciale abbiano lasciato emergere picchi e altipiani dalla dorsale mediana dell’Atlantico, cioè dalla catena montuosa sottomarina che va dal Polo Nord fino all’Antartide, ma da qui a scorgere in essi un intero continente ce ne corre [immagine 2]. Ciò nonostante alcuni cartografi quattro-cinquecenteschi videro in Antilla il corpo fisico dell’Atlantide di Platone, motivando in questo modo le brame di ricchezza dei navigatori spagnoli e portoghesi, costantemente affamati di nuove terre da divorare.
Quanto detto finora significa dunque che la mitica città fondata dal dio del mare Poseidone non è mai esistita? Si e no. È impensabile che siano nate dal nulla le cinquecento e passa narrazioni tradizionali che ricordano affrante le devastazioni dell’undicesimo millennio a.C., quando al termine dell’ultima Era Glaciale i fiumi e gli oceani tracimarono rovinosamente, distruggendo le strutture in pietra delle più avanzate civiltà del pianeta.

A parte l’Africa, uscita quasi indenne dalle inondazioni scatenate dal ritiro dei ghiacciai wurmiani, in misura variabile tutti i continenti furono colpiti da diluvi, maremoti e terremoti, perciò l’Atlantide di Platone va intesa come simbolo di un numero imprecisato di vittime illustri. Tanti furono i «diluvi» quante le «Atlantidi» cancellate dalla furia devastatrice degli elementi, ecco perché i nuovi strumenti di rilevazione stanno riportando alla luce i loro resti in ogni parte del mondo.

 

Memorabili diluvi

Un attento studioso di Atlantide come Evola sottolineò la necessità per l’uomo moderno di mantenere il proprio dominio sul Mito, come del resto sulla Storia. Nessuna verità può essere assolutizzata; è un attimo farsi prendere la mano, soccombere alle suggestioni e finire per sposarne le cause.
In un certo qual modo il concetto di «strumentalizzazione funzionale» del mito evocato da Evola ai avvicina alla «teoria dei miti» di Georges Sorel (1847-1922), il quale interpretava il racconto mitologico come veste esteriore di un’idea, o di un concetto. Contemporaneo di Freud, il pensatore francese era però influenzato dalle nuove scienze che interpretavano i miti come altrettante riemersioni dall’inconscio di immagini capaci di formare precisi convincimenti.
Nel complesso si può dire che nessun intellettuale otto-novecentesco abbia riconosciuto l’istinto di conservazione dell’uomo, sminuendo così la sacralità della trasmissione della Memoria celebrata per millenni dalle società preistoriche, tutte modellate ad immagine e somiglianza della Terra che pazientemente registrava, conservava e tramandava gli eventi.
Più vicina al suo (e nostro) passato la cultura ellenica seguì invece le orme degli Avi facendo proprio e trasmettendo ai posteri il ricordo di almeno tre diluvi memorabili (atlantideo, ogigio, deucalionico), episodi oggi confermati dalle ricerche geologiche, oceanografiche e climatologiche.
Un primo poderoso sollevamento dei mari (inondazione atlantidea?) si verificò tra i 15.000 e gli 11.000 anni fa. Migliaia di piccole isole comprese nei numerosi arcipelaghi che rendevano l’Oceano Pacifico un mosaico di terre dentro un mare furono sommerse, così come la piattaforma di Sahul che univa Australia, Tasmania e Nuova Guinea, nonché diverse linee costiere dell’India meridionale, molto più corposa di quanto non appaia attualmente.
Nel complesso i geologi calcolano la perdita di quasi il 15% delle terre emerse, cioè di un’area stimata attorno ai 25 milioni di chilometri quadrati, pari a quella del Nordamerica. Ma non è finita perché intorno agli 11.700 anni fa, crollò il lago Glaciale del Baltico formatosi durante la ritirata dei ghiacci scandinavi. Circa 8.000 anni fa si ruppero invece gli argini ghiacciati del lago Agassiz (nell’odierno Canada settentrionale), liberando in un periodo relativamente breve una quantità straordinaria di acqua dolce che si riversò nell’Oceano Atlantico attraverso il fiume Saint Lawrence. Scomparve in quel frangente la «terra solare» messa da Omero «al di là di Ogigia» e collocata da Plutarco “a cinque giorni di navigazione dalla Britannia, in direzione occidente…”?
In realtà «ogigia» è un aggettivo che significa «primordiale», come osservò Wilamowitz (Wilamowitz-Moellendorff, Cos’è una tragedia attica?, Einaudi, Torino, 2013). Storicamente stiamo parlando dunque della dimensione a-temporale che precedette la Storia, mentre geograficamente si potrebbe volgere lo sguardo verso quella che fu un’isola sparsa tra le Fær Øer, comprese nel Paleolitico Superiore nella vasta area di terre emerse che si stendeva tra Groenlandia, Islanda e Scandinavia.
La terza inondazione (deucalionica?) raggiunse latitudini più meridionali. Ingrossato dagli eventi alluvionali il Mar Nero (posto fino al 5.000 a.C. in una condizione «lacustre», ad almeno 100 metri al di sotto di quello dei mari salati del pianeta) fece cadere la diga del Bosforo. A sua volta il Mediterraneo investì con forza inaudita la fascia litoranea, i monti della Tessaglia furono fatti a pezzi e l’intera regione, fino all’Istmo e al Peloponneso, venne trasformata in un’unica distesa d’acqua.
Analogamente il Golfo Persico si alzò di tre metri penetrando nell’entroterra per circa 70 chilometri ed andando ad allagare la piana di Sumer, già erosa da episodi alluvionali precedenti. Rispetto agli altri due diluvi quello deucalionico fu forse il meno violento, ma in termini di perdita della cultura i danni furono incalcolabili; vivendo in Scizia, l’iconica coppia Deucalione/Pirra dovette infatti ricominciare tutto daccapo.

 

Paure ignoranti

Influenzato dal dualismo della cultura iranica Platone giunse alla conclusione che «gli abitanti di Atlantide», da intendersi come i rappresentanti di una sfortunata epoca, se l’erano cercata. La loro fine, insomma, sarebbe stata una «giusta punizione» divina. Un concetto ripreso più tardi dal poeta latino Ovidio, il quale attribuirà all’ira di Zeus, re dei cieli e dio del tuono, il flagello liquido che cambiò i connotati del pianeta. Se i sacrifici e le purificazioni (leggi: i doni alla classe sacerdotale) fossero stati più sostanziosi, nulla di tanto grave sarebbe accaduto.
Impauriti e impoveriti i popoli vollero credere alla narrazione ufficiale, così il senso di colpa divenne il jolly nel mazzo di carte in mano al Potere, che tuttora attribuisce al comportamento dissennato dell’uomo qualsiasi evento geologico e/o meteorologico. Diecimila anni di trame astutamente intrecciate hanno sconfitto l’evidenza dei trend climatici, sui quali incidono innumerevoli fattori come ad esempio la posizione della Terra nella galassia, le variazioni cicliche più piccole nell’orbita terrestre, le correnti oceaniche, i mutamenti nelle emissioni solari e via dicendo. L’uomo ha la facoltà di distruggere se stesso, cioè di avvelenare l’ambiente in cui vive e morire anzitempo, per il resto può solo sperare di trovarsi al posto giusto nel momento giusto.
Per esempio Deucalione e Pirra, o chi per essi, sarebbero morti come tutti gli altri se il destino non li avesse fatti nascere dentro un’«arca geografica» naturale come l’Eurasia, cioè in un’area ricca di «rifugi climatici», il più grande dei quali, conosciuto con il nome di Rifugio Pontico, copre tuttora un’area di circa un milione di chilometri quadrati, dall’Europa orientale alla Russia, fino al Kazakistan.
Nonostante la perdita di molte specie di megafauna avvenuta nel passaggio dal Pleistocene all’Olocene, circa 10.000 anni fa, gli abitanti della steppa pontica ebbero la fortuna di potersi rialzare ri-avviando le tecniche agricole, l’allevamento e l’aggregazione sociale. A sedare le paure pensarono le nuove religioni, le quali impugnando l’arma dei sensi di colpa crearono una ragnatela di relazioni intimidatorie basate sulla fragilità e sull’insicurezza collettiva. Da quel momento in poi, fu tutto un mea culpa.
Ma, forse, non c’era scelta. Nei frangenti peggiori è inevitabile proteggere l’Io anche a costo di rimetterci tutto il resto, scadere nella mediocrità, confondere i motivi che rendono la vita degna di essere vissuta, nonché dimenticare che solo un sano spirito di lotta può migliorarla.
Propter vitam vivendi perdere causas”, diceva Giovenale; e siccome negli ultimi diecimila anni non siamo affatto cambiati, la tragedia di Atlantide ci riguarda da vicino. Un tempo il Potere prometteva ai bravi ragazzi il paradiso mentre oggi offre l’accumulo dei punti sulla tessera dei crediti sociali, ma la sostanza è sempre la stessa.
Come si esce dal circolo vizioso? Ben nascosto nella jungla del proprio onorevole passato come il soldato Hiroo Onoda l’occidente collettivo dovrebbe per prima cosa farsi un bel bagno di realtà, cioè smettere di vantare una «superiorità» ormai inesistente. Anche basta coltivare emozioni paleolitiche, accettare istituzioni medioevali e confidare in una tecnologia ritenuta «divina» solo perché si è smarrita la cognizione dell’«umano» (E.O. Wilson, L’armonia meravigliosa. Dalla biologia alla religione, la nuova unità della conoscenza, Mondadori, Milano, 2022). Chiunque oggi rimanga fermo immobile come un parafulmine ad aspettare la scossa decisiva, ovvero le mosse altrui, finirà per attirare su se stesso «la giustizia divina»; con la differenza, rispetto al passato, che stavolta non sarà in grado di pararne i colpi.

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (Audax Editrice). Altre pubblicazioni: "La vera Storia di Eva e il Serpente. Alle origini di un equivoco" (Audax Editrice, 2024). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

10 Comments

  • Tango 26 Gennaio 2025

    “l’occidente collettivo dovrebbe per prima cosa farsi un bel bagno di realtà, cioè smettere di vantare una «superiorità» ormai inesistente.”

    Quindi tutta questa profusione di parole serve a manifestare la vergogna di se stessa, che lei si sente “ormai inferiore” e che è “sporca” quindi ha bisogno del “bagno di realtà”, ironicamente, nell’esoterismo di Evola? Potrei fare del sofismo, che sarebbe necessario per i luoghi comuni privi di senso come “occidente collettivo”, potrei sottolineare la contraddizione paradossale nel suo concetto di “realtà” ma mi sembrerebbe di infierire su una persona psicologicamente sofferente.

  • Gaetano Barbella 26 Gennaio 2025

    Gentile Dott.ssa Rita Remagnini

    Il mondo degli Atlanditi.

    «Come si esce dal circolo vizioso? Ben nascosto nella jungla del proprio onorevole passato…» lei dice e auspica di non rimanere fermo immobile.

    Eppure può capitare, perché è giunta la fine della sua ora di “immobilità”, che un certo mondo venga rilevato a causa delle sue tracce.

    Ho scritto alcune righe su un mondo come quello di Atlandine, mostrando delle prove inoppugnabili.
    Mi interesserebbe conoscere il suo pensiero a riguardo.

    Le comunico il link che è questo:
    https://toba60.com/il-mistero-di-tellus-la-terra-che-cela-il-mondo-sotterraneo-di-agarthi/

    Per il commento, cui ringrazio, questa è la mia e-mail:
    gaetano.barbella@gmail.com

    Oppure può può rilasciare il commento qui in Ereticamente.

    Cordiali saluti,
    Gaetano Barbella

  • Rita Remagnino 26 Gennaio 2025

    Gentile signor Barbella, stasera leggerò il link che mi ha inviato e poi le scrivo.
    Un caro saluto.

  • Primula Nera 26 Gennaio 2025

    Scritto dotto e interessante come sempre. Il mito di Atlantide viene analizzato a partire da evidenze geologiche e archeologiche. Sono molto d’accordo sul fatto che ,probabilmente, ci siano state tante “arlantidi” quanto i diluvi di cui parlano le varie tradizioni sparse nel mondo
    (chissà se parte di un’unica grande civiltà con varie diramazioni per il globo o civiltà indipendenti tra loro…).
    Sempre un piacere leggere i suoi articoli. Un saluto

  • Primula Nera 26 Gennaio 2025

    “…parti di un’unica grande civiltà…”

  • Rita Remagnino 26 Gennaio 2025

    Cara Primula Nera, grazie del commento. L’idea dell’esistenza di una civiltà marittima planetaria annientata dai diluvi è tuttora oggetto di studio e dibattito. Non mancano le evidenze sotto forma di somiglianze culturali, linguistiche, rituali e tecniche, ma, com’è noto, le ricerche archeologiche non sono investimenti appetibili e perciò vanno a rilento. Le fonti comunque non mancano, se si ha la pazienza di scovare le tessere del puzzle … un pezzettino per ciascuno, poco alla volta e senza pretese … Un caro saluto.

  • Gaetano Barbella 28 Gennaio 2025

    Gentile Dott. Rita Remagnino
    mi aspettavo la sua risposta come promesso, ma non mi è ancora arrivata.
    Cordialità

    Gaetano Barbella
    [gaetano.barbella@gmail.com]

  • Rita Remagnino 28 Gennaio 2025

    Gentile Gaetano Barbella, in effetti le avevo risposto e la mail risulta inviata.
    Vedo di risolvere il problema tecnico …

  • Daniele Bettini 22 Aprile 2025

    Non poteva che avvenire a Pasqua con la dischiusura dell’uovo cosmico questa nuova fondamentale scoperta sull’ Egitto

    Cosa si nasconde davvero sotto le piramidi? Le megastrutture di Giza: un rapporto preliminare
    https://grahamhancock.com/collinsa7/

    La leggenda delle sale Amenti (che conteneva le tavole di Thot l’atlantideo) riaffiora dalla sabbia – Tre ricercatori italiani (a cui aggiungo Antonio Bonifacio autore di L’Egitto dono di Atlantide) e una scoperta che il mainstream sembra non vedere.

    https://comedonchisciotte.org/la-censura-del-mainstream-su-una-scoperta-che-potrebbe-riscrivere-la-storia-dellumanita/

    Tali storie probabilmente registrano il ricordo dell’ipotizzato evento di impatto del Dryas Recente, che oggi si ritiene sia avvenuto intorno al 10.800 a.C. Studi approfonditi su carote di ghiaccio e sedimenti lacustri, insieme a dati stratigrafici databili, indicano che questo impatto, causato probabilmente dall’esplosione di frammenti di una cometa, diede inizio a un inverno nucleare, che abbassò la temperatura a tal punto che, insieme al rilascio di acque di fusione dei ghiacci nell’Oceano Atlantico, innescò una mini era glaciale. Questa durò per un periodo di 1200 anni, portandoci al 9600 a.C., l’arco temporale della cultura di Taş Tepeler, altamente avanzata, nell’Anatolia sud-orientale. Nell’arco di circa 1500 anni, fino all’8000 a.C., nella provincia di Şanlıurfa in Anatolia e nei suoi dintorni furono costruiti almeno una dozzina di centri rituali, ognuno costituito da più recinti in pietra contenenti pilastri antropomorfizzati a forma di T, spesso con due monoliti gemelli al centro.

    Taş Tepeler in Egitto

    Possiamo anche affermare che esistessero contatti diretti o indiretti tra gli abitanti dei complessi di Taş Tepeler, come Göbekli Tepe e Karahan Tepe, e la valle del Nilo in Egitto. Ciò è ipotizzabile grazie al ritrovamento in Egitto di utensili in pietra utilizzati dalle comunità di Taş Tepeler dell’Anatolia sud-orientale. Ad esempio, un tipo di punta di freccia nota come Punta di Helwan, scoperta per la prima volta in uno degli insediamenti epipaleolitici più avanzati di Helwan, situato in vista del futuro sito delle piramidi di Giza, è stata rinvenuta in tutto il Levante, così come in un sito di Taş Tepeler nel cuore dell’antica città di Urfa (l’odierna Şanlıurfa). Ulteriori esempi della Punta di Helwan sono stati rinvenuti in siti neolitici nell’oasi egiziana di Fayum.9

    È possibile che un’architettura rupestre ancora più elaborata di quella recentemente scoperta nel sito di Taş Tepeler di Karahan Tepe 10 sia stata scolpita nella roccia calcarea di Giza? Questi popoli tecnologicamente avanzati veneravano Giza come luogo dei loro antenati? Ciò potrebbe essere dovuto alla presenza, sull’altopiano o al di sotto di esso, di strutture superstiti appartenenti alla cultura antica egiziana, da tempo scomparsa?

    Un simile scenario potrebbe sembrare inverosimile, o quantomeno speculativo, ma è supportato dai Testi delle Costruzioni di Edfu. Questi ci dicono che, in seguito al grande cataclisma, un nuovo popolo giunse a rioccupare l’isola primordiale della creazione, dove ancora aleggiavano i “fantasmi” dei Primigeni o degli Anziani. 11 Si trattava forse di un ricordo dell’arrivo nella Valle del Nilo di membri della cultura di Taş Tepeler? Furono loro a creare queste megastrutture che ora si ritiene esistano sotto la Seconda Piramide? O semplicemente si aggiunsero a monumenti e strutture già presenti? Entrambi gli scenari potrebbero essere corretti. Certamente, il livello di ingegneria raggiunto da Taş Tepeler in siti come Karahan Tepe, in particolare, indica che la sua cultura altamente sofisticata avrebbe potuto facilmente essere responsabile della costruzione di edifici megalitici e grandi strutture in Egitto.

    La Tomba di Hermes
    A sostegno di questa idea c’è il fatto che fonti arabe egiziane medievali riportano che i popoli sabei dell’antica città di Harran, nell’attuale Turchia sudorientale, si recavano in pellegrinaggio a Giza per venerare la Seconda Piramide come tomba di Hermes, uno dei leggendari fondatori della loro cultura.

    Come mai allora i Sabei giunsero a credere che la Seconda Piramide nascondesse la tomba di Hermes? Si può solo supporre che egli fosse una forma ellenizzata del dio egizio Thoth, descritto nei testi antichi come il custode dei registri. È possibile che i resoconti della sepoltura di Hermes a Giza siano un ricordo distorto delle strutture esistenti sotto la Seconda Piramide?

    Altrove, l’autore dimostra che l’eredità della cultura di Taş Tepeler fu ereditata dai Sabei di Harran 12 , il che significa che il loro interesse per Giza potrebbe benissimo derivare dai loro antenati neolitici. Fu questo a spingerli a tornare regolarmente in Egitto per rendere omaggio a uno dei loro fondatori divini?

  • Rita Remagnino 22 Aprile 2025

    Grazie della segnalazione, Daniele Bettini. Avevo letto l’articolo di ‘Come don Chisciotte’, ma non quello di Hancock. Quanto al mainstream, nemmeno noi lo vediamo … perciò, non si può pretendere. Un caro saluto.

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