Ho ripetuto più volte ed anche scritto, ad esempio in Strade d’Europa, suscitando la benevola disapprovazione di Giano Accame, come non desideri che si faccia alcuna funzione funebre, cerimonia o cose simili, quando sarò morto. Al mio funerale non vorrei esserci neppure come protagonista, immaginatevi in qualità di testimone per quello degli altri. E, difatti, non vado se non trascinato per obblighi affettivi. Al massimo, sì, prima d’essere trasformato in poca cenere e disperso (va bene anche una economicissima discarica o un modesto cassonetto dell’immondizia), una sana bevuta agli amici e camerati, quelli che ostinati pretendono di farmi il ‘presente!’, offerta dai miei figli…
Preambolo più adatto per una uggiosa grigia giornata di inizio novembre – facciamo il due, scelto a caso? – che in queste di fine aprile con l’arrivo di primavera con il suo carico di luce calore colori profumi. Tranquilli, niente scongiuri, sincere lacrime o di convenienza, cravatta nera e cappellini con la veletta, io sono inossidabile eternamente terrigno ferocemente deciso a tormentare tutti e tutto, anche i lettori di Ereticamente.
Mi torna a mente il vecchio commendator Cardelli, figura dannunziana, con il completo di lino bianco la paglietta il fiocco al posto della cravatta il bastone con il pomo d’argento. Proprietario delle corriere che facevano la spola con l’entroterra riminese, ultraottantenne, minuto, rugoso, il pizzetto candido. Al tempo di Giolitti sarebbe stato un ‘notabile’, facente parte la ristretta cerchia di quelli che si definivano i ‘galantuomini’. Beh, per noi ragazzini, un po’ per rispetto e un po’ per burla, quando lo s’incontrava, ci si trovava gusto a chiedergli come stava. Risposta immancabile: ‘Quando cammino, ancora si muove…’. Capito?!?
Di recente, a Roma, nella chiesa di San Marco, angolo piazza Venezia, due funerali, che hanno richiamato il disperso mondo dei ‘camerati’. Quello di Pino Rauti e quello di Teodoro Buontempo. Con accompagno doveroso di saluti romani gagliardetti tricolori striscioni interviste. La bara portata a spalla dai ‘fedelissimi’, magari per Teodoro da (fedeli) aspiranti consiglieri alle prossime elezioni comunali. (Dato il livello culturale, certamente ignari di quell’Enrico IV di Borbone e della sua conversione con la celebre e nobile giustificazione che ‘Parigi val bene una Messa!’).
Non sono andato ad entrambi. Perché del primo riconoscevo la forza delle idee innovative, ma anche la fragile statura come guida politica, che tanti aveva illuso, ad esempio al tempo di Linea, e poi tristemente disilluso (e per ragioni personali che, qui, non vale riferire. Per mia fortuna evito di coltivare il rancore e oltre quarant’anni sono un tempo lungo per evitare di guastarsi il fegato. Per buongusto, però, no, non potevo esserci…). Non ho mai avuto confidenza con Teodoro e, se ci s’incontrava (l’ultima volta un paio d’anni fa alla presentazione di un libro), s’abbozzava un saluto fugace e superficiale. Le sue scelte, tutte credo animate da intenti sinceri, furono sempre legate ad un partito di riferimento; le mie dal 1965 mai (non per altro mi piace gigionare con la definizione di anarco-fascismo). Ciò non toglie che seppe incarnare, in tante battaglie, l’anima proletaria e fascista di cui abbiamo avuto e, a maggior ragione oggi, bisogno. Solo che ad un funerale si va per dare l’ultimo saluto ad un amico, ad un camerata, magari ad un avversario che si è conquistato il nostro rispetto. A fare passerella ci sono le sfilate di moda, a ritrovare gli uni e gli altri il caffè o l’osteria, per recuperare l’anima dal fondo di se stessi e la camicia nera dal cassetto è sufficiente guardare la propria immagine nel segreto del cesso.
Non entro sovente in chiesa non nei cimiteri poco nei musei. Eppure sono stato il 25 aprile al Campo della Memoria, dove sono stati raccolti i resti, un pugnetto di ossa in cassette di zinco, di quel centinaio di ragazzi del btg. Barbarigo-XMas caduti sul fronte di Anzio. E domenica, il 28 aprile, alla Messa in ricordo del Duce in piazza Salerno, a Roma. Qualche misero atteggiamento cialtrone ed arrogante, qui, si può sopportare… perché, qui, avverti che aleggia lo spirito della grande Storia (‘con uno schianto non con una lagna’ ricorda Pound nel LXXIV dei Pisan Cantos). E fa bene il confrontarsi con essa, con essa pacificarsi.
‘Iddio, che accendi ogni fiamma e fermi ogni cuore…’.