Immaginiamo che si debba risvegliare un nuovo stato di coscienza senza entrare nel merito di una guerra titanica tra enti divini. Ecco, qual è la prospettiva sacra che dobbiamo assumere per questo approccio e soprattutto come si deve eseguirla per risultare più organici e fedeli al ciclo cosmico che domina i nostri istinti e le nostre debolezze? E, soprattutto, l’Uomo contemporaneo, avvolto ed avvilito dalla tecnocrazia, può fare riferimento ad una conoscenza sapienziale per autodeterminare una coscienza pia e incontaminata volta a sostenere una libera volontà di Pensiero e Azione? Questi ed altri quesiti pone il giovane Daniele Palmieri, autore di questo bel testo, “Autarchia spirituale”, edito per Anima Edizioni.
L’Autore affronta questo percorso col metodo stoico, basandosi su un forte orientamento etico e morale, sostenendo le virtù dell’autocontrollo, dell’autarchia e del distacco dalle cose terrene, con l’aspirazione all’Autarchia quale indipendenza animica, come sua autosufficienza. Chiudendo gli occhi e percependo le esperienze dal fatto e dalla memoria, si può attuare un esercizio su di sé che serve a portarsi in un’altra dimensione. L’alternativa è tra la coscienza razionale e la autocoscienza: la prima come stato di coscienza dell’io ma non l’io stesso che non può essere concepito come coscienza vegetativa, sensitiva e razionale. L’io è un punto focale, di convergenza di questo fascio di esperienze distinte.
L’autore accompagna il lettore in un viaggio empirico di esperienze per dimostrare che l’Io è uno stato di coscienza non individuale né egocentrico, ma caratterizzato da personali emozioni, ricordi e comportamenti. E allora la variabile che determina la qualificazione di una esperienza diventa la memoria, elemento imperdibile per il fluire della nostra essenza che è sempre in perpetuo mutamento. Quindi svanisce l’Io e si rileva il Sé, il quale si proietta verso la conoscenza e quindi nella sua sfera più intima della verità, e dunque si realizza guardando il Sé medesimo allo specchio, nelle sue dimensioni manifeste, e vede la sua immagine riflessa, ancora inconsapevole di essere mondo, perché vede nelle pupille la sua piccola immagine. Un problema, questo, di carattere epistemologico, che sancisce l’assioma secondo cui la conoscenza non può che fondarsi sull’interiorità umana. Come ovviamente succede per il concetto o Idea di Dio che non può nascere da una astrazione razionale ma esclusivamente da un sentimento. Una filosofia, dunque, non astratta e fine a se stessa, ma principio per mezzo del quale si decide come vivere la propria esistenza.
Tali sono le risultanti della ricerca filosofica di Daniele Palmieri, le quali, tuttavia – bisogna necessariamente precisarlo – rappresentano delle ottime basi conoscitive della dimensione criptica del sottile e dell’animico. Ciò che si determina come autarchia è propedeuticamente un processo di catarsi del microcosmo dal mondo e dall’interna materialità: si manifesta un processo necessario ma non sufficiente affinché l’Io ritrovi il Sé profondo. In tale ottica va chiarito che la rinascita spirituale non si realizza mai, in nessuna forma tradizionale, per un annientamento egoico, ma tramite una sua rettificazione. Qui è evidente come le norme etiche espresse non debbano essere espresse in un quadro di adesione religiosa ma, al contrario, debba nietzschianamente liberarsi del misticismo, quasi ad assumere valenza di pura tecnica purificatoria.
L’Autarca, come espresso da J. Evola nei suoi testi sull’Idealismo Magico e sull’Individuo Assoluto, deve assumere perciò più le vesti di un Mago, di Presente Volitivo, che quelle di un asceta o di un devoto rinunciatario. Precisate tali dinamiche, la lettura del testo del giovane Daniele Palmieri è assolutamente consigliata nel quadro di una precisa ed inderogabile formazione spirituale, così poco considerata nell’età contemporanea e nell’ambito di un decadente neo-spiritualismo, così appassionato alle cerimonie ma poco accorto a guardarsi dentro ed allo specchio.