“Voglio il Nulla” (Mefistofele)
Esistono ancora gli Autogrill? E si chiamano ancora così? Me lo chiedo sapendo bene come oggi ogni cosa cambi rapidamente forma, nome, sostanza. Ma queste oasi di ristoro nei deserti d’asfalto delle nostre autostrade non hanno ragione di sparire o di cambiar nome. Nel loro caso un semplice slittamento semantico sarà sufficiente. Così, quando nei nostri viaggi vedremo la segnalazione di un vicino ‘Autogrill’ sapremo che poco più avanti potremo rifocillarci mangiando grilli e insetti vari.
So che alcuni trovano tale prospettiva ripugnante. Altri ritengono che il regime entomofago sia una minaccia alla salute. Ma la scienza, che ci è madre e maestra, ci rassicura. Mangiare bruchi e scarafaggi è solo una delle tante varianti plausibili della nostra alimentazione. Lo si fa già, in altre culture e zone del mondo. Giovanni il Battista non si nutriva di locuste? L’uomo, si dice, è un animale onnivoro, abituato da tempo a mangiare ogni cosa, a fare di necessità virtù. E a farne un vizio, se non v’è necessità.
Del resto, siamo già sufficientemente edotti sulle infinite espressioni del desiderio sessuale – tutte legittime, tutte naturali, si dice – per non accettare anche la multiforme, o meglio, onniforme varietà dei nostri appetiti alimentari. Non dubito che – se vi fosse un profitto – troveremmo il modo di riciclare gli escrementi e convertirli in materia commestibile. E perché essere ostili al cannibalismo? Anche i nostri morti potrebbero diventare una fonte alimentare se invece di sotterrarli – che spreco! – li convertissimo più razionalmente in barrette energetiche.
I tradizionalisti, i reazionari insorgono, cercando di frenare lo slancio della civiltà. Ma è inutile opporre pregiudizi culturali, scrupoli morali, remore religiose, aggrapparsi al logoro argomento della difesa della “nostra identità” o denunciare qualche misterioso complotto che lavora nell’ombra per mutarci antropologicamente. Le obiezioni metafisiche e le illazioni devono arrendersi a sobrie considerazioni di ordine calorico, proteico, vitaminico ed economico.
Questa metamorfosi del cibo è per altro solo uno dei tanti aspetti di un ampio progetto che si prefigge di plasmare ogni aspetto della vita nel senso dell’efficienza, della razionalità e del profitto. Possiamo leggervi in effetti l’utopia di riscrivere l’Uomo, di liberarlo da pastoie etiche o filosofiche ormai obsolete, di inserirlo in una dimensione algoritmica ove la stessa natura creante, superata da un’organizzazione totalmente artificiale della vita, sarà dismessa come un vecchio abito fuori moda.
L’anima, perso ogni mistero, diverrà un’entità da digitalizzare e scansionare in ogni sua parte. La nostra intelligenza, così soggetta a errori e confusione, sarà integrata da microchip e software che la costringeranno a prendere decisioni logiche, senza interferenze irrazionali. Le nostre stesse emozioni si conformeranno a coordinate precise, in base agli obiettivi decisi da chi ci governa. A quel punto, nutrirsi di vermi o di bambini poveri (come suggeriva Swift) ci sembrerà moralmente indifferente quanto il far sesso con animali o con neonati, quanto l’ingravidare donne morte, sopprimere i vecchi e i malati o qualsiasi altra cosa soddisfi criteri utilitaristici.
La questione non è dunque il semplice mangiar insetti o l’astenersene, ma l’accettare o rifiutare paradigmi nuovi – per quanto sconcertanti – che mutano sostanzialmente i nostri comportamenti sociali e la nostra visione del mondo. Cose che un tempo avremmo dette mostruose o inconcepibili oggi vengono rapidamente integrate nei nostri costumi, nel nostro modo di sentirci ‘normali’. È probabile quindi che in futuro ci adegueremo a norme e costumi che oggi giudicheremmo aberranti. Persuasioni occulte e rigorose sorveglianze convinceranno anche i recalcitranti ad adeguarsi. Per i più ostinati si ricorrerà a quella rete di ricatti, pene e costrizioni che il Potere giustifica evocando i fantasmi del ‘bene comune’ o della ‘sicurezza’. Allora, quando altri decideranno cosa dobbiamo mangiare o pensare, quali affetti provare, quali valori avere, la nostra libertà coinciderà magicamente con la nostra inconscia e passiva obbedienza, i nostri diritti saranno inseparabili da uno stato di totale servitù.
A renderlo fisicamente possibile sarà una tecno-scienza in grado di manipolare il nostro ambiente vitale, di dissolvere e rimodulare incessantemente la nostra percezione dell’uomo e della natura, realizzando quasi una contro-creazione che corregga e sostituisca l’opera divina. Alcuni, ingenuamente, le attribuiscono ancora natura prometeica. A me, più che grandezze titaniche, ricorda la follia di un Renfield. Intendo quel tale cui Dracula, nel romanzo di Stoker, ha stravolto la mente con i miraggi di un sinistro transumanesimo. La sua mente impazzita non difetta di logica e di coerenza. Solo, tali facoltà gli servon di sostegno alla struttura allucinatoria del pensiero. Così, rinchiuso tra i muri grigi e sepolcrali di una cella di manicomio, perso nei suoi vaneggiamenti, Renfield sogna l’avvento del Padrone, la sua imminente parusia. E quando, nei suoi invasamenti, diviene pericoloso per sé e per altri, gli si applica una camicia di forza. Contenzione efficace che purtroppo non viene usata per il nostro delirante progresso.
In Renfield pare annunciarsi anche la transizione dell’uomo verso lo stato di animale insettivoro. Si ciba infatti di ragni e mosche che trova nella sua stanzetta. Li trova appetitosi, s’illude di cavare dal loro sangue una misteriosa e corroborante linfa vitale. Soprattutto, Renfield è un perfetto schiavo: la sua volontà, la sua intelligenza, sono totalmente sottomesse a Dracula, the Master. Egli vive nella speranza che il Padrone gli faccia dono della vita immortale e lo renda partecipe del suo potere. Finirà invece orribilmente straziato dal suo stesso idolo, tradito dal suo messianismo rovesciato, com’è prevedibile accadrà all’uomo moderno.
Nel proporre tale funesta analogia occorre dissipare un possibile malinteso: il Padrone – il nostro come quello di Renfield – non è una semplice finzione letteraria. Dracula, Satana, Ahriman, i nomi hanno qui un’importanza secondaria. Essenziale è riconoscere la natura concreta e reale di questa forza ottenebrante, che si pone come antagonista alla Luce. Non è un secondo Dio, un Summum Malum opposto a un Summum Bonum. In realtà non ha alcun potere sulla Luce in sé, non può in nessun caso offuscarla. Può solo velare i nostri occhi o accecarli, ma per farlo – questa è una condizione essenziale – gli serve il nostro consenso.
Non dobbiamo immaginarlo come qualcosa che nasce dalla volontà dell’uomo, semplice allegoria dei suoi impulsi egoistici e crudeli o metafora di iniqui sistemi sociali. Il capitalismo, il liberismo, sono mali inventati dall’uomo, anche se poi divengono entità autonome, come golem sfuggiti al controllo del mago. È evidente che il destino dei popoli poggia oggi su calcoli finanziari, in un mondo retto non più da un ordine naturale e morale ma da teoremi socio-economici ritenuti immutabili benché contrari al bene dell’uomo. La amoralità indotta dalle “leggi di mercato”, dalle lotte di potere, sembra una palla che rotola verso il basso su un piano inclinato senza trovare ostacoli; non più questione di scelte, di decisioni etiche, ma forza di gravità, fenomeno fisico.
La spiegazione d’ogni cosa par sempre la stessa: cerchez l’argent. Ogni cosa, anche la più dolorosa – malattie, terremoti, guerre – invece di muovere a compassione diventa occasione di business, un modo con cui i ricchi diventano più ricchi. È irrilevante causare la morte o la sofferenza di milioni di persone se questo produce un profitto economico. Questa idea del denaro come movente universale non coglie tuttavia nel segno. Si limita a riconoscere un problema antropologico, il rapporto tra servi e padroni. Ma alla sua base v’è un ‘Padrone’ che ha natura metafisica, che precede l’uomo, ne è il primo e invisibile corruttore. Non è una semplice privatio boni (come il dolore non si può ridurre a una privazione di piacere). È piuttosto elemento fondamentale di una dialettica nella quale un Principio di armonia, di integrazione, confligge con un Principio di disordine e dissoluzione.
Il primo tende a creare relazioni solidali e benefiche tra le singole parti dell’essere e a conciliare le istanze individuali nella polifonia dell’insieme. Il secondo esercita al contrario una pressione verso la disintegrazione, verso la divisione (il dia-bolico), la sopraffazione dell’altro ecc. Queste due forze contrapposte – la cosmica e la caotica – agiscono costantemente in noi. L’una ci spinge ad aver cura della vita in ogni sua forma; è una pulsione unificante in cui la parte si fonde col Tutto senza perdere la propria essenza individuale. L’altra cerca di indurre nell’uomo un’amnesia spirituale per sradicare dal fondo di noi stessi il legame col creato, pervertire l’amore in possesso, la libertà in caos, la Totalità organica in massa omologata.
Abbiamo quindi due fondamentali forme possibili di relazione con la realtà: quella che vede nella vita una scaturigine divina, l’effetto di un atto d’amore al quale corrispondere, e quella per cui siamo parti di un universo creato da incoscienti leggi fisiche, luogo minaccioso da domare e conquistare. Siamo in bilico tra l’accettazione e l’ostilità, l’assenso di fede e il rifiuto, l’abbandono e la ricerca di qualcosa che ci conferisca controllo sul mondo. Tra queste due polarità, i cui estremi sono teorici, esiste naturalmente un continuum di gradazioni e ambiguità.
Tuttavia, la cultura oggi dominante privilegia un’interpretazione della vita in senso dia-bolico, tende cioè a riconoscervi solo elementi che si scontrano nello sforzo di affermare sé stessi a danno di altri: lotte di classe, conflitti tra pulsioni istintive e retaggi morali, competizione e selezione spietata. La forza si pone così come fondamento gerarchico naturale, giustificando il dominio di alcuni e la servitù di altri. Si ignora la natura univoca del reale e il suo procedere non mediante una serie di tensioni prodotte dall’inimicizia tra le parti ma attraverso le loro relazioni armoniche e complementari. Pare sia la dissonanza a rappresentare il senso e lo scopo dell’esistere, non il suo risolversi in accordi che realizzino condizioni di pace e riposo.
Questo ha fatto sì che la nostra epoca diventasse teatro di uno scatenamento di forze oscure e vampiresche, sede di una vasta congiura contro lo spirituale. La nostra società si è chiusa tra un estremo materialismo, da un lato, e un’estrema tendenza all’illusione, dall’altro. Si è prodotta così una progressiva obliterazione dell’anima, un’eclissi della verità. La nostra cultura mena continui colpi alla radice dell’essere. Nel tentativo di privare l’uomo del suo naturale legame col divino, gli offre dei chimerici surrogati di Dio. Ciò causa una rapida atrofia della coscienza di cui i primi a non esser consapevoli sono ovviamente coloro che ne vengono colpiti.
Questa espressione – “essere colpiti” – è però fuorviante, perché evoca una fatalità, quasi un fatto clinico. Ammalarsi di questo male è invece effetto di una scelta e responsabilità personali. Siamo tutti quotidianamente travolti da un torrente melmoso di menzogne e violenza, di bruttezza e volgarità, ma alcuni – rari nantes in gurgite vasto – nuotano contro i flutti, si aggrappano ai relitti di una coscienza ancora sensibile, cercano di raggiungere rive salvifiche. Altri seguono la corrente che li trascina, incapaci di vedere il precipizio cui conduce. Le loro anime accondiscendenti sono prese in questo vortice come il sangue viene risucchiato dalle labbra del Vampiro. Ma in questo v’è sempre una complicità, un assenso colpevole.
L’ottimista potrebbe vedere in questa involuzione spirituale un’analogia col movimento di certi bruchi, il cui corpo si flette all’indietro per spingersi avanti, ossia un retrocedere della civiltà per prendere lo slancio e compiere un balzo evolutivo. In tal caso, dovremmo attenderci l’emergere di una nuova società, tanto diversa dall’attuale quanto lo è la farfalla rispetto al bruco. Un mondo dove le persone sono solidali, oneste, compassionevoli e pacifiche; dove la scienza, la medicina, le macchine, l’informazione, la politica, l’economia forgiano strumenti di liberazione al servizio dell’uomo, non catene. Presumo che pochi crederanno a tale utopia. Ultimamente, quando si immagina il futuro, nella letteratura, nei film, nella fantasia, lo si fa sempre in termini distopici, cupi e disperati.
Difficile trovare solide ragioni per essere ottimisti. Il Padrone sta arrivando, dice Renfield. La sua ombra copre la terra, spargendo odore di pestilenza. Non valgono aglio o croci a farlo arretrare. Dunque, non solo ci fermeremo in ‘Autogrill’ per mangiare grilli e altri (dis)gustosi insetti, come quel povero demente di Renfield. Saremo come lui schiavi di un Potere necrofilo che vuol ridurre gli uomini stessi a larve, insetti da allevare, divorare o schiacciare, esseri senz’anima che, posti davanti a uno specchio, non proiettano alcuna immagine perché hanno perso il proprio Sé.
Tuttavia, il nostro pessimismo nasce anch’esso da un razionalismo miope, incapace di vedere quel fattore spirituale – imponderabile e imprevedibile – che sempre influisce sul corso della storia. C’è un modo di sconfiggere le milizie del Nulla e di opporsi a una Controcreazione maligna? Serve innanzi tutto un risveglio cognitivo che ci guarisca della nostra radicale alienazione. Dobbiamo sempre ricordare che il Padrone è impotente se non gli offriamo il concorso della nostra volontà. Ogni giorno reiterate litanie di formule incantatorie ci irretiscono, nuovi “liberté egalité fraternité” della rivoluzione transumana: sviluppo, innovazione, sostenibilità, scienza, ottimizzazione, benessere, inclusività, non discriminazione, tolleranza, solidarietà, green, fluidità di genere, diritti civili ecc.. Quanti sono i falsi miti in cui il Vampiro si nasconde, come in bare sconsacrate? Occorre scoperchiarle ed esporle alla luce. Difendere la verità con devozione cavalleresca è l’unico modo per liberarci del Padrone e dei suoi famigli. L’alternativa è un mondo dove miliardi di Renfield, prigionieri del loro smartphone, sempre più rapidamente connessi al nulla, saranno contenti di fermarsi in Autogrill a riempir lo stomaco di vermi e blatte. Per quel che mi riguarda, i grilli preferisco ascoltarli, nelle notti d’estate. Dicono che il loro canto, rallentato centinaia di volte, ricordi un coro di angeli.
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